PINO SCOTTO – Intervista all’icona del rock italiano
In occasione dell’uscita dell’album dal vivo “LIVE ‘N BAD” (Nadir Music), ho avuto il piacere di fare una nuova chiacchierata con un’icona del panorama rock italiano, ovvero il carismatico Pino Scotto. Dopo il grande successo di pubblico e critica ottenuto con il suo ultimo album “Dog Eat Dog”, prima di proseguire con l’omonimo tour che andrà avanti fino alla fine dell’anno, Pino Scotto ha registrato uno dei suoi recenti concerti, in cui è stato accompagnato dalla sua band composta da Steve Volta alla chitarra, da Gianantonio Felice al basso e da Luca Mazzucconi alla batteria.
Ciao Pino, bentornato su TuttoRock, venerdì uscirà “LIVE ‘N BAD”, hai voluto fare un regalo ai tuoi fan immortalando un concerto, quando ti è venuta quest’idea?
Ciao Marco, la mia intenzione, siccome da anni dico che vorrei tornare al blues per riscrivere la storia daccapo, era di fare un album propriamente blues. Ho un sacco di materiale pronto poi, con il lockdown e tutti i casini annessi, essendo anche un lavoro complesso e siccome andrò avanti col tour fino ad estate inoltrata, direi quasi fino alla fine dell’anno, ho voluto, per tutti quelli che non sono potuti venire e per quelli che verranno e si vorranno portare a casa, speriamo, il cd del live, registrare questa serata in modo che suonasse come un disco degli anni ’70, senza trucchi. L’ho voluto nudo e crudo, visto che ci sono band oggi che, grazie alla tecnologia, suonano dal vivo e non ti accorgi nemmeno che hanno tutto registrato, parlo naturalmente delle grosse produzioni. Guarda cosa sta venendo fuori con la storia dei Kiss con Stanley che non canta dal vivo e ha le basi registrate, oggi purtroppo la tecnologia ti permette anche questo. Io ho registrato questo disco con un computer, poi l’ho mixato insieme a Tommy Talamanca, chitarrista dei Sadist.
Una cosa che apprezzo molto, e di cui non avevo dubbi, è che hai inserito gli assoli di batteria, basso e chitarra come tracce separate, questo lo leggo come la tua volontà di sottolineare l’importanza della band come un elemento fondamentale, non come fanno alcuni frontman che considerano gli altri musicisti un semplice contorno.
Hai capito tutto, grande Marco!
Ho sempre cercato di dare ai musicisti che suonano con me l’importanza che meritano. È la mia band, anche se non siamo un gruppo in stile Vanadium, è comunque la band che suona con Pino Scotto ed è giusto così.
Parlando appunto dei Vanadium, di cui hai inserito tre brani, qual è il momento più bello e quello più brutto di quel periodo?
Il momento più bello fu quando, anche se avevamo già fatto un bel tour dopo il primo disco, dopo il secondo album, “A Race with the Devil”, andammo a fare il soundcheck della prima data in programma (ed allora non è come adesso in cui ci sono mille spazi, a Milano per le cose grosse c’era il Rolling Stone e nient’altro), poi andammo in una pizzeria di fronte al locale. Mentre mangiavamo, ad un certo punto uno di noi si alzò per andare a prendere qualcosa in macchina e, uscito fuori, ci disse: “Ragazzi, davanti al Rolling Stone c’è una montagna di gente!”. Uscimmo e c’era un migliaio di persone, lì mi ricordo che provai un’emozione grandissima. Il momento più brutto, invece, fu quando uscì il nostro album “Corruption of Innocence”. Dieci giorni dopo l’uscita fallì la Durium, la nostra etichetta, rimanemmo quindi bloccati per due anni.
C’è un momento che mi ha fatto molto sorridere, quando, prima di “Come Noi”, parli della tua volontà di contaminare la tua musica con l’hip-hop e che, per i tuoi problemi di vista, non ti eri accorto che qualcuno di loro portava il Rolex al polso. Sei però affezionato a quel brano visto che lo inserisci nella tua scaletta?
Ho lavorato con J-AX, con i Club Dogo, anche con Caparezza che è il numero uno e non c’entra niente con loro. Come dico non mi ero accorto che avevano il Rolex al polso (ride – ndr). È però un brano che la gente mi chiede sempre dal vivo.
L’album si chiude con un omaggio ad un grande, il tuo amico Lemmy dei Motörhead, qual è la cosa che più ti manca di lui?
Grande Lemmy, non potevo non fargli questo omaggio. Lui rappresentava i Motörhead, quello che manca a me come fan, come penso a tutti, è la dignità di Lemmy e della sua musica, più andiamo avanti e più è peggio.
Mi vuoi raccontare un aneddoto riguardante Lemmy che ti sta particolarmente a cuore?
