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RAOUL MORETTI – Intervista all’arpista italo-svizzero

RAOUL MORETTI – Intervista all’arpista italo-svizzero

In occasione dell’uscita del nuovo album “LE INTERMITTENZE DELLA VITA” ho intervistato il musicista RAOUL MORETTI.

Raoul Moretti è un arpista italo-svizzero versatile e sperimentale, con un approccio molto originale allo strumento. Oggi è uno degli arpisti più innovatori con una traiettoria artistica internazionale, esibendosi in oltre 20 Paesi in tutto il mondo e portando la sua arpa in differenti generi musicali come avant-garde, pop-rock, electronics e classic, in altre forme d’arte come danza, pittura, cinema e video-installazioni e, infine, in teatri, discoteche, strade, strutture ospedaliere e stazioni. In vent’anni di attività, dopo esperienze in ambito classico cameristico e lirico-sinfonico, ha collaborato con tanti artisti, come la violoncellista Julia Kent, il violinista e cantautore Michele Gazich, Paolo Fresu, Gavino Murgia, Franco Mussida, Davide Van de Sfroos, il gruppo svizzero Vad Vuc, i Maisie, Max Brigante, Fiorello, il comico Leonardo Manera, l’attrice Isabella Carloni, i video artisti Olo Creative Farm e i progetti Nichelodeon e Wuji Ensemble. All’attivo ha una ventina di incisioni discografiche, tra i quali tre dischi da solista per arpa elettrica. Ha vinto il premio L’artista che non c’era 2020, il premio Archivio Cervo 2020 in duo con Beppe Dettori ed è arrivato come finalista alle Targhe Tenco 2020. È l’ideatore e il direttore artistico del Festival Internazionale Arpe del Mondo, che riunisce in Sardegna i migliori arpisti di tutti i generi da ogni parte del mondo.

Buongiorno Raoul, un disco decisamente sorprendente, innanzitutto il percorso, se la pandemia è al centro di tanti dischi usciti nel periodo, il tuo è qualcosa che va oltre il classico album post-covid, intersecando molte sfaccettature.
Buongiorno Maurizio e grazie per lo spazio dedicatomi. Durante il periodo pandemico con il blocco delle attività dal vivo, la parte di studio, della ricerca e della creazione è stata non solo un’opportunità amplificata di tempo a disposizione, ma anche una necessità, un’urgenza e un rifugio. Nello stesso periodo ho realizzato anche l’album Animas, in duo con il cantante Beppe Dettori, ma Le Intermittenze della vita vuole essere proprio un diario di bordo musicale del tempo che abbiamo trascorso. Un racconto in musica di questo tempo extra-ordinario in cui abbiamo cambiato le nostre routine quotidiane, con tutte le implicazioni psicologiche, sociali ed economiche. Un tentativo anche di inizio di rielaborazione di questa esperienza vissuta e che ancora ci coinvolge.  Il disco diviso in 4 parti, di tre brani ciascuna, segue quasi un percorso cronologico: all’inizio uno sguardo verso l’esterno dalle nostre finestre e verso le immagini che ci arrivavano dalla Cina nel primo periodo di lockdown totale, poi una seconda parte dove lo sguardo volge a sé stessi, alle conseguenze psicologiche, emotive, per chiudere con la speranza ed una forza nascente. 

Come leggevo nella presentazione, l’idea era quella di farne la colonna sonora di un film distopico, e all’ascolto pare proprio perfetto per questo. È un’eventualità che può concretizzarsi in futuro?
In fase compositiva, associo spesso la mia musica all’immagine, nel senso che sono legato al discorso di “concept” per cui descrivo qualcosa in musica. Sì, penso davvero che la mia musica possa benissimo diventare colonna sonora. Così come ho interagito con tante forme di arte, dal teatro alla danza, dalla poesia alla pittura, mi piacerebbe davvero molto avere questo tipo di collaborazione futura. 

Vuole raccontarci quali sono stati i primi ascolti che l’hanno indirizzata alla musica?
Sin da bambino ho avuto una formazione assolutamente classica. Mia madre mi portava a tutte le stagioni di concerti di Como, la mia città di nascita. A 8 anni ho iniziato a studiare pianoforte ed ascoltavo musica sinfonica della collezione di vinili che avevo in casa.  Intorno ai 12 anni ho iniziato ad ascoltare altro, a partire dai Pink Floyd, per poi estendere l’ascolto alla musica che arrivava dalla Gran Bretagna, principalmente, dal progressive alla new wave. Questi sono stati i primi ascolti. A 15 anni poi ho iniziato a studiare l’arpa in Conservatorio. 

