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VINCENZO INCENZO – Intervista su #PACE

VINCENZO INCENZO – Intervista su #PACE

In occasione dell’uscita del suo quinto album “#PACE” ho intervistato VINCENZO INCENZO.
Le canzoni di Vincenzo Incenzo sono state cantate da Renato Zero, Lucio Dalla, Antonello Venditti, Laura Pausini, Sergio Endrigo, Massimo Ranieri, PFM, Michele Zarrillo, Franco Califano, Ornella Vanoni, Patty Pravo, Ron, Albano, Tosca, Amanda Miguel, Ana Gabriel, Mijares e tanti altri. Come autore ha portato 11 brani al Festival di Sanremo. (tra i brani “Cinque giorni”, che vanta molte versioni nel mondo, “L’elefante e la farfalla”, “L’acrobata”, “Che sarà di me”, “Nel perdono”, “Un altro amore no”). Vanta una collaborazione autoriale con Papa Francesco per il brano “La Madre”, cantato da Mijares. Ha lavorato con Armando Trovajoli. Per il Teatro ha scritto Romeo e Giulietta, Ama e cambia il mondo su musiche di Gerard Presgurvic e Dracula Opera Rock su musiche della PFM, entrambi prodotti da David Zard. Ha scritto e diretto i musical Diana & Lady D, Rosso Napoletano e La sciantosa con protagonista Serena Autieri. Ha scritto e diretto con Renato Zero Zerovskij, Solo Per Amore, e con Ron Lucio! dedicato a Lucio Dalla, e Ron 50, Non abbiam bisogno di parole. Ha curato la versione italiana del libretto e delle canzoni di My fair lady, di Alan Jay Lerner e Frederick Loewe, e la versione italiana delle canzoni di Menopause The Musical di Jean Linders, Squali di A.L. Recchi, Tango Delle Ore Piccole di Puig, Il Principe Abusivo di Alessandro Siani, e Vacanze Romane di Blake, Porter & Trovajoli; la sua versione è riconosciuta dalla Carl Porter Society come la versione italiana ufficiale nel mondo. Ha collaborato a Lennon & John di Lucariello/Speranza e ha scritto le musiche di Cassandra e il Re e Tieste, di G. Arghirò, e di Shake Full, di Manuela Tempesta.  Ha firmato la regia e le musiche di Ingresso Indipendente di Maurizio De Giovanni e “Santo Piacere” di Giovanni Scifoni. Nel 2025 debutterà nella sua versione italiana il musical evento francese Bernadette de Lourdes. Ha pubblicato i libri La Partitura Infernale, eventi sonori nelle bolge dantesche (Fonopoli), Il sorriso d’avorio d’una ragazza d’ebano e Cinema Mundi (LietoColle), La canzone in cui viviamo e #RomeoeGiulietta nel Duemilaniente (No Reply) tradotto anche in lingua russa, Valentina Giovagnini (Zona), e i saggi su Renato Zero ZERO e ZERO70, La Nostra Storia (Tattica). Per Renato Zero ha anche redatto l’analisi critica e poetica dell’intera collana in vinile Mille e uno Zero. Per la Televisione ha scritto canzoni per la fiction Mediaset Non smettere di sognare ed è co-autore della edizione 2013 di Capodanno di Canale 5 e Romeo & Giulietta, una storia mai raccontata (RaiDue). Nel 2023 è stato esperto musicale della trasmissione Uno Mattina (RaiUno). Ha dato canzoni al Cinema nei film Il Paradiso all’improvviso di Leonardo Pieraccioni, Dalla vita in poi di Gianfrancesco Lazzotti, Ho sposato mia madre e Play Boy di Domenico Costanzo, Luce oltre il Silenzio di Giuseppe Racioppi. Il musical Zerovskij, scritto con Renato Zero, è diventato un film. Ha pubblicato 4 album da cantautore, Credo, prodotto da Renato Zero, Ego, ZOO, pubblicati anche in lingua spagnola e accompagnati da una tournée Sudamericana, e il live Comizi d’Amore dove reinterpreta anche le hit scritte per i grandi della musica italiana. È stato direttore artistico dell’Associazione Culturale Fonopoli, ha diretto la rivista di arte e cultura Icaro ed è direttore e autore della Mostra ZERO dedicata a Renato Zero. Tra i vari riconoscimenti ha vinto tre volte il Premio Lunezia, il Premio SIAE autori, il Premio Nazionale Liolà, la Medaglia d’Argento della Camera dei Deputati, il Premio Internazionale Antonio De Curtis, il Premio Internazionale di Poesia Alfonso Gatto, il Diploma Honoris Causa in Lettere dell’ISLAS, il Premio Internazionale Giffoni Film Festival, il Premio Roma Videoclip.

