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Sheik Yerbouti: Frank Zappa e l’arte di non prendersi troppo sul serio

Sheik Yerbouti: Frank Zappa e l’arte di non prendersi troppo sul serio

zappasheik

Sicuramente l’album di maggior successo commerciale per Frank Zappa ma non per questo  meno folgorante, impressionistico, irriverente e seducente di molti capolavori della sua immensa discografia.
Sheik Yerbouti, con quell’ormai iconica copertina dove Zappa indossa un copricapo arabo, vuole essere un gioco di parole, con la pronuncia “Shake your booty” a fare il verso ad uno degli slogan della disco music dell’epoca. E di parodie, sberleffi e dosi di humor 100% “politically scorrect” ne è piena l’opera.
Si parte con l’esilarante I’ve Been In You che prende in giro con “giusto qualche riferimento sessuale” la smielatissima I’m In You di Peter Frampton. Ce n’è anche per Bob Dylan, che nel mezzo di un brano scatenato come Flakes viene imitato con il suo tipico cantato (con tanto di armonica) che nel contesto del pezzo risulta assolutamente scanzonato.
Poteva poi mai mancare della satira contro la società americana? Certo che no, ed ecco infatti la storia di Bobby Brown che tra sodomia, masochismo e favori sessuali incarna appieno l’American Dream.
E gli ebrei? Li avrà lasciati in pace? Andatevi ad ascoltare Jewish Princess e dopo mi farete sapere.
In mezzo a questa ironia salace, come abbiamo già detto, ci sono forti pernacchie alla imperante disco music come City of Tiny Lites  e la celebre Dancin’ Fool che con quel mantra “The beat goes on and i’m so wrong” narra le avventure in pista di un personaggio con una gamba più lunga dell’altra, dei piedi enormi, senza il benché minimo senso del ritmo, ma che non desiste dall’andare a ballare ogni sera attuando il suo “social suicide”.
Quest’album quindi è solo parodie e comicità? Assolutamente no. Tutto quello che vi ho raccontato è immerso in un contesto musicale splendidamente eseguito, con brani che si allacciano l’un l’altro, in perfetto stile zappiano, e con momenti corali e solistici che mettono in risalto le qualità cristalline dei musicisti in campo. Adrian Belew alla chitarra e Terry Bozzio alla batteria per dirne due. Oltre a Zappa, ovviamente.
“Sheik Yerbouti” può essere annoverato tra i pezzi più pregiati di Frank al pari di opere leggendarie come Hot Rats, perché il successo commerciale (vincitore di un Grammy Awards) e la maggiore accessibilità agli ascoltatori non devono pregiudicarne l’elevato valore assoluto.
E se qualche purista leggendo questa affermazione griderà alla blasfemia, beh poco importa.
Come ci insegna questo disco, e più in generale Zappa, è meglio non prendersi troppo sul serio.

di Francesco Vaccaro