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SAX THIS CANDY – Intervista alla rock band pescarese

SAX THIS CANDY – Intervista alla rock band pescarese

I Sax This Candy si formano a Pescara e hanno molti anni di attività alle spalle, una band difficile da etichettare e forse è proprio questa la loro forza. E’ uscito da poco il loro nuovo album “God Is My Witness” (leggi qui la recensione) e per conoscerli meglio di seguito la mia intervista alla band.

Ciao e benvenuti su Tuttorock. Molti anni di attività, ma come è nato tutto?
Il gruppo nasce a Pescara da una conoscenza prettamente artistica. Ci seguivamo rispettivamente con le nostre vecchie band (Virgin LoveJuice, Ovadia, Roadkill Dogs, Reparto 6, Intifada) e alla fine il cantante Fabio ci ha messi insieme in sala prove nei suoi studi di “Grammofono alla Nitro”. Da subito il feeling è scattato e le idee si sono concretizzate in maniera fluida e costante.

Quale è il significato del nome Sax This Candy e perché lo avete scelto?
Quella del nome è una storia che parte da Bruxelles e torna a Pescara. La genesi è data da un’insegna di un negozio di dolciumi nella capitale belga, avvistata dal nostro chitarrista Ivano, con scritto “Suck this candy!”; anni dopo, durante una pausa dalle prove in studio, un disco dei Morphine suonava dalla regia e il Sassofono baritono di Dana Colley fu come se si accinse a coniare immediatamente il verbo “To Sax”. La cosa ci piacque e ci permise di giocare su questo nome.

Come nascono i brani del nuovo album “God Is My Witness”?
I brani di “God is my witness” vengono da lontano. Con l’uscita del batterista che ha collaborato al primo album, avevamo già tra le mani parti di bozze per un nuovo repertorio. Cogliendo l’occasione abbiamo sperimentato l’elettronica ed un nuovo modo di comporre musica e arrangiamenti. Abbiamo poi continuato a mettere carne al fuoco con la creazione di nuovi pezzi, tra cui alcuni già in cantiere per un eventuale nuovo lavoro.

Quale è il significato del titolo e dei testi?
“God is my witness” è la title track. Il brano, così come poi il titolo e la copertina del disco sono un richiamo all’ipocrisia dilagante che muove tutti gli aspetti della società attuale, dove tutti cercano un colpevole per i loro stessi misfatti, ma nessuno interroga mai davvero se stesso. Oggi, nel nostro Mondo, nessuno è innocente. Per citare una frase della canzone: “eye behind the keyhole – one hand on the Bible – one hand on rifle – I’m the Messiah and disciple”. In generale, la nostra parte musicale è frutto di riff e temi da parte di chitarra (Ivano Ursini) e basso (Giannicola D’Angelo); il tutto viene poi arrangiato tutti insieme attraverso session e buona parte di istinto. I testi sono a cura del cantante Fabio Di Zio aka Artista Sadico.

“Coke & Bombs” ha attinenza alle guerre che ci sono oggi nel mondo?
Assolutamente si, ma ha attinenza anche con l’assuefazione che questo tema ha prodotto nella società. Per capire l’avvilente normalizzazione della guerra nelle nostre vite di occidentali bisogna mettere in luce una questione fondamentale: oggi siamo mediaticamente presi da due orrendi conflitti di cui sappiamo moltissimo, Ucraina e Medio-Oriente, ma in pochissimi sanno che nello stesso momento nel mondo sono attive 55 guerre fra Stati e regioni etniche, conflitti dimenticati che provocano morti, distruzione e migliaia di profughi. Un vero e proprio inferno in terra.

Due video molto particolari, quello di Dead End” e di “Human Piggy Banks”, il loro significato?
Con questi videoclip, scritti e diretti dal nostro bassista Giannicola D’Angelo e con la fotografia del nostro chitarrista Ivano Ursini (noto light designer per diversi artisti italiani e internazionali) abbiamo voluto mettere in scena alcuni temi presenti nel nostro quotidiano, a partire dalle nevrosi che affliggono il nostro tessuto sociale, come nel caso di Human Piggy Banks, in cui il Dio denaro è il filo rosso che collega tutto, dalle religioni alla politica, passando per l’educazione e l’istruzione. In Dead End invece al centro c’è l’ignoto, l’incertezza, ma anche quel sentimento di rassegnazione che purtroppo serpeggia nel nostro tempo.

Siete cambiati dai vostri esordi, per voi quanto siete cambiati?
Certo che siamo cambiati, direi invecchiati… Ma questo cambiamento è consapevole e ci permette di essere fedeli a noi stessi ma mai uguali a noi stessi. Il purismo è la rovina dell’arte.

Le differenze tra i vostri album?
Nel primo album c’è un istinto grezzo. In “God is my witness” lo stesso istinto è più ragionato, vissuto con la giusta tensione ma anche con la necessaria razionalità.

Il significato del disegno di copertina?
Il segno di Caino. Nessuno può toccarmi. Solo Dio è testimone di me stesso, e con Dio intendiamo qualcosa di molto più universale dell’accezione religiosa.

Avete un sound difficile da descrivere, ma alla domanda “che genere di musica fate?” Voi rispondete?
Possiamo rispondere con i nostri mostri sacri di riferimento. La nostra musica attinge di base alla no-wave statunitense e al post-punk ma è influenzata da una grande varietà di fonti: dalle atmosfere noir de Bad Seeds allo stile più nevrotico dei Pere Ubu, così come i Joy Division, Butthole Surfers, Bauhaus, The Pop Group e Black Flag. In questo momento, con le dovute precisazioni, la definiremmo electro-punk; di certo, però, il concetto di no-wave, appunto, è ciò che meglio ci descrive.

State preparando un tour?
Per questa estate abbiamo delle date in alcuni locali e festival, ma è per il prossimo autunno che stiamo concentrando concerti e tour.

Chiudete l’intervista come volete, un messaggio per ascoltare la vostra musica.
Ci auguriamo che il nostro ultimo album riceva il giusto riscontro. Per le nuove produzioni siamo aperti a collaborazioni ed eventuali featuring con artisti e musicisti che apprezzano e seguono la nostra “non-onda”.

FABIO LOFFREDO