Ciao Vincenzo, piacere di conoscerci. Ho già ascoltato varie volte il tuo disco, ma partendo da indietro, raccontaci come ti avvicinasti alla musica? Quali furono i tuoi primi ascolti?
Da una parte ho una sorta di imprinting familiare, perché mio padre è stato primo clarinetto dell’orchestra di Santa Cecilia per tanti anni, un luminare dello strumento, però, invece di rappresentare un incentivo, è stato un ostacolo incredibile. Perché mio padre tutto voleva tranne che io facessi la musica, quindi i miei studi sono stati, come dire, carbonari, poi me ne sono andato proprio a Bologna a fare il DAMS, per potere studiare senza il controllo della famiglia. E quindi, devo dirti la verità, anche se poi mi sono laureato eccetera, non ho mai pensato a un piano B, ho sempre pensato che avrei fatto questo come lavoro. Ho cominciato a fare le prime esibizioni a 17 anni. In questo locale storico a Roma Folk Studio, dove un partirono un poco tutti, De Gregori, Venditti, Rino Gaetano e poi da lì non mi sono, non mi sono più fermato. Ho avuto la fortuna di scrivere praticamente subito, da giovanissimo, una canzone che è andata molto bene a Sanremo, che era “Cinque giorni” per Michele Zarrillo e da allora hanno cominciato a chiamarmi tanti artisti, da Renato Zero a Venditti e ho iniziato un percorso di autore, anche se io volevo fare il cantautore. Questa cosa mi ha preso la mano e, per almeno vent’anni, non ho non ho potuto, grazie al cielo, anche dedicarmi ad altro. Questo percorso di autore è durato fino a quando, 5 anni fa, è arrivato proprio Renato Zero, con un brano che era destinato a lui, che gli avevo scritto, e lui mi ha chiesto, perché non lo cantavo io? E io gli rispondo: “Ma dove lo canto, dove lo vado a cantare?”.  Lui mi ha risposto: “Ti produco”. Questo è stato il mio primo anno da cantautore, da allora faccio un album ogni anno, cerco di mantenere questa questo giardino che mi coltivo, a parte il mio lavoro d’autore, in maniera molto molto curata, perché ho sempre tanta voglia di cantare canzoni; che non sempre puoi dare ad altri. 

Non ti ha fermato neanche la pandemia?
Non so se è stato anche quel periodo di fermo ad aiutare, diciamo che ho scritto tanto visto che eravamo tutti segregati. Quindi c’è stata una grande raccolta di brani, non solo per me, ma anche per Renato e per altri artisti. Ti aggiungo che ho finito questo album e sto già preparando il prossimo, perché mi piace tanto questo fatto di potermi gestire questo spazio in completa autonomia, libero da qualunque regola, da qualunque ansia di prestazione. In questo senso, quindi, mi vengono fuori tante canzoni che poi in qualche modo cerco di canalizzare in questi album. 

Alcuni questi gli autori immagino fossero anche quelli che ascoltavi da giovane che ti hanno indirizzato alla carriera, da De André a De Gregori, tanto per citarne un paio.
Eh sì, io mi sono formato soprattutto sui cantautori, devo dire che ho imparato tantissimo dai dischi dei cantautori. Ho fatto degli studi classici di pianoforte, ma se io devo ricordarmi, per esempio, certe posizioni, certe impostazioni, le ho poi ritrovate nei dischi di Dalla, di Venditi, di Fossati, è lì che mi sono fatto la scuola vera. Poi quella del POP, quella della di questa comunicazione più diretta che era forma canzone, insomma. E poi sì, poi paradossalmente sono diventati poi i compagni di lavoro, alcune di dove non c’è adesso. Fare una cosa incredibile, insomma. 

