I re dell’atmospheric rock emozionale GAZPACHO tornano con il nuovo album FIREWORKER
Per quasi vent’anni, i Gazpacho hanno regnato come i sovrani dell’atmospheric rock e dell’art-rock emozionale. Non è certo un’impresa da poco, dato che questo genere è pieno di artisti meravigliosamente eleganti, lunatici ed emozionanti; eppure, nessuno di loro riesce a raggiungere lo stesso livello di squisiti echi barocchi e di carico ipnoticamente introspettivo del sestetto norvegese. Di conseguenza, la band non manca mai di fornire un’impressionante analisi della condizione umana ed il loro ultimo lavoro, Fireworker, non fa eccezione. Senza dubbio questo album è ai vertici della loro produzione, nonché uno degli episodi musicali più profondi che sentirete nel 2020. Concettualmente, l’album prosegue la tradizione della band di mescolare dubbi filosofici, stimolando la propensione letteraria e cacciando i disordini personali. In un certo senso, si raggiunge l’apice dei contenuti che sono stati esplorati negli album precedenti, combinando l’isolamento fatalistico di Night e Missa Atropos, il dramma narrativo di Tick Tock e Soyuz e le profonde contemplazioni teologico-scientifiche di Demon e Molok. Al di là di questo, il suo tema centrale (l’umanità è sempre stata controllata da una creatura infallibile e onnisciente, determinata a diffondersi ad ogni costo) pone Fireworker come l’ombrello generale sotto il quale si trovano tutti gli album precedenti. Il tastierista Thomas Andersen chiarisce: “C’è una parte istintiva di te che vive dentro la tua mente, separata dalla tua coscienza. Io lo chiamo il ‘Fireworker’ o ‘Lizard’ o ‘Space Cowboy’. È una forza vitale eterna e ininterrotta che è sopravvissuta ad ogni generazione, con una nuova versione in ognuno di noi. Si è evoluta insieme alla nostra coscienza e può scavalcarci e controllare tutte le nostre azioni”. Per farci fare ciò che vuole, chiarisce, “Fireworker” metterà a tacere le parti della nostra mente che manifestano disgusto o rimorso in modo da impedirci di fermarlo. La parte cosciente della nostra mente, nota Andersen, in realtà “razionalizzerà e legittimerà” quei pensieri e quelle azioni in modo da non scoprire mai la bestia dietro le quinte. Non importa come sentiamo noi stessi in termini di identità, realizzazioni e valore, siamo tutti solo recipienti, o “Sapiens”, che la creatura usa fino a quando non ha più bisogno di noi. “Se stai al gioco”, spiega Andersen, “ti ricompenserà come un cucciolo e ti farà sentire fantastico; se non lo fai, ti punirà severamente”. Come Night, Fireworker è un unico “trip” suddiviso in cinque capitoli, ma destinato ad essere apprezzato tutto in una volta. Questa volta, però, il protagonista dei Gazpacho sta indagando nell’alveare labirintico della sua stessa psiche per impegnarsi in un confronto alla Bergman con “Fireworker”. Questo viaggio è rappresentato anche dalla copertina, che, come al solito, è stata progettata dal collaboratore Antonio Seijas e raffigura “i miliardi di neuroni che creano la caverna della mente”.
Fireworker dichiara subito il suo ipnotico dominio attraverso “Space Cowboy”, una suite trasversale il cui sinistro lirismo (“The parasite / That lives in me / Murders words / From where I stop / And it breathes in / And it breaths in / We’re biting our tail / The cycle begins”) è solo uno dei tanti motivi che la rende uno dei più grandi brani dei Gazpacho. Dal suo primo movimento, delicato e straziante, alla sua caotica parte centrale, al suo quasi finale dolorosamente sinfonico e alla fragorosa outro, questo brano è un capolavoro, a conferma di come i Gazpacho siano rimasti evocativi, creativi ed ispirati dopo tutti questi anni. Da lì, la tracklist rimane altrettanto seducentemente, eccentrica ed affascinante. In particolare, “Hourglass” è una splendida ballata per pianoforte che evoca March of Ghosts nella sua fusione di melodie piacevoli e dolci abbellimenti orchestrali. Che poi lasciano il posto alla stratificazione grintosa e al piglio accattivante del primo singolo della band, la title track “Fireworker”. Così “Antique” prende il sopravvento con un mistero angelico e la conclusiva “Sapien”, riecheggia la gamma dinamica e la portata epica di “Space Cowboy”, sfociando in un finale emozionante che ti avvolge con arrangiamenti sontuosi e uno struggente epilogo esistenziale. Naturalmente, la storia dei Gazpacho è stata costellata da premi e successi di critica. Oltre ad aver pubblicato tre superbi album dal vivo (A Night at the Loreley del 2010, London del 2011 e Night of the Demon del 2015), sono stati protagonisti in festival come Be Prog! My Friend, Night of the Prog, Midsummer Prog Festival e Cruise to the Edge, dove hanno deliziato il pubblico insieme a fratelli come iamthemorning, Anathema, Pain of Salvation, Caligula’s Horse, Riverside, The Neal Morse Band e Steve Hackett. Non sorprende che i loro dischi abbiano ricevuto un’accoglienza altrettanto entusiastica; per esempio, il loro precedente Soyuz del 2018, ha ottenuto ottime recensioni da riviste come PROG, Echoes and Dust e Louder than War. Fireworker è un’esperienza che cambia veramente la vita, quindi sarebbe saggio spegnere tutte le luci, sgombrare la mente al meglio e prepararsi a incontrare il Fireworker.
I Gazpacho sono:
Thomas Andersen – keyboards, programming
Jan-Henrik Ohme – vocals
Jon-Arne Vibo – guitars
Mikael Krømer – violin, additional guitars
Kristian “Fido” Torp – bass
Robert R Johansen – drums
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