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“RUMORE BIANCO” – IL PRIMO DISCO DEI SATIVA ROSE, PROGETTO ARTISTICO RAF …

“RUMORE BIANCO” – IL PRIMO DISCO DEI SATIVA ROSE, PROGETTO ARTISTICO RAF …

Oggi vogliamo parlarvi di un progetto artistico molto raffinato e interessante, sound elettronico e poetico quello dei Sativa Rose con “Rumore Bianco“. Il progetto Sativa Rose nasce a Roma verso la fine del 2012 con Alessio Mazzeo.
Una questione davvero di stile. Un collettivo iniziale di musicisti – qualcuno dice “dream pop” – che si incontra e si trova per affinare progettualità varie, le idee di sound e le composizioni del suo fondatore. In questo primo ciclo di sperimentazione artistica, i Sativa Rose partecipano ad Area Sanremo, nell’edizione 2013, presentando il brano inedito “Linguaggio Superficiale”, canzone che raggiungerà le semifinali del concorso e che poi sarà tradotta in demo. Ma come nasce il nome che dà il titolo al progetto artistico, gruppo prima e singolo, dopo? Il nome “Sativa Rose” – Alessio Mazzeo ce lo ha detto anche in precedenza – nasce come forma di protesta e provocazione, nome a simbolo di contrasto ai tabù che la società impone, come provocazione di un ascolto “borghese”. Nell’aprile del 2019, Sativa Rose assume definitivamente le vesti di progetto solista, trovando una dimensione più personale, libera, indipendente e svincolata dalle dinamiche del mainstream.  Oggi si parla molto di mainstream. Nello stesso mese, Alessio Mazzeo firma come Sativa Rose per l’etichetta milanese indipendente Grifo Dischi. La libertà dell’indipendenza “contro” le logiche majors.  Vogliamo anche ricordare che la pubblicazione di Rumore Bianco, viene più volte rimandata a causa dell’emergenza sanitaria, problema che determina l’annullamento dell’intero tour promozionale del disco e che ha visto tutta la musica, in generale, in difficoltà in questo anno complicatissimo.  Ma andiamo ai brani, raffinatissimi, pieni, ricchi di spunti e di sound. Quattro brani del disco vengono rilasciati come singoli, i primi estratti sono: “Milano Nord”, “Il Gioco”, “Ti Annoi” e “Non Dire Una Parola”.
Abbiamo intervistato Alessio Mazzeo per Tuttorock e vi facciamo ascoltare uno dei brani, il bellissimo e intenso “Milano Nord”:

Come nasce il progetto Sativa Rose e quando?

Nasce per esigenza, in un periodo di cambiamento, in cui a Roma ci si iniziò a rendere conto che la musica italiana non parlava più di noi e che era arrivato il momento di dare una svolta. Si percepiva voglia di
cambiamento nell’aria. Contessa ci riuscì prima degli altri, ma l’immaginario e le motivazioni di fondo erano le stesse. Quando sentii per la prima volta “I Pariolini di Diciott’anni”, pensai che era un
brano che avrei potuto scrivere io. Andavamo nello stesso liceo Contessa ed io. Quando lui era all’ultimo anno io frequentavo il ginnasio ma i luoghi e le situazioni erano quelli. Quella canzone fu un manifesto, una chiamata alle armi.

Il nome “Sativa Rose” nasce come forma di protesta, provocazione o cosa?
Provocazione. Nei confronti dell’ascoltatore, in realtà. L’ascoltatore borghese, che nella musica cercava sole cuore e amore. Il cambio di rotta, di cui parlavo, si doveva avvertire già dal nome. Qualcosa che facesse capire all’ascoltatore che non avremmo fatto buon viso a cattivo gioco, che avremmo attinto dalle zone d’ombra, dalle nostre esperienze. Kutso, i Mostri, I Cani, Sativa Rose… tra il 2009 ed il 2012, a Roma,
successe un po’ quello che avvenne in Inghilterra con la Thatcher, quando il post punk più underground divenne indie e, piu tardi, l’indie brit-pop. Tant’è che anche noi ci siamo lasciati alle spalle la fase indie in favore dell’it-pop; e stiamo per abbandonare anche questa fase.
La scena, ed anche Sativa Rose, nacque a seguito della forte destabilizzazione causata dal crollo Lehman Brothers e dalla bolla dei mutui sub-prime, che durò almeno fino a tutto il 2012. In quegli anni il
mondo per cui eravamo stati preparati e che stavamo iniziando a conoscere si sgretolò sotto i nostri piedi. Fu quel senso di incertezza verso il futuro, quell’ansia generazionale e quel senso di frustrazione
ad ispirare ed a motivare la scena indipendente romana. Che fece da apripista alle altre… Pensa che questo fu il soggetto della mia tesi di laurea.

