Paolo Saporiti – Intervista al cantautore milanese
In occasione dell’uscita dell’album live “Acini Live”, ho avuto il piacere di intervistare il cantautore milanese Paolo Saporiti.
Ciao Paolo, innanzitutto benvenuto sulle pagine di Tuttorock, il 21 febbraio uscirà “Acini Live”, come mai hai deciso di pubblicare un album dal vivo?
Ciao e grazie a te/voi per l’opportunità e l’attenzione, lo spazio concessomi.
Ritengo fosse giusto il momento, dopo due anni di live in giro con questa stessa formazione e con questi stessi brani (la maggior parte di Acini e qualche estratto dai dischi antecedenti, una mezza cover). Una sorta di tributo a noi stessi, a me e alla maturità del disco, alla maturità delle canzoni e dei nuovi arrangiamenti, tutto più che degno di stampa. Tutto era così bello che mi è parso un atto dovuto e necessario. Celebrare.
Ho ascoltato l’album e, la prima cosa che ho notato, con molto piacere, è che sembra effettivamente di trovarsi ad un tuo spettacolo, come mai hai scelto di non cancellare i rumori di sala e di non “pulire” il suono?
Volevo che tutti potessero respirare quell’atmosfera, quella stessa sensazione che a me fa così tanto bene. Stare sul palco è un dono, farlo con musicisti di questo livello è un’emozione. Il fatto che poi siamo diventati amici, rende tutto ancora più speciale e volevo che la cosa arrivasse a più gente possibile, soprattutto a chi non ha mai avuto modo di essere con noi.
Immagino quindi che tu sia un nostalgico dell’era dell’analogico, oggi che oramai la musica è ascoltabile e scaricabile in qualsiasi modo e, almeno dalle mie parti, quando c’è un artista interessante dal vivo, sono poche le persone presenti.
Non sono un nostalgico a priori, ritengo semplicemente che si siano perse un po’ troppe “cose belle” e sono convinto che in tanti non sappiano nemmeno di che cosa stiamo parlando, perché la necessità di abbassare il livello generale, per permettere a questa massa informe di dominare incontrastata, è stata determinante e totalizzante. Io combatto la mia battaglia fino alla fine. Resistenza.
Com’è stato accolto “Acini” da chi ha assistito ai tuoi concerti?
Bene, benissimo ma tutto dipende sempre e soltanto da chi fruisce. Se la maggioranza rimane fuori a chiacchierare e a bersi la birretta, sul palco può succedere di tutto ma niente intorno si modifica. Come in radio, senza accessi non si va da nessuna parte. Peccato.
Mi dici qualcosa su Alberto N.A. Turra e Lucio Sagone, ovvero i tuoi compagni di viaggio che con te compongono il “Trio”?
Alberto è un jazzista strepitoso, con una vena blues radicata, che spinge dal basso verso l’alto. È uno che sa trascendere.
L’idea che avevamo era quella di un Bill Frisell un poco più incazzato ma poi anche questa è evoluta e ora siamo dove siamo. È un amico e un Uomo vero, quello che necessita oggi per poter abitare un palcoscenico vero, non quello che ci vendono le major, virtuale e dopato, privo di errori e iperprodotto. Senza dinamica.
Lucio è La Musica per me. Un batterista atipico e un amico. La prima persona che mi ha riconosciuto – non tutti sanno riconoscere e accettare il talento altrui – ancora meno persone, sanno valorizzare e spronare. Lucio lo ha fatto, a modo suo. Ha un’anima speciale, come Alberto. Questo è quello che conta e che rimane e che volevo testimoniare, l’anima di noi tre. L’anima.
E se ti nomino Xavier Irondo, chitarrista e polistrumentista degli Afterhours, cosa mi dici? Il progetto “Todo Modo”, che comprendeva anche il batterista Giorgio Prette, tornerà?
Xabier è un amico e un’altra Persona speciale a cui va la mia stima e gratitudine (ha arrangiato almeno tre miei dischi antecedenti, in prima persona). Siamo su piani diversi però, se parliamo della sua esperienza After, rispetto ai due compagni che condividono oggi, con me, la difficoltà di sentirsi emotivamente e professionalmente cresciuti ma senza aver mai avuto ancora un vero ritorno, per quanto investito fino a ora.