Hai fatto 15 canzoni a Sanremo, se non sbaglio.
Ci sono stati tanti, tanti Sanremo. Belli, importanti. Tanti con Michele Zarrillo, “Cinque giorni”, “L’elefante e la farfalla”, tutte canzoni che poi sono rimaste nel tempo. Questo è una bella cosa, se pensiamo che quest’anno “Cinque giorni” ha preso un disco d’oro, a trent’anni dalla prima uscita no, è un segnale bello, nel senso che sono cose che non ha la sola durata di una stagione, di un’estate. Si può ancora pensare che la musica possa avere una vita più lunga, anche in un’epoca come questa, dove sembra che tutto sia destinato a bruciare in un attimo. 

Sì, davvero. Beh, per fortuna. Insomma, è anche un segno che la tua scrittura, la tua musica è sempre attuale. Se dopo trent’anni ancora vince dei premi, questo è un bel segno di vitalità.
Adesso “Ti perdi”, il primo singolo di questo di questo nuovo album, ha preso il premio Lunezia, che è dedicato proprio alla scrittura della canzone. Questo è già il terzo, l’avevo preso proprio ai tempi di “Cinque giorni”. Mi fa piacere l’idea che ci sia, al di là del tempo, il riconoscere il valore della scrittura a distanza di tanto tempo con canzoni completamente diverse. E questa cosa ti viene riconosciuta proprio da commissioni, da istituzioni che ti avevano valutato trent’anni fa, 25 anni fa, per altre cose. Questo fatto che ci sia questa continuità mi fa veramente tanto piacere. 

Il Lunezia è uno dei più importanti premi italiani. Fra tutte le collaborazioni, gli autori con cui hai lavorato, i cantanti, ce n’è uno in particolare di cui hai un ricordo speciale?
Beh, io ricordo molto, con molto affetto e con molta, sempre con molta sorpresa, il primo incontro con Renato Zero. Lo conobbi a casa di Antonello Venditti, lui mi chiese il numero; a quei tempi solo ci appuntammo i numeri su un foglietto, non c’erano ancora i cellulari. Non lo pensavo possibile, e invece mi chiamò, e quando andai a casa sua lui mi prese e mi portò in una stanza e mi lasciò lì chiuso. Lui se ne andò, con questa grande radio dove c’era una musica bellissima di Maurizio Capriccio e mi disse: “Ti lascio qui tutto il pomeriggio e devi uscire da questa stanza con un testo perfetto.”. Fu una cosa quasi inquietante (risate) 

Sequestrato da Renato Zero, questa è bellissima!
Un vero sequestro vero e proprio. Poi l’ho sentito tornare dopo qualche ora, sentivo la tazzina del caffè e compresi che stava tornando con il caffè. Ha aperto la porta mi ha detto: “Fammi vedere cos’hai scritto.”. Io avevo scritto tantissimo perché ero molto spaventato da questa cosa, di dalla paura di perdere questa occasione; quindi, avevo riempito fogli e fogli di appunti. Con un occhio di falco è andato su uno di questi fogli diretto, ha preso il foglio, siamo andati in studio a cantare. One shot, lui ha cantato questo testo e questa è stata la prima canzone che abbiamo pubblicato, poi che si chiamava “L’impossibile vivere”. E da lì abbiamo sempre collaborato in tutti i dischi, tutto è nato così, in maniera, ti ripeto, molto inquietante, ma con un finale molto positivo. 

Ma pensa te, ascolta, ma tu hai scritto, a parte le canzoni per Sanremo, anche per la TV, il teatro, il cinema. Ecco, hai delle preferenze o ti è indifferente l’approccio?
La canzone chiaramente è il primo amore, sempre un’isola felice per me, però devo dire che il teatro mi offre tantissime opportunità. Il teatro più della televisione, la televisione ti confesso che non mi fa impazzire, perché è molto irretita dentro sé stessa, dentro dei sistemi che tendono un pochino compilativi, più che creativi, e quindi è davvero difficile essere veramente creativi con la televisione. Il teatro ti dà tanto spazio, hai tanto margine per poter inventare o sperimentare. A me piace tantissimo, infatti in questo momento sono impegnatissimo con il teatro. A breve arriverà un musical che arriva dalla Francia, di cui ho curato la versione italiana. E questo Bernadette De Lourdes, che è stato un successo clamoroso in Francia con mezzo milione di spettatori. Per me l’importante è comunicare, possono cambiare i canali, ma il codice è quello della volontà di fare passare il tuo messaggio, i tuoi valori, per dare un senso a questa vita, che oggi non ti offre tanto fuori. Garantire quindi la creatività è per me una risorsa fondamentale. 