Nel primo ciclo, vi presentate a AREA SANREMO, nel 2013: cosa resta
di quella esperienza?
Dei bellissimi ricordi e qualche piccola soddisfazione, ma poco altro. Al tempo non avevamo nessuno a seguirci… eravamo naif. In quel contesto capii quanto avere un team alle spalle faccia la differenza, se
si ambisce alla scena che conta. Eravamo il manzoniano vaso di coccio in mezzo a tanti vasi di ferro, fu un miracolo riuscire ad accedere alle semifinali… e ringrazierò sempre Omar Pedrini per il suo supporto.

Nel 2017, diventate un trio ma già dal 2019 proponi progetti artistici sia da singolo che accompagnato dalla band, per poi assumere definitivamente il progetto singolo, da solo. Ti va di ricordarlo?
Trovo noiose le cronologie, comunque, dopo l’esperienza nella città dei fiori, fino al 2017 il progetto si prese una pausa di riflessione. Anche perché, pur suonando tutte le settimane, al tempo la scena non
esisteva, così come non esisteva il concetto di viral o di hype, e con i live non si alzava tanto. Nel 2017 da quattro passammo a tre, a scapito delle chitarre… Poi, dopo il primo tour nell’estate del 2018,
successero una serie di eventi a catena, che rischiarono di fermare definitivamente il progetto. Dopo un 2019 di riequilibratura, condito da molte sessioni di studio, con una pandemia ormai in atto, la scelta di
far diventare Sativa Rose un progetto solista divenne organica. Era una cosa che mi veniva consigliata da anni, essendo l’unico autore e compositore, ma l’idea di band mi aveva sempre ispirato ed ho cercato di
farla durare il più possibile.

Parliamo di “Rumore bianco”: come nasce, qual è il filo conduttore o meglio ancora, l’idea comune?
Rumore bianco è un rumore di fondo. Quindi è qualcosa di presente, anche se dopo un po’ non ci fa più caso. Per questo può essere molte cose. I rumori della città, dei pensieri, il clamore sensazionalista di matrice occidentale, i trend dei social, il chiacchiericcio o il suono dell’aereo in volo. Rumore Bianco è per me la migliore sintesi tra dentro e fuori. Un binomio che al suo interno racchiude tutto il resto. Un concetto onnicomprensivo, ma aperto ad interpretazioni soggettive. Rumore Bianco è il primo album di Sativa Rose.

Un tuo pensiero sui luoghi di cultura chiusi, live fermi, teatri e cinema ancora chiusi.  La crisi dello spettacolo e della musica è davvero nera:
L’emergenza sanitaria ha portato conseguenze gravi alle persone, innanzitutto. Arti e mestieri vengono in un secondo momento, a mio avviso. Soprattutto perché esistono in funzione della socialità, per
arricchirla e soddisfarla. Non reputo efficace alimentare il vittimismo, equivarrebbe a chiudere la testa in una scatola e lamentarsi se si sbatte a uno spigolo. Sicuramente, le arti sono state vessate dal virus;
tuttavia, nessuno si sta facendo la domanda giusta: la pandemia ha portato la crisi, oppure ha solo messo in risalto le criticità di un settore già crisi? Tolto qualche live e qualche mostra, qualche serata a cinema o a teatro; le persone ormai sono abituate a fare tutto da casa e ad essere
super-stimolate. Dal vedere un appartamento al fare una riunione, fino al conoscere una
persona o al lavorare. L’arte non lavora da casa e adesso viene penalizzata di più, ma sono anni che perde terreno nei confronti del pubblico. Non a causa sua, è il pubblico ad essere cambiato.
L’attenzione del pubblico è cambiata, le esigenze sono cambiate. Così come la voglia di scoprire e sostenere nuovi artisti. Il problema è che la musica, dal walkman in poi, è diventata talmente una necessità che il pubblico ha assunto la convinzione che debba essere gratuita, come il sole; o a buon prezzo, come il pane. Così, negli anni, le spese hanno seguito l’inflazione e sono aumentate, mentre i guadagni si sono via via ridotti, ed oggi sono all’osso. I grandi sold out erano il canto del cigno di un settore che senza pubblico pagante non riesce a sopravvivere. Perché sempre più artisti indipendenti vanno a Sanremo? Perché si sono stufati di dover fare il secondo lavoro. Senza vetrine del genere, ed una major alle spalle, non si arriva a fine mese. Neppure con milioni di play, figurarsi con migliaia. Però il pubblico è viziato,
e si lamenta della musica “moderna”… di questo passo l’indipendente scomparirà, servirà solo come vivaio per le major. Le uniche produzioni indipendenti a sopravvivere saranno quelle in inglese; agevolate dal respiro internazionale. Respiro (e numeri) che un mercato periferico come il nostro non ha.

Sicuramente, hai detto bene, la pandemia ha evidenziato un settore in crisi. Ti chiedo, la musica resiste? Resistenza o resilienza?
La musica sopravvive e sopravviverà perché è una necessità. Sia per chi la ascolta sia per chi la crea.

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Alessandra Paparelli