MAX STEFANI – Intervista sul suo nuovo libro ” I 4 cavalieri del …
20 Aprile 2016
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Ciao Max e grazie del tempo che ci dedichi, innanzitutto raccontaci qualcosa di te.
Ho cominciato a scrivere nel 1971 per la rivista di hi-fi “Suono”, dove ho curato la parte musicale Music Box fino al 1980. Nel 1976 ho diretto i primi due numeri di “Popster/Rockstar”. L’anno dopo ho fondato “Il Mucchio Selvaggio”, giornale che ho editato e diretto fino al febbraio 2011. Come editore ho creato anche “Rumore”, “Chitarre”, la rivista di cinema “Duel/Duellanti”, il sito “Rockol”. Da aprile 2012 a settembre 2013 ho co-diretto con Paolo Corciulo “Suono”. Da maggio 2013 a dicembre 2014 ho diretto la rivista ‘Outsider’. Questo è il suo terzo libro.
La tua passione per il rock ed i chitarristi, mi pare, da cosa nasce?
Ho passato i miei primi mesi a Londra nel 1967. Avevo 16 anni e ne dimostravo 14. Al di là della musica, mi accorgo che è un altro mondo. Non solo perchè mi faccio le mie prime canne di erba. Quella Londra, sporca, con i muri anneriti dai riscaldamenti a carbone, i bus aperti, quella nebbia che non esiste più che dovevi camminare con le braccia tese in avanti per non rischiare di sbattere contro un muro o un cartello, Soho con i suoi locali equivoci ma soprattutto i posti dove si suona rock come il Marquee, il Flamingo, lo Speakeasy, il Bag O’Neils, l’atmosfera inebriante che si percepisce, l’assoluta libertà di esprimersi vestendo o suonando, mi fa capire che l’Italia è troppo stretta per me e soprattutto che il rock doveva in qualche modo far parte della mia vita pur essendo cosciente di essere nato nel paese sbagliato, ma ho capito che il rock era molto di più: un atteggiamento, un modo di fare le cose, di affrontarle. La scrittura può essere rock ‘n’ roll, oppure un film può essere rock ‘n’ roll, così come una performance. E’ un modo di vivere la tua vita. La chitarra poi è lo strumento più bello da suonare. Anche se io poi alla fine suono la batteria.
Un libro affascinante a prima vista, la scelta di concentrarsi su questi 4 guitar heroes come è maturata?
Mi serviva uno spunto. Attraverso la loro storia in questo libro racconto tutti quanto è successo a Londra in quegli anni. Perchè hanno amato il blues e cosa li ha avvicinati a questo genere musicale, perchè la scena inglese era differente da quella americana, la competizione tra artisti, i manager, i produttori, dove suonavano, gli studi di registrazione, le donne che avevano, le loro crisi, la droga, le groupies etc. E’ molto di più che un libro su Clapton, Green, Beck e Page. Che sono comunque i 4 grandi chitarristi inglesi di quegli anni.
Come ti sei documentato sulla materia?
Attraverso la mia esperienza. Il mio vissuto. Le conoscenze fatte in 40 anni di lavoro sul campo., leggendo centinaia di libri e ascoltando migliaia di dischi, andando in tour con loro, sballandomi con loro…
Hai avuto occasione di conoscere di persona qualcuno dei soggetti del tuo libro?
Quasi tutti. Quelli che avevo solo sfiorato sono andato a ritrovarli in questi due anni che mi sono serviti per scrivere il libro. Sono stati due anni intensi. In giro per Londra a ricercare coloro ancora vivi, andare nei posti a vedere che fine avevano fatto locali storici etc. Un viaggio affascinante nel passato nonchè carico di nostalgia per un mondo che non c’è più. Spesso mi sono trovato di fronte dei vecchietti poco lucidi ma pieni di una luce intensa che ti abbagliava ancora.
Domanda forse banale, ma quanta influenza pensi abbiano avuto gli anni ’60 sull’evoluzione musicale?
Tutto è nato lì. Tutto quello che è venuto dopo ha a che fare con quegli anni. Dalla musica allo show-business, agli strumenti, all’amplificazione, ai microfoni. Senza quegli anni oggi non ci sarebbe niente. Per questo è un libro importante. Perchè da modo a quanti nati negli anni successivi di capire cosa è successo dopo, perchè si è suonato un certo tipo di musica e non un altro. Senza contare l’aspetto socio-politico del tutto. Perché il rock non sta lì sulla nuvoletta. E’ nel mercato con tutto quello di negativo, ma anche di positivo, che comporta.
Interessante la tua notazione sui ‘tuttologi’, a mio giudizio una genia sempre pronta a criticare ed a trovare magari l’unico dubbio od errore in una opera, non ti pare che al giorno d’oggi ci siano troppe persone pronte a puntare l’indice su una singola virgola perdendo di vista il quadro generale?
Credo sia un problema solo italiano. Siamo degli sfigati che non hanno mai capito bene cosa fosse il rock. Lo abbiamo visto come attraverso una lente deformata. Siamo e saremo sempre dal punto di vista musicale un paese da terzo mondo. Siamo capaci solo a parlare male di qualcuno.
Dell’attuale momento musicale che opinione hai? Fra talent e musica liquida cosa resterà di questi anni?
Niente. Quello che succede oggi non ha nessun valore. Esce ancora qualche buona canzone, ci sono delle band che dal vivo vale ancora la pena di vedere, specialmente americane, ma per il resto è calma piatta. Non c’è un disco uscito negli ultimi 10 anni che possa entrare con merito in una ipotetica lista dei migliori 1000 dischi della storia del rock. Inoltre i dischi ormai non hanno più ragione di esistere visto che si scarica solo qualche brano dalla Rete. Non li compra più nessuno. Non vale neanche la pena per gli artisti perderci tempo e denaro. A che prò? Perdere una settimana per far suonare la batteria in un certo modo per sentirla appiattita sul computer? Sui talent lasciamo perdere.
MAURIZIO DONINI
Ho cominciato a scrivere nel 1971 per la rivista di hi-fi “Suono”, dove ho curato la parte musicale Music Box fino al 1980. Nel 1976 ho diretto i primi due numeri di “Popster/Rockstar”. L’anno dopo ho fondato “Il Mucchio Selvaggio”, giornale che ho editato e diretto fino al febbraio 2011. Come editore ho creato anche “Rumore”, “Chitarre”, la rivista di cinema “Duel/Duellanti”, il sito “Rockol”. Da aprile 2012 a settembre 2013 ho co-diretto con Paolo Corciulo “Suono”. Da maggio 2013 a dicembre 2014 ho diretto la rivista ‘Outsider’. