MIRKOEILCANE – Intervista al cantautore e musicista romano
Mirkoeilcane, ovvero Mirko Mancini, è un cantautore romano molto particolare, anche un po’ ironico volendo ed è riuscito a crearsi un suo mondo. Dopo 5 anni di assenza è tornato con il suo terzo album, “La Musica Contemporanea Mi Butta Giù”, titolo che condivido pienamente. Ho avuto il piacere di intervistarlo e se volete approfondire la sua conoscenza, di seguito il resoconto dell’intervista.
Ciao e benvenuto su Tuttorock. La prima domanda è una mia curiosità, perché Mirkoeilcane?
Una specie di segreto, una motivazione piuttosto personale che rischia di risultare banale alle orecchie di un altro. Meglio tenerlo per me e mantenerne il valore!
Passiamo ora a parlare del tuo nuovo album che è uscito pochi mesi fa, “La Musica Contemporanea Mi Butta Giù”, una lunga gestazione, se non sbaglio, a 5 anni di distanza dal tuo precedente album. Perché hai lasciato passare tutto questo tempo?
Per me era giusto far passare un paio di anni ma la pandemia e qualche “rallentamento burocratico” hanno allungato i tempi. 5 anni sono tanti solo se ci atteniamo alle attuali regole della discografia ma per scrivere canzoni di un certo tipo, parere mio, c’è bisogno di tempo, di ragionamento e di pazienza.
Il titolo, “La Musica Contemporanea Mi Butta Giù”, a parte la citazione di Franco Battiato, perché hai scelto questo titolo, ti riferisci a cosa propone oggi la musica?
Omaggio al Maestro Battiato in primis ma anche un monito. Una critica, un’autocritica a chi, come me, di questi tempi vuole esprimersi attraverso la musica. Fin troppo facile fare la battaglia delle playlist, ben più complicato scrivere Canzoni. Due campionati diversi. Due sport lontani.
Se può consolarti condivido pienamente questo titolo, ma che rimanga tra me e te, ma scherzi a parte, se si parla di pop, perché nel rock o nella musica più di impegno c’è ancora qualcuno che dice qualcosa di sensato. Quindi ti chiedo quali sono i i tuoi ascolti, le tue preferenze e le tue influenze?
Complicato riassumere. Sono un musicista ancora prima che un cantautore.Ascolto tutto. Nel tentativo di comprendere, ascolto quello che passano le radio ma difficilmente riesco ad arrivare oltre i 15/17 secondi (che credo sia anche la proposta stessa di queste canzoncine). Quando non ce la faccio più, torno a farmi raccontare storie dai 4 di Liverpool o mi faccio curare dalle corde di “Zio Jeff (Beck)”. I cantautori italiani sono un infinita fonte di ispirazione e un esempio da cui partire. Mi piacciono le canzoni in cui c’è qualcuno che suona uno strumento, il che dovrebbe essere un concetto piuttosto inevitabile ma, di questi tempi, non lo è più.
Torniamo al tuo album, i testi potrebbero essere legati l’un l’altro senza però essere un concept?
Sono legati, in alcuni casi in maniera chiara, in altri un po’ meno evidente. Il filo conduttore è la pazienza di ascoltare e la “missione” di andare nella direzione esattamente opposta a quella del vento che tira.
Di cosa trattano esattamente?
Trattano degli aspetti normali di una vita normale. Cose realistiche. Niente gangster, niente armi, niente violenti modi per rubare le fidanzate altrui, niente esose macchine velocissime, niente rotoli di dollari, niente autotune. Parlano di cose che accadono alle persone quando accettano che, a un certo punto, l’adolescenza finisce.
“Gesù”, “Giovanni” e “Il Nipote Di Giovanni” parlano ovviamente di religione, brani molto significativi secondo me, come tutti i tuoi, c’è anche Giobbe Covatta come ospite. Perché hai scelto di trattare questo tema?
