IRA GREEN – Re(be)ligion

Ira Green è un personaggio musicalmente anticonformista , che ha deciso imprimere il suo primo disco “Re(be)ligion” una carica particolarmente decisa, diretta, poco frammentaria. I suoi esordi provengono dai canali televisivi, e da un talent in particolare, che è stato un trampolino di lancio per la cantante campana che aveva già di suo anni e anni di gavetta alle spalle. Il viaggio musicale di questo disco tuttavia è ambiguo: proprio perché in alcuni momenti appare inconfondibilmente standardizzato. Se infatti accostati gli arrangiamenti appaiono costruiti sulla stessa e cotante matrice bipartita e ritornellata.

Il canto acquisisce senza dubbio una sfera di rilevo, a discapito però di dinamiche e strumentisti. In sostanza però è proprio sulla vocalità che si fa perno e le doti canore di Ira vengono esplorate in più e più colorazioni. Questi colori sono prevalentemente accesi e per quasi tutti e dodici i brani si fa ricorso a istanze spinte e grintose. Si assiste a tutte le influenze che hanno contaminato l’artista. Sono proprio gruppi come Pearl Jam, Metallica, Alice in Chains, Nirvana e Led Zeppelin a influire nella stesura di questo album saturo di rock e di orizzonti metal. La compagine strumentale è delle più classiche (in materia di rock). I principali protagonisti per l’appunto sono le chitarre (equipaggiate di riverberi e distorsori), accompagnate da basso e batteria che si esibiscono in modo rudimentale per mantenere un tono grezzo ed architettonicamente determinato. Complessivamente la produzione premia la voce ed il conseguente tessuto canoro; una scelta canonica e ponderata, forse anche troppo, perché la testocentricità del risultato alla lunga appare tediante. I temi affrontati in Re(be)ligion sono “classici” e probabilmente non avrebbero dato lo stesso risultato se trasposti nella nostra lingua.

Il primo brano è: “You’ve got the sun”. Un ottimo avvio che tramite la discesa cromatica tira uno spintone e permette a “Rebeligion” di cominciare a sgranocchiare l’aria con le distorsioni e i powerchords. La voce di Ira ha così un primo punto di appoggio, ben delimitato e concertato. IN questo avvio la direzione è chiara e precisa. Tocca quindi a: “Hello a good day” che utilizza lo stesso espediente cromatico ad una distanza temporale troppo corta, occludendo così uno spiraglio abbastanza rilevante. ”Gravity Soldier torna su un’azione musicale e su soluzioni più interessanti. Il ventaglio di parti ed interventi strumentali ben si accostano alla voce che continua a rimanere lucida. “I’m wrong” manca il bersaglio. L’arrangiamento questa volta assume caratteri futili e sviluppi poco rassicuranti ed incerti “Love can’t stop the rain”cerca di riprendere il controllo scontrandosi però con una vocalità del tutto fuori luogo in determinanti frangenti. Il compromesso si trova fortunatamente in “I’m still calling you”, dove l’urgente bilanciamento tra voce e compagine strumentale da i suoi frutti. “You can’t control me” sancisce il ritorno sulla “retta via del rock” nella quale sonorità black e dense gestiscono bene le dinamiche e i ritmi. “Fall Asleep” è una buona impronta, determinata tuttavia per tratti anonima. Arriva il momento della title track con “Re(be)ligion” che con i suoi toni orientaleggianti e le sue ritmiche in levare rende onore al disco. “light from your eyes”, “Music’s tramp” e “Fino alla fine” costituiscono una lucente retroguardia per l’album e non si fanno mancare niente.

GIOELE AMMIRABILE