BIFFY CLYRO – INFINITY LAND
A pochi giorni dal loro graditissimo ritorno sui palchi italiani,e soprattutto il giorno seguente al loro annuncio come ospiti all’imminente Festival di Sanremo, non ci si poteva proprio esimere dal dedicare una puntata della nostra rubrica ai Biffy Clyro.
Perchè se è vero che parliamo di una kermesse che risponde ad esigenze televisive e che con la “musica” ha veramente poco a che fare, è altrettanto chiaro che rappresenta un fortissimo evento mediatico su cui, nel bene o nel male, vengono puntati i riflettori.
E allora quale disco migliore di cui parlare se non quello che probabilmente per la prima volta li mise sotto la lente d’ingrandimento della critica: Infinity Land.
Correva l’anno 2004 quando l’album venne pubblicato, terzo e conclusivo lavoro della trilogia iniziata nel 2002 con Blackened Sky e successivamente The Vertigo of Bliss, apprestandosi ad attirare paragoni e riferimenti di ogni tipo. Chi li accostava a quel gruppo, chi a quell’altro, chi urlava: “Post-punk!”, chi: “Post-grunge!”, chi li classificava come “I figli dei.. “, e tanto altro ancora. In mezzo a quel minestrone di etichette e schematizzazioni veramente poco capaci di imbrigliare un sound del genere, un paio di cose risultavano lampanti.
I Biffy Clyro stavano diventando qualcosa. Qualcosa di unico. Che pur evolvendosi negli anni avrebbe fatto dire: “Biffy Clyro!”.
La seconda cosa che veniva acclarata è che questa band andava a rendere giustizia al termine “alternative” (se proprio ci tenete alle etichette) . Perché se all’inizio era prevalentemente usato per evidenziare musicisti “underground”, indipendenti più dal punto di vista discografico che artistico, già dagli anni Novanta la situazione cambiò. Con “alternative” si andava propriamente ad indicare un anticonformismo musicale, sia nelle forme che nei contenuti, capace di uscire fuori dai binari del mainstream, e di trarre nuove ispirazioni attraverso sonorità ancora poco esplorate.
Simon Neil e compagni in “Infinity Land” fanno proprio questo: esplorano. Esplorano se stessi, e la loro musica, plasmandola quando è ancora incandescente. Dall’inaspettato beat elettronico che apre Glitter and Trauma vediamo susseguirsi incessantemente cambi di ritmo, linee di basso taglienti, riff ficcanti a volte distorti e densi, altre aridi e puntuali. Per non parlare poi del cantato che porta alla luce un bipolarismo interno: alternando ad una dolcezza melodica delle urla sgraziate e talvolta rabbiose.
“Infinity Land” è un lavoro viscerale dove i Biffy sperimentano se stessi, senza la presunzione di destrutturare il concetto di “canzone” ma rendendolo propria. Pregno della loro essenza.
Il successo “mainstream” sarebbe arrivato subito dopo, ma è da qui che l’occhio di bue venne puntato sul trio scozzese. Una realtà che non si poteva più ignorare.
di Francesco Vaccaro
Studente di Ingegneria delle Telecomunicazioni presso l'università La Sapienza di Roma, da sempre animato dalla passione per la musica. Nel 2012 entra nel mondo dell'informazione musicale dove lavora alla nascita e all'affermazione del portale Warning Rock. Dal 2016 entra a far parte di TuttoRock del quale ne è attualmente il Direttore Editoriale, con all'attivo innumerevoli articoli tra recensioni, live-report, interviste e varie rubriche. Nel 2018, insieme al socio e amico Cristian Orlandi, crea Undone Project, rassegna di musica sperimentale che rappresenta in pieno la sua concezione artistica. Una musica libera, senza barriere né etichette, infiammata dall'amore di chi la crea e dalle emozioni di chi la ascolta.