L’arpa elettrica non è uno strumento conosciutissimo, come si è avvicinato a questo?
Dopo il percorso classico e le esperienze in tale ambito, ho sempre sentito l’esigenza di confrontarmi con musicisti provenienti da altri generi, e avere un approccio più pop-rock.  Quindi, parallelamente ho preso una delle prime arpe, cosiddette celtiche, che si stavano diffondendo anche in Italia, e ho iniziato a sperimentare con pedaliere varie. Questo strumento, sebbene più limitato armonicamente, era più adatto ad essere suonato e trasportato in certi ambiti, dando una grande libertà. Il passaggio ad uno strumento professionale elettrico è stato poi quasi immediato, così come la ricerca sonora, timbrica, rumoristica e l’uso di tecniche non convenzionali. Un percorso oramai di 25 anni. La mission è quella di comunicare una visione dello strumento e della sua versatilità a 360 gradi, che abbracci la contemporaneità, per una maggiore diffusione, che vada oltre alla sua importante storia millenaria ed alle sue tradizioni. 

Come è avvenuto l’incontro e la collaborazione con Beppe Dettori?
Con Beppe lavoriamo insieme da 10 anni, quando all’epoca entrai in un gruppo in cui avevano bisogno di un arpista.  Finita quella esperienza, nel frattempo era nata una profonda stima, amicizia e sintonia e abbiamo visto che anche a livello artistico il connubio in duo poteva continuare. Abbiamo affinato il nostro sound nei concerti dal vivo, calibrato la proposta musicale, partecipato io ai suoi lavori e viceversa, fino a realizzare 3 album fortunati negli ultimi anni.  In questo caso, nel mio lavoro che ha solo tre featuring dedicati alle corde, lui utilizza le corde vocali proprio come uno strumento. 

Altrettanto inconsueti gli strumenti usati nel disco, il Guzheng e il Gugin, di cosa si tratta e come è avvenuto questo inserimento?
Sono due strumenti tradizionali cinesi a corde pizzicate. Nel secondo blocco del disco dedicato alla Cina, ho pensato a queste collaborazioni. Wan Xing è una straordinaria suonatrice di guzheng, ci siamo incontrati nel 2017 per una produzione ad Hong Kong e da allora collaboriamo. L’ho invitata in Sardegna nel 2018, abbiamo realizzato poi un video durante la pandemia e stiamo progettando concerti futuri. Lei stessa mi ha poi messo in contatto con Chan Shek Ming che suona il guqin, del cui timbro mi ero innamorato in un tour in Cina. Ambedue hanno accettato entusiasticamente l’invito a distanza e hanno saputo declinare due strumenti tradizionali in un sound assolutamente contemporaneo.

Ha collaborato con tanti grandi artisti, ce n’è uno con cui vorrebbe collaborare in futuro?
Ogni collaborazione è un grande arricchimento, anche se magari solo per il tempo di un brano su un palco oppure in studio. Difficile da dire, ma visto che la tua domanda verte verso il “mondo dei desideri e sogni”, ti dico Peter Gabriel.  Mi ricollego alla tua domanda precedente sui primi ascolti, è stato il mio primo “grande” concerto a cui ho assistito a 15 anni, è l’artista che abbiamo omaggiato nell’ultimo album Animas con Beppe. 

Progetti futuri? Questo album sarà portato anche dal vivo?
Sto programmando la ripresa dell’attività dal vivo, almeno dall’Italia per iniziare. Purtroppo l’attività internazionale che pre-pandemia era importante, per adesso ancora sembra partire con cautela. Alcuni brani di questo disco faranno parte, insieme ad altri dei tre album precedenti, di una proposta di concerto dal titolo Travelling Colours, che prevede un flusso sonoro continuo che passa da un brano all’altro con uno sfondo cromatico di visuals che scorrono. Contemporaneamente, saremo in giro con Beppe a suonare i nostri album Animas ed Incanto Rituale. 

MAURIZIO DONINI

Band:
Raoul Moretti

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