Xabi fa parte di quella ristretta categoria di colleghi italiani, grazie a quel progetto specifico che ha fatto i numeri, che ha vissuto in maniera diretta come i propri sforzi possano essere davvero considerati da qualcuno e che sono quindi, oggi, nella condizione di poter raccogliere qualcosa dalle proprie carriere e fatiche. In realtà poi lui ha prodotto e suonato in un’infinità di progetti di ricerca, irrimediabilmente rimasti nella nicchia e lì i numeri si abbassano a poco più della mia normalità, ahi noi.
È un talento del suono e della cura della personalità comunque, un esteta in qualche modo, nel senso buono. Noi siamo più degli “scappati di casa”, per scelta, un poco più randagi nei modi e nell’aspetto, perché siamo convinti che quello che rimane e serva sia altro ma è giusto così. Il pop è anche questo e io non sono pop.
Quella di Todo Modo è stata una parentesi difficile e bellissima, allo stesso tempo. Rifarei tutto ma credo sia poco riproponibile in futuro. Ho sentito scartare il progetto e non credo di poterne accettare una riproposizione. Purtroppo l’ennesimo lavoro che andava curato e di cui nessuno ha voluto farsi carico veramente, per quanto mi riguarda. Secondo peccato.
Una domanda sulle tue preferenze musicali devo fartela, per coloro che non ti conoscono ancora, quali sono gli artisti che hanno maggiormente influenzato il tuo modo di suonare e di comporre un brano?
Tutta la vecchia scuola cantautorale americana e anglofona, a partire dagli anni sessanta e settanta e con tutto quello che ne è derivato, a livello di sperimentazione e consapevolezza. Una spruzzata di grunge, di jazz contemporaneo, classica sperimentale.
Cohen, Waits, CSN&Y, Mitchell, Cockburn, Kottke, Browne, Buckley, Taylor, Martyn, Drake… Oldham, Callahan, Tweedy, Molina, Yorke, Reznor, Cobain, Lanegan. Davis, Coltrane, Wagner, Part, Metheny, Scofield, Frisell, Rachmaninov. Jarrett. Mussorgsky.
Sei contento di come sono andate finora le cose per te nel mondo della musica?
No ma le cose sono appena, appena cominciate…
Come vedi il cantautorato in Italia nel 2020? Non pensi che ci sia un esubero di artisti indie e ci sia una carenza di quelli invece che propongono un sano cantautorato per così dire alla vecchia maniera come il tuo?
Penso che ci sia in generale un esubero di ciarpame che dei vigliacchi traditori dell’umanità, affaristi e schifosi, continuano a promuovere, a discapito della bellezza che andrebbe tutelata e promossa in ogni modo e quello che mi fa veramente male è che alla fine tutti si piegano al successo, nel nome dei soldi, pochissimi per di più… il che è imbarazzante. Una tragedia.
Ormai è tempo di un nuovo tour, puoi presentarcelo?
27 febbraio Biko, Milano
28 febbraio Circolo Anpi, Ispra (va)
9 marzo Gatto’, Milano
14 marzo Spazio Lomellini 17, Genova
15 marzo LuccaLibri Caffè Letterario, Lucca
21 marzo New Ideal, Magenta (appena ANNULLATA)
27 marzo Black Inside, Lonate Ceppino
4 aprile Scighera, Milano
10 aprile Temple, Piacenza
18 aprile Arci Pintupi, Vederio Inferiore
7 maggio Ligera, Milano (solo, mini rassegna)
E dopo questo tour quali saranno i tuoi programmi?
Sto già lavorando al nuovo disco e immaginando soluzioni, con collaborazioni sempre più focalizzate e determinanti per la mia crescita.
Grazie mille per il tempo che mi hai concesso, vuoi salutare i lettori di questa intervista e dire qualcosa a chi verrà a vedere i tuoi concerti?
Beh, grazie a te e a chi leggerà, a voi.
Grazie a chi avrà la voglia di ascoltare e magari uscire di casa per un concerto. Sono sicuro che nessuno potrà rimanere indifferente, una volta deciso.
Una chicca: ai concerti distribuiremo un “live al Potok”, in solo, scaricabile tramite QRcode. Un piccolo omaggio, stampato su biglietto da visita, per chi ci viene ad ascoltare dal vivo.
MARCO PRITONI
Sono nato ad Imola nel 1979, la musica ha iniziato a far parte della mia vita da subito, grazie ai miei genitori che ascoltavano veramente di tutto. Appassionato anche di sport (da spettatore, non da praticante), suono il piano, il basso e la chitarra, scrivo report e recensioni e faccio interviste ad artisti italiani ed internazionali per Tuttorock per cui ho iniziato a collaborare grazie ad un incontro fortuito con Maurizio Donini durante un concerto.