Purple Beach: l’alienante twist elettronico delle Wasabi
Lo scorso Ottobre sono stato a Cosenza per Music For Change, in qualità di giudice, ed ho potuto ascoltare e conoscere musicisti davvero in gamba. Tra loro c’era un trio di ragazze romane chiamate Wasabi contraddistinte da un sound tra vaporwave e synth-pop, e da un’estetica che flirta con l’universo nipponico.
Le ho trovate decisamente interessanti cosicché qualche giorno fa ho contattato Claire, voce e tastiere del gruppo, per saperne più.
Di seguito l’intervista completa.
Da poco è uscito il vostro nuovo singolo Purple Beach. Sentendo il rumore del mare e i suoni sintetici con cui si apre il brano ho immediatamente pensato a Summer on a Solitary Beach di Battiato. Come nasce questo pezzo?
Non sei il primo che ci dice questa cosa del riferimento a Battiato, non è stata voluta, forse l’inconscio ci ha portate lì. Siamo partite con l’idea di realizzare qualcosa che fosse un po’ più semplice rispetto alle altre fatte finora, senza però rinunciare a ciò che ci piace. Abbiamo provato con gli anni ‘60. Io li amo e ho indotto questo piacere alle altre due, che sono Lexi e Simo (rispettivamente basso e batteria ndr.).Quindi abbiamo cominciato buttando giù una linea di basso, che è quella che si sente in modo reiterato all’interno del pezzo, abbastanza orecchiabile e in un qualche modo “già sentita”. Da lì abbiamo costruito la canzone che, al contrario di quello che può sembrare dalla tonalità accesa e solare, a livello testuale è molto malinconica. Parla infatti dei momenti in cui si soffre a causa dell’incapacità di capire come ci si sente. Con questo ronzio nella testa che non ci dà tregua. Purple Beach è quindi una sorta di sfogo personale riguardo il suddetto stato d’animo.
Tu sei l’autrice del testo di Purple Beach e dei brani del vostro precedente EP Verde. Mi sembra di percepire al loro interno, come filo conduttore, un senso di alienazione.
Come mai questa scelta?
Sì, non so se sono i miei studi in psicologia o gli anni in conservatorio ad avermi portato a questa malinconia cronica (ride ndr.). Diciamo però che per me scrivere testi è come liberarmi di qualcosa che mi fa star male. Rappresenta quasi un esercizio terapeutico.
Scrivendo da una parte sto peggio, perché in un certo senso sono più consapevole della sofferenza, ma dall’altra mi sento meglio, perché è come se la stessi tirando fuori. Nei nostri testi ci sono spesso argomenti che riguardano la salute mentale, e quindi le emozioni fondamentalmente. Tra l’altro nell’EP c’è un brano intitolato Mia che noi abbiamo ’ mascherato con delle metafore ma che in realtà parla di disturbi alimentari, con il corpo che viene percepito come dilatato, formicolante, distorto.
A noi piace camuffare un po’ le cose quindi magari non arriva subito il reale significato che c’è dietro.
Purple Beach presenta un netto cambio di sonorità rispetto a Verde, è questa la “veste” in cui vi vedete al momento?
Verde per noi è stato un po’ un esperimento poiché è l’EP con il quale ha avuto inizio il progetto Wasabi. Quindi tutto il processo che ha dato vita al sound di quel disco coincide in parte con il percorso di conoscenza tra noi tre, che veniamo da mondi musicali diversi. Adesso stiamo provando a muoverci in altre direzioni, siamo vittime del cambiamento, ci saranno in futuro brani con un sound più rockeggiante e altri più pop, mantenendo però lo stile energico e malinconico che ci caratterizza.
C’è quindi un nuovo disco che si intravede all’orizzonte di Purple Beach?
Sì, diciamo che questo singolo è uno spartiacque tra quello che è stato e quello che verrà. Usciranno altre canzoni. Alcune le abbiamo già scritte, altre le stiamo ultimando e credo che in generale tra qualche mesetto prenderanno vita.
Non posso non chiederti di Music For Change, come avete vissuto questa esperienza e com’è stato realizzare il brano che avete presentato alle sfide?
