MATT COSTA – Yellow coat
La storia di Matt Costa, oggi cantautore californiano affermato è quanto mai strana ed interessante. Anche se la musica per lui aveva la priorità, l’amore per lo skateboard occupava sicuramente il primo posto in un’eventuale graduatoria del gradimento per il giovane Matt che imbracciò la sua prima chitarra all’età di 12 anni. Ma galeotto fu il fedele monopattino di un tempo, con cui si procurò una devastante caduta che lo portò a concentrarsi seriamente sullo strumento e alla scrittura di brani. In breve tempo prende forma un demo formato di quattro tracce che finiscono tra le fruttuose mani di Tom Dumont (No Doubt) a cui seguirono i due 12” MATT COSTA EP (2003) e THE ELASMOSAURUS (2005).
Gli anni successivi furono molto importanti per l’affermazione del musicista di Huntington Beach, dando il via proprio con il 2005 all’esordio di SONGS WE SING (nuovamente pubblicato l’anno successivo per la Brushfire records) in cui a farla da padrone sono il west coast sound ed una certa versatilità blues che ne fanno un album permeato da un incedere rilassato ed elegante. Con UNFAMILIAR FACES (sempre su Brushfire Rec., 2008) e MOBILE CHATEAU (Universal Republic Rec. – 2010) lo scopo è sempre quello di creare canzoni dal forte carattere pop e dal sapore british per il primo, mentre molto più retrò il secondo che va a raccogliere dalla leggerezza sixties senza tanti fronzoli. Ma è nel 2018 con SANTA ROSA FANGS, che forse Matt riesce a dar vita ad una musica fatta di un elegante misto di rock & folk come testimoniano le 12 tracce contenute nel disco.
L’ultimo YELLOW COAT, è uno di quei lavori che si distingue dagli altri per una maggior presenza di atmosfere soft che musicalmente sembrano aver preso spunto da quegli anni ’60 che più lo hanno colpito, quelle melodie oscillanti che lasciano il segno nei tratti emotivi di chi ascolta. Un disco che mostrando un’evoluzone nella scrittura da parte dell’autore, non manca di riferimenti musicali caratterizzati da una semplicità compositiva ma diretta come quella di Damien Jurado (accasatosi ad inizio carriera presso la Sub-Pop) o Kurt Vile (giovane) maestro di una narrazione prevalentemente sobria e tradizionale. Canzoni come “Let love heal” e “Last love song” rappresentano il lato più malinconico di un disco, come allo stesso modo “Jet black lake” incarna insieme a “Savannah” il trasporto ritmico e melodico dei citati anni sessanta, consentendo al gradevole alternarsi di atmosfere un equilibrio sonoro non propriamente diffuso nei mei ultimi ascolti. Canzoni che mostrano al meglio quanto l’intreccio delle melodie possa dare risultati ben più che soddisfacenti, come l’incedere sognante di “Make that change”, la poesia musicata di ”Sky full of tears” o il commiato malinconico di “So I say goodbye” che chiude il lavoro.
Il disco prodotto dal britannico Alex Newport (At the drive-in e The Marx Volta) è il secondo per la Dangerous Records, in cui Matt si è occupato dei suoni pur avendo usato ben pochi strumenti e le canzoni ben si adattano ad ampie interpretazioni e riescono a veicolare sentimenti profondi suggellandone la loro universalità, confermando le sentite parole espresse direttamente dal cantautore e che sono certo non hanno bisogno di essere tradotte: “I hope listeners and fans find these songs as personal and honest as they are to me”.
CLAUDIO CARPENTIERI
Tracklist:
Avenal
Slow
Make That Change
Let Love Heal
Last Love Song
Jet Black Lake
Savannah
Broken Eros (Interlude)
Yellow Coat
Sky Full Of Tears
When The Avalance Comes
So I Say Goodbye
Credits:
Release date: 11 settembre 2020
Label: Dangerbird records/Audioglobe
Band:
Matt Costa
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Nasco Ia Ferrara nel 1966 ma dopo alcuni anni per questioni di lavoro il mio papà si trasferisce a Roma dove attualmente vivo. Cresciuto come in molti della mia generazione con lo Zecchino D’Oro dell’indimenticato Mago Zurlì (in pancia però già scalciavo al ritmo di (I Can’t Get No) Satisfaction) muovendo i primi passi verso un ascolto di massa con trasmissioni come Discoring (ispirato al Top of the Pops inglese) e successivamente mi mostravo affascinato all’iperspazio dell’innovativo Mister Fantasy(condotto da Carlo Massarini). I primi amori? Dire Straits, The Police, Deep Purple e Supertramp. Ma nel mio bel mobile ove ancora oggi continuo a custodire ed a collezionare Lp e Cd l’eterogeneità regna sovrana e c’è sempre stato spazio per tutti! Al fianco di un disco di Dylan è facile trovare un album dei Duran Duran, come subito dopo i Van Halen trovare inaspettatamente i Visage, ma anche trovare come “vicini di casa” Linkin Park e Nirvana. Sì, la musica è bella perché varia e Tuttorock incarna al meglio un luogo magico dove la disuniformità del mondo delle sette note, non può non attrarre chi alla musica non ha mai posto confini. Keep the faith…