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LA FILOSOFIA DI ENZO JANNACCI (STORIE DI UN BARLAFUUS) MIMESIS EDIZIONI

LA FILOSOFIA DI ENZO JANNACCI (STORIE DI UN BARLAFUUS) MIMESIS EDIZIONI

Ricorrono quest’anno i dieci anni dalla sua scomparsa (Vincenzo Jannacci nasce a Milano  il 3 giugno 1935 e ivi muore il 29 marzo 2013). Non staremo qui a dire quanto Enzo ci manchi e quanto ci manchino la sua verve, il suo umorismo agrodolce, il suo profondo umanismo: ca va sans dire che la sua mancanza oggi è avvertita come difficilmente ci capita di avvertire quella di altri artisti e personaggi pubblici che non sono più tra noi. Straripante, visionario e geniale, stralunato come solo certi maestri caposcuola sanno essere, una carriera artistica durata oltre cinquant’anni costellata di successi discografici senza tempo che ne hanno definitivamente scolpito e consegnato alla cultura italiana la sensibilità sociale, la vicinanza alle classi più umili e le irripetibili capacità di introspezione nella psicologia dei personaggi delle sue canzoni. El Purtava I Scarp De Tennis, Messico E Nuvole, Vengo Anch’io. No Tu No, Se Me Lo Dicevi Prima, Ci Vuole Orecchio, L’Armando, E Allora Concerto, Quelli Che, Io E Te, Sei Minuti All’alba, L’era Tardi, Ho Visto Un Re, Son S’cioppaa, Sfiorisci Bel Fiore, Lettera Da Lontano e tantissime altre: l’intero  repertorio delle canzoni di Jannacci, i suoi testi spesso surreali, appaiono ispirati da luoghi e persone di una Milano d’altri tempi, ad un sentimento d’amore per i più sfortunati (come ebbe a dire Luciano Bianciardi, Jannacci “ha dentro poesia schietta, sostenuta da amore per la povera gente”.) Scrive Emiliano Liuzzi sul Fatto Quotidiano “Lasciateci la retorica, forse è un valore di questi tempi grami e vite agre, per dirla alla Luciano Bianciardi, ma Enzo Jannacci ci manca. Oggi più che mai. Aveva il sapore della schiettezza, oltre all’ironia, le qualità musicali, l’orecchio e molto altro ancora.” Ricordiamo qui un libro che si addentra in alcune delle meno indagate dimensioni jannacciane: ad ascoltarle meglio, le canzoni di Jannacci, e ad analizzarne con attenzione i testi, scopriamo come ognuno di essi assuma una valenza pedagogica (scrive D’Isola in introduzione che “nelle canzoni di Jannacci la cura è presente in modo diretto o implicito; il “poetastro” è rimasto “medico”, colui che riflette e cura, fino alla fine della vita, grazie all’attenzione rivolta agli altri, al desiderio di soccorrere e di alleviare le ingiustizie”) e concorra a definire una vera e propria filosofia, quella appunto di Enzo Jannacci, outsider per eccellenza della canzone italiana, uno dei suoi pochissimi geni autentici. Nel libro curato da Isabella D’Isola e Raffaele Mantegazza l’analisi è stringente e puntuale: la visione del mondo del medico, cabarettista, scrittore di canzoni, musicista e cantante milanese viene ricostruita attraverso la disamina dei numerosissimi oggetti che popolano le sue songs e delle immagini della città di Jannacci. Dei primi, segni del nostro tempo “che educano” presenti nell’immaginario jannacciano, fanno parte i piedi, le scarpe, le calze, il denaro, gli animali, il cibo, oggetti surreali di varia natura, e altri. Della città di Jannacci vengono presentati frammenti di suolo cittadino che contengono storie e segni identificativi (impronte di automobile, di biciclette, di passi e rotaie, sampietrini, e cosi via) catturati attraverso la tecnica del frottage (tecnica di disegno e pittorica che si fonda sul principio dello sfregamento).

GIOVANNI GRAZIANO MANCA

Isabella D’Isola e Raffaele Mantegazza (a cura di), Filosofia di Enzo Jannacci. Storie di un barlafuus, Mimesis, pp. 210, euro 12,00 stampa