Abbiamo adorato Music For Change, ci siamo trovate benissimo e ripeteremmo l’esperienza mille volte. Ovviamente ci è dispiaciuto non poter entrare ai bocs, ci abbiamo sperato tantissimo. Ma è stato bello anche solo competere poichè ci siamo confrontate con musicisti bravissimi. Il livello era alto e le canzoni che sono state presentate erano veramente belle. Dunque dal punto di vista dello scambio artistico è stato molto proficuo e stimolante. Poi c’è stata anche la sfida con noi stesse di scrivere un brano sotto la direzione di qualcun altro. C’era un argomento preciso come tema del pezzo mentre noi di solito partiamo dalle emozioni. Quindi iniziare a scrivere in questa maniera è stato qualcosa di destabilizzante, almeno all’inizio. Sono una grande appassionata di fantascienza e avere un tema come quello dell’ecologia e dell’ambiente mi ha subito fatto pensare allo spazio. Dunque attraverso ciò abbiamo interpretato all’interno della canzone il tema assegnatoci. Non vediamo l’ora di farla uscire perché è anche una dimostrazione nei nostri confronti di essere state capaci a produrre qualcosa in maniera differente rispetto al solito approccio creativo.
Dal punto di vista dell’outfit, come siete arrivate alla scelta di presentarvi con questo look estremamente colorato che strizza più di un occhio al Giappone?
Diciamo che è nato tutto dal nostro nome, che a sua volta è nato giocando. A Lexi era venuta in mente l’idea di usare una parola intraducibile come nome del gruppo, e cercando tra le varie lingue è uscito “Wabi-Sabi” che vuol dire “la bellezza delle cose imperfette”.
Ci saremmo dovute chiamare così ma scherzando è venuto fuori “Wasabi” ed è subito piaciuto a tutte e tre. Di conseguenza ci siamo buttate su questo filone giapponese, che a me fa impazzire. Da lì abbiamo deciso di vestirci con i kimono, usando colori molto accesi che richiamassero un po’ il mondo degli anime, senza però rischiare di arrivare al cosplay.
Tant’è che in un’intervista ci hanno detto che la nostra musica starebbe bene come colonna sonora di un anime giapponese. Per noi sarebbe un sogno poterne realizzare una.
Mi dici un disco importante per te dal punto di vista artistico e uno a livello affettivo?
Ce ne sono tanti,mi è molto difficile scegliere, anche perché ho degli ascolti assai diversi tra loro. Diciamo che ultimamente tra gli autori che stanno cambiando il mio orecchio ci sono soprattutto Tame Impala e gli MGMT. Degli ultimi c’è quest’album chiamato Little Dark Age che ho ascoltato a ripetizione e che in parte si è insinuato dentro di me con la sua elettronica. Nel mio percorso da ascoltatrice trovano posto prepotentemente i Paramore. La prima volta che mi sono imbattuta nella loro musica avrò avuto 14 anni ed ho subito amato Hayley Williams. Adoro il modo in cui si trasformano di album in album, conservando però la loro identità.
Avete dei concerti in programma o delle news che volete comunicare ai lettori di TuttoRock?
Abbiamo suonato molto fino a due settimane fa e adesso ci stiamo prendendo una pausa dai palchi. Fosse per noi suoneremmo tutti i giorni, ma dobbiamo dedicare del tempo alle canzoni da sistemare. Forse faremo una presentazione per il videoclip di Purple Beach che dovrebbe uscire a metà Novembre.In ogni caso chi vuole può seguirci sui social per rimanere aggiornato riguardo qualsiasi novità legata al mondo Wasabi.
Grazie Claire è stato un piacere fare questa chiacchierata!
Piacere mio, grazie mille a te!
Intervista a cura di Francesco Vaccaro
Band:
Voce, Tastiere, Elettronica: Chiara Sella
Basso: Alessandra Garofalo
Batteria: Simona Mellone
Studente di Ingegneria delle Telecomunicazioni presso l'università La Sapienza di Roma, da sempre animato dalla passione per la musica. Nel 2012 entra nel mondo dell'informazione musicale dove lavora alla nascita e all'affermazione del portale Warning Rock. Dal 2016 entra a far parte di TuttoRock del quale ne è attualmente il Direttore Editoriale, con all'attivo innumerevoli articoli tra recensioni, live-report, interviste e varie rubriche. Nel 2018, insieme al socio e amico Cristian Orlandi, crea Undone Project, rassegna di musica sperimentale che rappresenta in pieno la sua concezione artistica. Una musica libera, senza barriere né etichette, infiammata dall'amore di chi la crea e dalle emozioni di chi la ascolta.