Non sono credente. La religione è un concetto desueto per i nostri giorni e mi divertiva l’idea di contestualizzarla ai tempi moderni. Il concetto di Dio, tuttavia mi incuriosisce se staccato dai dogmi delle varie credenze e per questo ogni tanto mi ci perdo dentro. Da uno di questi “viaggi” sono nate queste tre canzoni.
Un altro ospite è Daniele Silvestri, come lo hai coinvolto? Sia lui che Giobbe Covatta?
Entrambi sono persone che ho conosciuto nel percorso. Coinvolgerli nel disco è la conseguenza di un rapporto umano e non solo professionale. Li ammiro come persone ancora prima che come artisti e sentire la loro voce in questo mio progetto mi riempie di orgoglio e di gratitudine per quanto di bello possa accadere nella vita.
Hai partecipato al Festival Di Sanremo del 2018, anche se per me non sei un artista da Sanremo, è stato importante per, lo rifaresti e se lo segui.
Il Festival a cui ho partecipato è un lontano parente di quello che si è visto negli ultimi anni. Le ultime edizioni sono, a mio modesto parere, uno specchio dei tempi che viviamo, non solo per quel che riguarda la musica. Una gara, una competizione. Due dei concetti più distanti dalla mia idea di Musica. Per me è stato importante perché ho avuto la fortuna (e il coraggio?) di partecipare con la canzone meno sanremese possibile e che mi ha permesso di farmi conoscere per quello che sono. Se Sanremo dovesse tornare ad occuparsi di Canzoni e non di social, ci ritornerei di corsa.
Hai da poco partecipato al programma di Enrico Ruggeri “Gli Occhi Del Musicista” omaggiando Sergio Endrigo, perché lui e perché quel brano?
Vale il discorso di cui sopra in merito ai cantautori del passato. Quando è possibile, è doveroso onorare la memoria e l’opera di quelli che sono stati i poeti della seconda metà del ‘900. Sergio Endrigo è stato (ed è) uno di quelli che ha raccontato la società per come era e com’è, lasciandoci testi e musiche capaci di fermare il tempo. Quel brano in particolare mi ha sempre colpito.
Tre album fino ad oggi, le differenze tra loro?
La proposta è la stessa, la differenza è nel tempo che passa e cambia il punto di vista. Il tentativo è quello di raccontare i nostri tempi e lasciarne un fotografia per chi sarà curioso di sapere “che aria tirava all’inizio del secondo millennio d.C.”. Non sia mai che i posteri credano che fossimo davvero tutti impegnati a guardare il mondo dallo schermo di un cellulare.
I tuoi interessi al di fuori della musica? Passioni?
Leggo molto, cammino altrettanto. Mi piace ogni espressione d’arte e mi piace molto parlarne con chi la fa o semplicemente ne è sinceramente appassionato. Mi alleno, ho un debole per i gufi, odio la città, mi piacerebbe viaggiare molto di più ma faccio il cantautore.
Chiudi l’intervista come vuoi, un messaggio ai nostri lettori per seguire la tua musica.
Nella personale top 5 de “Le cose che non so fare” c’è, stabile al terzo posto la voce “Vendere me stesso”. Sarei molto più bravo a convincere qualcuno del contrario.
FABIO LOFFREDO
Appassionato di musica sin da piccolo, ho cercato di esplorare vari generi musicali, ma è il metal, l'hard rock ed il rock progressivo, i generi musicali che più mi appassionano da molti anni. Chitarrista mancato, l'ho appesa al chiodo molto tempo fa. Ho mosso i primi passi nello scrivere di musica ad inizio anni 90, scrivendo per riviste come Flash (3 anni) e Metal Shock (ben 15 anni), qualche apparizione su MusikBox e poi il web, siti come Extramusic, Paperlate, Sdangher, Brutal Crush e Artists & Bands. I capelli mi si sono imbiancati, ma la passione per la musica è rimasta per me inalterata nel tempo, anzi molti mi dicono che non ho più speranze!!!!