TOGETHER PANGEA – DYE
Quando si parla di punk californiano ci troviamo forse, di fronte ad uno di quei pochi generi che per quanto riesca ad inglobare un nutrito numero di gruppi, è sì possibile riconoscervi una comune origine, ma anche una personalizzazione di suoni e frequenze in grado di dare un’identità propria e definita ad ogni band incastonata nella categoria. Seguendo un imprescindibile ordine alfabetico si potrebbero citare gli Adolescents (da Fulleton) i Black Flag di Henry Rollins (da Hermosa Beach – Sacramento -) o i Dead Kennedys di Jello Biafra (San Francisco) affacciandosi sul fronte punk hardcore più melodico, ma anche Circle Jerks e Bad Religion per poi arrivare allo sdoganamento delle classifiche con Green Day e Offspring che hanno a loro modo reso meno tortuoso il cammino di NOFX e Rancid, solo per fare alcuni nomi. Considerata la giovane età in cui si sono affacciati al mondo della musica, William Keegan (guitar & vocals – classe 1985 -), Danny Bengston (bass – classe 1988 -) ed Erik Jimenez (drums – classe 1989 -) i membri dei Together Pangea si son trovati un passo avanti, avendo la fortuna di crescere in un’area dove respirare a pieni polmoni un suono non compromissorio capace di entusiasmare e gioire inseguendo orizzonti fino ad allora sconosciuti.
Al termine del tour di BULLS AND ROOSTERS (del 2017) in coincidenza con l’inizio della pandemia che ha fatto collassare il globo all’inizio del 2020, i Together Pangea hanno concentrato le proprie energie per buttar giù le idee per un nuovo lavoro. Sentimenti di rabbia e di riflessione prendono forma attraverso gli strumenti con un suono che avvinghia e trascina, lasciando il ruolo guida in ogni brano all’incedere del cantato scanzonato ma sempre pungente. Una voglia di esprimere la propria creatività che nutre le proprie radici di un garage-rock immediato ed insinuante capace di rimandare la testa alla piacevole acerbità dell’esordio JELLY JAM (2010 –Lost Sound Tapes) diffuso solo in cassetta (100 copie!) e formato digitale.
DYE ormai già da un po’ sul mercato, riesce a mescolare quelle due componenti che della musica della band californiana ne sono state un tratto distintivo: l’anima ruvida prima, che fuoriesce ed è in grado di creare la giusta atmosfera di tempesta interiore mai fine a sé stessa e non da meno, una più sensuale che si fa largo attraverso l’uso meno impulsivo degli strumenti ed un ricorso alle vocals mai sfacciatamente irriverenti ma pacate e profonde, dove la melodia fa capolino curandosi sempre delle sfumature. Un album che mostra senza mezze misure che la volontà dei TP, è quella di tirar fuori canzoni di presa ma che non annoino, suoni che non distruggano i timpani ma che rimangano in testa e testi (scusate la cacofonia;-)) che non siano solo una successione di parole da canticchiare ai concerti. “Nothing to hide” basata su di un riff cresposo, non è specchio e sintesi di come dovrebbe essere il full-lenght di prossima pubblicazione, e di ben altra pasta si rivela “Rapture” che parte con una gentile acustica per poi tirar fuori le unghie con un ritornello coinvolgente, lasciando a “Wanted out” in apparenza ancor più diretta, ove ad atmosfere ruvide seguono momenti più leggeri che ne sono il perfetto prologo. È evidente che Keegan e soci sono consapevoli del loro target, in virtù del quale cercano di aggiungere quel qualcosa di nuovo, capace sempre di sorprendere anche il die-hard fan, attento sempre ai cambiamenti e che ne esce gratificato per non trovarsi di fronte all’ascolto di inevitabili riempitivi. Ne sono un esempio la cura messa per tirar fuori la melodia tutt’altro che scontata di “Cold Water” o dell’incedere (quasi?) country dell’appassionata “Turn time”, introspettiva quanto basta e a cui segue “Somehow”, stridente come i primi grezzi vagiti di Seattle, mentre la tranquilla introduzione di “Nervous” ci conduce a quel graffiante alternarsi di melodie in crescendo che dimostrano quanto importante sia l’immediatezza in questo genere di suoni.
DYE pur non impantanandosi nel passato è il lavoro con cui i TOGETHER PANGEA mostrano di avere ancora tanto da dire, aggiungendo un altro mattoncino a quanto fatto prima senza alterare le caratteristiche di un suono capace ancora oggi di catturare e far tornare a riempire i pub.
CLAUDIO CARPENTIERI
Tracklist:
- Marijuana
- One way or another
- Rapture
- Wanted out
- Alabama
- Little line
- Cold water
- Turn time
- Somehow
- Ghoul
- Nervous
- Nothing to hide
Credits:
Label: Nettwerk Records / Bertus
Pubblicazione: 22 ottobre 2021
The band:
William Keegan: guitar & vocals
Danny Bengston bass
Erik Jimenez drums
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Nasco Ia Ferrara nel 1966 ma dopo alcuni anni per questioni di lavoro il mio papà si trasferisce a Roma dove attualmente vivo. Cresciuto come in molti della mia generazione con lo Zecchino D’Oro dell’indimenticato Mago Zurlì (in pancia però già scalciavo al ritmo di (I Can’t Get No) Satisfaction) muovendo i primi passi verso un ascolto di massa con trasmissioni come Discoring (ispirato al Top of the Pops inglese) e successivamente mi mostravo affascinato all’iperspazio dell’innovativo Mister Fantasy(condotto da Carlo Massarini). I primi amori? Dire Straits, The Police, Deep Purple e Supertramp. Ma nel mio bel mobile ove ancora oggi continuo a custodire ed a collezionare Lp e Cd l’eterogeneità regna sovrana e c’è sempre stato spazio per tutti! Al fianco di un disco di Dylan è facile trovare un album dei Duran Duran, come subito dopo i Van Halen trovare inaspettatamente i Visage, ma anche trovare come “vicini di casa” Linkin Park e Nirvana. Sì, la musica è bella perché varia e Tuttorock incarna al meglio un luogo magico dove la disuniformità del mondo delle sette note, non può non attrarre chi alla musica non ha mai posto confini. Keep the faith…