Eravamo stati a Londra a registrare il nostro quinto album, “Born to Fight”, tornammo in Italia e ci dissero che dovevamo fare alcune date con i Motörhead e con i Twisted Sister. Successe che, la sera della prima data al Palasport di Bologna, mi presentai nel camerino da Lemmy con due bottiglie di Jack Daniel’s e il companatico, quello che piaceva a noi (ride – ndr), anche se sono 6 anni che non tocco più niente. Siamo diventati subito amici e dopo un po’ cominciò a chiamarmi “fottuto napoletano”, sai perché? Lui aggiungeva al Jack ghiaccio e Coca Cola altrimenti non lo beveva, vedeva me che mi attaccavo alla bottiglia e mi chiedeva come ci riuscissi, da lì diventai per lui “fottuto napoletano”. Mi ricordo che, l’ultima volta in cui suonammo con i Motörhead all’Ippodromo di Milano, appena lui scese dal tour bus con il bastone e la bombola di ossigeno, mi si ghiacciò l’anima e lui appena mi vide mi disse: “ciao fottuto napoletano” (ride – ndr). Ci manca davvero tantissimo.
Nell’intervista di tre anni fa, parlavamo del fatto che il Covid sarebbe stata forse l’ultima possibilità di migliorare l’umanità, invece la situazione globale è peggiorata e il tuo brano “Dog eat Dog” fotografa sempre meglio questo quadro.
Già, quel brano davvero rappresenta sempre di più questo momento, se ti ricordi la copertina di quell’album c’erano due lupi dalle sembianze umane che si scannavano, è quello il problema, l’ignoranza della razza umana, la mancanza dell’intelligenza e della compassione, cosa su cui si appoggia il potere per fotterci, ci mettono uno contro l’altro mentre loro fanno quello che vogliono. Più andiamo avanti e più è peggio, senza parlare della cultura che è morta completamente perché hanno cresciuto delle generazioni di non pensanti, perché la musica e la cultura smuove le anime e le menti. Loro vogliono dei robot, non vogliono gente col cuore per combattere, distruggendo la cultura ci sono quasi riusciti, non dico totalmente ma siamo ad un buon punto. Speriamo bene, io continuo a combattere come ho sempre fatto e continuo a sperare. Poi devi combattere anche contro questi coglioni che rispondono a quello che hai scritto sui social, pensa che mi hanno bloccato di nuovo, il mio profilo Instagram da un giorno all’altro è sparito.
Dubito che ci sia ma te lo chiedo ugualmente, c’è qualcuno che ti ha colpito particolarmente dal punto di vista musicale negli ultimi tempi?
Devo dirti la sincera verità, nessuno. Devi però pensare che non voglio fare il santone, stai parlando con uno di 74 anni che ha visto la grande musica, Jimi Hendrix, i Led Zeppelin, il grande prog, poi ho avuto la fortuna di andare in giro a suonare con Iron Maiden, AC/DC, Black Sabbath, ho il palato difficile. Sento delle cose simpatiche ma, come dicevo una volta, ho bisogno di sentire la pelle d’oca e già da tempo purtroppo non la sento.
Mi hai già praticamente risposto ma, dopo il Covid non ti sei più fermato, questo tour andrà avanti quindi fino a fine 2023?
Sicuramente, con il Covid sono rimasto bloccato un anno e mezzo, è stato un periodo brutto in tutti i sensi ma pian piano ci stiamo riprendendo. Ho però una brutta impressione, tutto è stato riaperto sì ma, a parte il prezzo dei biglietti che è aumentato, non vedo nulla di nuovo, ci voleva una botta di cambiamenti dopo il lockdown, invece vedo sempre le solite cose e questa impressione non è bella. Sembra quasi che, siccome tu saprai che con il formato fisico non si guadagna più perché si vende pochissimo, tutti debbano guadagnare con i live e sono tutti in giro a raccattare soldi con i live. Tanti hanno rinunciato perché non ci stanno dentro con i costi, voglio dire, abbassate il cachet! (ride – ndr).
Nel frattempo stai anche scrivendo nuovo materiale oltre a quel disco blues di cui mi parlavi?
No no, il mio chiodo fisso è tornare al blues, ho bisogno di luce e di purezza, poi magari cambio idea ma, come ti dicevo prima, ho un bel pò di materiale pronto.
Grazie mille per il tuo tempo, ti lascio piena libertà di chiudere l’intervista come vuoi.
Grazie a te Marco! Uso proprio il termine libertà, ragazzi, questo è un messaggio per voi, questo genocidio culturale, queste tribute band sono un disastro, i locali ormai fanno suonare solo loro. Date la possibilità di far suonare alle band emergenti la loro musica, andate a sentire questi gruppi, che cazzo me ne fotte di andare a sentire una tribute band, date una possibilità a questi ragazzi giovani e non lamentatevi se nessuno dà una possibilità a voi.
MARCO PRITONI
Sono nato ad Imola nel 1979, la musica ha iniziato a far parte della mia vita da subito, grazie ai miei genitori che ascoltavano veramente di tutto. Appassionato anche di sport (da spettatore, non da praticante), suono il piano, il basso e la chitarra, scrivo report e recensioni e faccio interviste ad artisti italiani ed internazionali per Tuttorock per cui ho iniziato a collaborare grazie ad un incontro fortuito con Maurizio Donini durante un concerto.