Oltre che strumento usi quando componi cosa usi? La chitarra, il piano?
Uso il pianoforte fondamentalmente, anche se in questo disco ci sono due brani che sono nati sulla chitarra, poi si sente perché sono anche nella realizzazione finale, molto chitarristici. Però il pianoforte è centrale per scrivere. È anche lo strumento che poi si traduce immediatamente nei concerti che faccio, perché alcuni li faccio con la band, altre volte vado invece in giro soltanto veramente un piano e voce. E quindi penso i brani sulla nascita, proprio sul nascere, come dire autosufficienti anche con il pianoforte, devono già stare in piedi così, in modo che io li possa poi rappresentare dal vivo anche quando sono da solo. 

Veniamo al tuo disco, questo disco nuovo, che mi verrebbe da dire che è molto sanremese come tonalità. Che cosa ti sei ispirato? Forse anche un poco introverso, un poco così malinconico.
L’album è tutto ispirato da questo concetto #PACE. Per me è fondamentale, si è arrivatI a parlare di guerre giuste, di paci ingiuste. Per me la parola pace deve tornare al centro della nostra esistenza, proprio per cui con, anche un poco di sfrontatezza retorica, ho voluto chiamare questo disco #PACE. L’hashtag davanti, con l’illusione che un hashtag possa veicolare maggiormente la parola, a proposito di linguaggi contemporanei; quindi, tutto il disco risente di questo. Ci sono temi violenti all’interno, in cui parlo delle carceri, c’è una canzone che ho sentito dagli ultimi della Terra. Ci sono tante finestre aperte su dimensioni di sofferenza e di negatività. #PACE è un disco, secondo me, molto luminoso, perché questa parola pace alla fine bagna un pochino tutte le canzoni. Questa visione comunque positiva, questa volontà di cercare uno spiraglio e di usare la canzone. Salire gradino per vedere oltre il muro, oltre quello che ci vogliono far vedere. La canzone ha avuto in altre stagioni questo ruolo, oggi non ce l’ha più. Ma con le canzoni si sono anche mossi grandi temi. La canzone è stata politica, è stata sociale, oggi è un pochino rinchiusa in certi limiti. Ma il mio desiderio è sempre quello di essere un pochino con gli occhi fuori dalla finestra, non guardare soltanto dentro casa mia. È un concetto proprio gandhiano di insistenza per la verità, che è una forma che oggi sembra impossibile, utopistica, anacronistica, tutto quello che vogliamo. Ma, secondo me, è lì la scelta, in questo modo ostinato. Andare dritti per la propria strada, a qualunque posto. Perché non vedo altre soluzioni possibili, se cominciamo a negoziare i problemi del mondo al tavolo, entrano altre cose; oltre all’economia, entra la politica, entrano conflitti ideologici, eccetera. La pace dovrebbe essere soprattutto questi elementi, questa entità. E quindi va solo abbracciata. Non può essere neanche discussa, ecco, in questo senso. 

Forse, il più pessimistico, fra virgolette, può essere il singolo. Ecco questo sguardo al passato che non puoi cambiare. Perché comunque è passato questo amore, quindi questo può essere.
Sì, e poi come al solito io uso l’amore, diciamo il tema dell’amore per una prima lettura epidermica, ma poi c’è sempre una seconda chiave, c’è questo senso di smarrimento che si può vivere in una storia finita che pensi di aver seppellito e poi improvvisamente riaffiora e ti travolge. E’ la relazione che crea l’identità e non il contrario? No, né con la rete ci sentiamo tutti universali, pieni di amici eterni. Ma alla fine siamo tutti soli se poi non scendiamo per strada e andiamo a cercare qualcuno veramente; quindi, in questo senso io dico che appunto è centrale l’idea di cercare i riferimenti, di cercare un senso di appartenenza. Attraverso una canzone d’amore, e per me una canzone profondamente sociale. 

