ROGER WATERS – The Dark Side of the Moon Redux
The original Dark Side of the Moon feels in some ways like the lament of an elder being on the human condition. But Dave, Rick, Nick and I were so young when we made it, and when you look at the world around us, clearly the message hasn’t stuck. That’s why I started to consider what the wisdom of an 80 year-old could bring to a reimagined version.
L’originale The Dark Side Of The Moon sembra in un certo senso il lamento di un anziano sulla condizione umana. Ma Dave, Rick, Nick e io eravamo così giovani quando ce l’abbiamo fatta, e quando guardi il mondo intorno a noi, ti accorgi che il messaggio non è rimasto impresso”. Questo è il motivo per cui cominciai a valutare quel che la saggezza di un ottantenne avrebbe apportato ad una versione reinventata.
Avvicinarsi a questa pubblicazione non è cosa facile, ecco perché per rompere il ghiaccio ho usato le parole del comunicato stampa debitamente tradotto, con cui Roger Waters ha annunciato l’uscita del suo ultimo disco. I seguaci dell’universo pinkfloydiano si dividono alla grande sull’opportunità o meno della presente pubblicazione a cui anch’io con molta cautela e con rispetto, ho dovuto approcciarmi. Waters non è nuovo a rivisitare (non a riproporre!) secondo un suo differente gusto musicale che con il tempo ha il più delle volte modificato. Quanto detto è testimoniato dalle rielaborazioni del passato, come avvenuto nel 2022 per “Comfortably Numb” in una versione più minacciosa e come chiaro monito alla guerra (in Ucraina), così come tra il 2017 ed il 2018 con l’Us+ Them tour poi immesso sul mercato su supporto fisico in versione audio e blu-ray e il tanto discusso LIVE IN BERLIN del 1990 con il tempo si è rivelato più amato che criticato.
Per l’operazione in questione il bassista del Surrey si è recato a Londra negli Abbey Road Studios portando con sé Gus Seyffert (che oltre a suonare basso, chitarra, ed altri strumenti veste anche il ruolo di produttore), Jonathan Wilson (chitarre e synth), Jon Carin (lap steel, tastiere e synth), Robert Walter (pianoforte) ma anche Johnny Shepherd, Via Mardot e Azniv Korkejian tra gli altri.
Parliamo di un’idea che a Waters venne nel periodo delle Lockdown Sessions in cui rivisitò con il suo gruppo molti dei suoi brani. Un’attività compiuta con audacia dove non vi è alcun intento di sostituire (sarebbe solo un’idea folle!) l’originale, ma tributare un disco facendone uscire nuovamente con forza le dichiarazioni politiche che custodiva e che all’epoca erano state concepite ed incise da quattro giovanotti che non avevano neanche trent’anni. Cinquant’anni fa l’obiettivo era quello di scuotere le coscienze e portare le persone ad insorgere contro chi le voleva adattate ed integranti del sistema. Oggi qui troviamo esternazioni figlie di chi ha vissuto l’età adulta e maturato tanta consapevolezza che non annulla quanto fatto in passato, ma la sottopone ad una chiave di lettura più meditativa e personale.
Non è perciò difficile questi due dischi come una rilettura di quanto fatto in passato saltellando nella testa di Waters e delle sue attuali convinzioni da cui ne escono vincenti i gradevoli passaggi di organo, le ambientazioni cupe e le fosche atmosfere che si colgono, capaci di mostrarsi genialmente innovative ed apprezzabili ma non memorabili. Un doppio album chiaramente minimalista e che potremmo definire degilmourizzato senza per questo incappare nella volontà di ridimensionare il ruolo dei compagni di allora, per cui Roger Waters ha sempre avuto pubblicamente parole di apprezzamento.
Questo lavoro va ascoltato nella sua interezza e perciò senza passare al termine di confronto quando parte “Speak to me” caratterizzata anche da un pigolio e un vento atro che ci portano dritti ai ricordi di “Breathe” e a “On the run” concepita una volta come bizzarro strumentale ed oggi teatro lirico di incontro tra bene e male che riesce in maniera affascinante a catturare l’ascolto. Allo stesso modo non passa neanche come inosservata la sempreverde “Time”, anche qui incantevole ed in cui i sussurri che l’accompagnano la rendono intrigante pure in questa nuova veste, mentre “The Great gig in the sky” dove non si sentono neanche lontanamente i vocalizzi di Clare Torry, ma si percepiscono meditazioni raccontate sulle note originali che potremmo accostare alle desolazioni baritonali di Tom Waits.
