Melt: quel ponte verso il futuro costruito da Peter Gabriel
Il disco di cui parliamo oggi ha letteralmente riscritto le regole del gioco, valicando le limitazioni di genere e stile.
Siamo all’alba degli anni ‘80 e ormai Peter Gabriel ha iniziato ad avere una vita artistica a sé stante rispetto a quello che è il mondo dei Genesis con due ottimi album solisti pregni di una, seppur acerba, nuova sperimentazione. Ma la “maturazione” non si sarebbe fatta attendere troppo.
Ecco quindi “Peter Gabriel III”, conosciuto anche come Melt ( trad. “sciolto” ) grazie alla copertina dove una metà del volto di Gabriel sembra appunto sciogliersi, rivoluzionario manifesto musicale del genio britannico.
Partiamo dalla prima novità che salta all’orecchio e che riguarda la cosa fondamentale: il ritmo.
Peter Gabriel decide di dare assoluta centralità al ritmo, che deve arrivare all’ascoltatore in maniera nuda e cruda. Via quindi piatti e charleston: distrazioni troppo ingombranti. Il risultato di questa scelta si intuisce fin dalla traccia iniziale Intruder dove il suono della batteria di Phil Collins è diretto, potente, penetrante. Il ritmo ci viene quasi sbattuto in faccia spudoratamente, con l’utilizzo del “gated reverb” ( un effetto capace di conferire maggiore incisività al sound ). Inutile sottolineare quanto la trovata dell’eliminare piatti e quant’altro sarebbe stata emulata, specialmente negli sfavillanti ‘80. Non si farà fatica dunque a trovare a trovare seguaci di questa corrente di pensiero, sia nel pop che nel rock, con i successivi Genesis fra i primi ad accodarsi.
L’innovazione di “Melt” non si limita solo a questo, perché una tale visione di protagonismo del ritmo ha di contro il lasciare un vuoto sonoro da dover in qualche modo riempire. A colmare ciò ecco l’utilizzo dell’elettronica. Se da una parte molte cose in merito all’elettronica si erano già esplorate con il cosiddetto “krautrock” tedesco e con il Bowie berlinese, la novità vera e propria viene offerta dal campionamento sonoro dell’appena nato CMI Fairlight. Trattasi di un sintetizzatore capace di campionare i suoni più disparati e riprodurli in vari toni e timbri. Il risultato è strabiliante, andate ad ascoltarvi ad esempio brani come I Don’t Remember e Games Without Frontiers per rendervene conto. Anche qui non c’è bisogno di sottolineare troppo la grande portata rivoluzionaria, basti pensare ad un genere come l’hip-pop per farsi un’idea.
Il terzo album solista di Peter Gabriel è una splendida opera in sè e per sè ( tra l’altro vanta una schiera di musicisti da Hall of Fame come Robert Fripp, Kate Bush, Paul Weller, David Rhodes, e il già citato Phil Collins ), ed allo stesso tempo rappresenta un fantastico ponte verso il futuro.
di Francesco Vaccaro
Studente di Ingegneria delle Telecomunicazioni presso l'università La Sapienza di Roma, da sempre animato dalla passione per la musica. Nel 2012 entra nel mondo dell'informazione musicale dove lavora alla nascita e all'affermazione del portale Warning Rock. Dal 2016 entra a far parte di TuttoRock del quale ne è attualmente il Direttore Editoriale, con all'attivo innumerevoli articoli tra recensioni, live-report, interviste e varie rubriche. Nel 2018, insieme al socio e amico Cristian Orlandi, crea Undone Project, rassegna di musica sperimentale che rappresenta in pieno la sua concezione artistica. Una musica libera, senza barriere né etichette, infiammata dall'amore di chi la crea e dalle emozioni di chi la ascolta.