A proposito di sociale, tu operi da anni tramite questa associazione in Colombia, che è una cosa bellissima, no? “Los ninos del mar”, per aiutare questi bambini.
Io ne parlo sempre poco di questo, stavolta, proprio come dire, mi veniva dal cuore chiudere l’album, che inizia con la voce dell’intelligenza artificiale, mi sembrava bello chiuderla, invece con la voce più naturale possibile, che è quella di questi bambini che vivono praticamente in uno spazio ai confini del Mar Pacifico, in Colombia, che è raggiungibile solo con la barca, quindi il massimo della purezza dell’incontaminato. Certe volte è difficile parlarne, però io comunque mi sono sempre mosso per questa Fondazione che ho praticamente creato insieme ad amici, e che in Colombia garantisce una casa, una scuola, a decine di bambini che altrimenti sarebbero persi loro, soprattutto in una dimensione che lì è, quella del turismo sessuale. Dove molte volte sono proprio i loro genitori a spingerli verso i turisti, chiamiamoli turisti, perché intravedono una possibilità di risorsa economica. Quindi la cosa fantastica è quello che è successo in questi anni con questi bambini; che attualmente vado a incontrare e che sono proprio loro che hanno dettato, diciamo l’insegnamento ai genitori. Perché hanno cominciato a studiare la musica, a fare artigianato, la cucina e quindi hanno fatto vedere ai genitori che ci sono ci sono anche altre possibilità di guadagno con i turisti per portare a casa delle monete del. Un piatto a tavola, magari cantando una canzone, magari facendo un oggetto artigianale o cucinando qualcosa per i turisti. Questa è stata la scommessa più bella, vinta in questo senso. 

Complimenti per la tua scrittura. Vabbè, tanto non scopriamo niente, ma in un momento, in un mondo in cui adesso domina sempre l’immagine, o brevi video, vedere delle scritture così raffinate fa sempre piacere.
Grazie. io sono consapevole del fatto che probabilmente non incrocerò, oppure non posso incrociare in maniera, come dire, mainstream l’idea di quel tipo di successo che spetta probabilmente ad altro tipo di artista, anche di fascia anagrafica. Però mi piace l’idea di coltivare molto la scrittura, la parola, quello che faccio, perché penso a una proiezione in avanti, che magari, anche fra 10 anni, fra vent’anni, queste canzoni possono essere ascoltate con la stessa naturalezza, proprio perché non rispondono a una moda che arriva e che passa, ad un linguaggio che oggi sembra consolidarsi e domani sparisce, no? Quindi è una scrittura un poco fuori dal tempo, molte volte. Questo può rappresentare un ostacolo per la comunicazione immediata ma, secondo me, alla lunga pagherà più di queste situazioni qua. 

Per finire direi, ora hai il nuovo disco, tu fai anche date dal vivo, pensi di portarlo in tour dal vivo?
Sì, sì, adesso cominciamo il 7 dicembre a Napoli al teatro Mediterraneo, poi starò dunque il 19 a Roma al teatro Gold. Noi andiamo il 20 giorni dopo a La Spezia al teatro civico, dove approfitterò per prendere anche il premio Lunezia. Poi me lo sto scordando, una a Castiglione Fiorentino e poi andiamo in Sicilia. Un giro un poco randomico, ma cerchiamo di farci scoprire un poco di più da tutta l’Italia. Poi avremo anche la primavera e l’estate. Sarà un lungo viaggio, anche perché vorrei far conoscere tutte le canzoni, poi io nei miei concerti oltre ai miei brani, propongo anche il mio percorso di autore. È un’occasione di incontro con la gente che, molte volte non sa che quella canzone appartiene a me, e lo scopre in quell’occasione, oppure, che ne so, la rivive in quel momento. Me la canta felice, quindi è un concetto molto interattivo, piacevole, quindi cercherò di fare più date possibile. 

MAURIZIO DONINI

Band:
Vincenzo Incenzo

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