Non sorprende in negativo “Money” (la cui pronuncia accentua la doppia “n” nel mezzo), in una versione sulfurea ed un cantato trascinato che riesce sempre a trasmettere in maniera abrasiva riflessioni sul male che attanaglia l’umanità e facendo oltre modo scorgere ai più attenti, l’accenno di violoncello alla “Bourée” di J.S. Bach. In questa versione “Us and them” ne esce fuori ancor più onirica senza privarsi dei cori suggestivi e mettendo in evidenza l’estrema cura degli arrangiamenti, congiungendosi ad una “Any colour you like” (per cui Waters imbraccia anche basso e suona il VCS3) stimolante e meno psichedelica dell’originale. Nonostante la differente colorazione sonora che aveva “Brain Damage” in origine, nell’attuale versione si riscontra una maggiore intimità oltre al magnetismo dello spoken word con cui si confluisce nell’atteso e visionario commiato che “Eclipse” ancora svolge. In chiusura di facciata “Untitled” che nulla aggiunge da un punto di vista musicale, essendo una non-music track che induce all’ascolto solo per una marginale curiosità.
Il disco che doveva vedere la luce già nella primavera del 2023, per via dei continui ritocchi e miglioramenti voluti dal suo autore ha subito rinvii continui fino all’autunno successivo. Chi si lascerà alle spalle i preconcetti, avrà modo un album differente dall’opera originale con cui non è giusto fare confronti ma la cui onestà per averla concepita potrebbe trovarla nelle prime frasi esclamate da Waters all’apertura di “Speak to me”, dove i battiti del cuore accompagnano le seguenti parole estratte dal brano “Free Four” da OBSCURED BY THE CLOUDS (1972) :
The memories of a man in his old age, are the deeds of a man in his prime
I ricordi di un uomo in età avanzata, sono le azioni di un uomo nel fiore degli anni.
CLAUDIO CARPENTIERI
CD/Digital
SPEAK TO ME
BREATHE
ON THE RUN
TIME
GREAT GIG IN THE SKY
MONEY
US AND THEM
ANY COLOUR YOU LIKE
BRAIN DAMAGE
ECLIPSE
Vinyl
SIDE ONE
SPEAK TO ME
BREATHE
ON THE RUN
TIME
SIDE TWO
GREAT GIG IN THE SKY
MONEY
SIDE THREE
US AND THEM
ANY COLOUR YOU LIKE
BRAIN DAMAGE
ECLIPSE
SIDE FOUR
ORIGINAL COMPOSITION
Credits:
Pubblicazione: 6 ottobre 2023
Etichetta: Cooking Vinyl, Egea Music, The Orchard
Arrangements:
Strings, Sarangi / Jon Carin: Keyboards, Lap Steel, Synth, Organ
Robert Walter: Piano on Great Gig
Produced by Gus Seyffert and Roger Waters
Art Direction and Design: Sean Evans
Photography: Kate Izor
VOTO
The Dark Side Of The Moon Redux credits include:
Roger Waters: Vocals, Bass on Any Colour, VSC3
Gus Seyffert: Bass, Guitar, Percussion, Keys, Synth, Backing Vocals
Joey Waronker: Drums,
Roger Waters – vocals, bass on “Any Colour You Like”, VCS3
Gus Seyffert – bass, guitar, percussion, keys, synth, backing vocals
Joey Waronker – drums, percussion
Jonathan Wilson – guitars, synth, organ
Johnny Shepherd – organ, piano
Via Mardot – theremin
Azniv Korkejian – vocals
Gabe Noel – string arrangements, strings, sarangi
Jon Carin – keyboards, lap steel, synth, organ
Robert Walter – piano on “The Great Gig in the Sky
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Nasco Ia Ferrara nel 1966 ma dopo alcuni anni per questioni di lavoro il mio papà si trasferisce a Roma dove attualmente vivo. Cresciuto come in molti della mia generazione con lo Zecchino D’Oro dell’indimenticato Mago Zurlì (in pancia però già scalciavo al ritmo di (I Can’t Get No) Satisfaction) muovendo i primi passi verso un ascolto di massa con trasmissioni come Discoring (ispirato al Top of the Pops inglese) e successivamente mi mostravo affascinato all’iperspazio dell’innovativo Mister Fantasy(condotto da Carlo Massarini). I primi amori? Dire Straits, The Police, Deep Purple e Supertramp. Ma nel mio bel mobile ove ancora oggi continuo a custodire ed a collezionare Lp e Cd l’eterogeneità regna sovrana e c’è sempre stato spazio per tutti! Al fianco di un disco di Dylan è facile trovare un album dei Duran Duran, come subito dopo i Van Halen trovare inaspettatamente i Visage, ma anche trovare come “vicini di casa” Linkin Park e Nirvana. Sì, la musica è bella perché varia e Tuttorock incarna al meglio un luogo magico dove la disuniformità del mondo delle sette note, non può non attrarre chi alla musica non ha mai posto confini. Keep the faith…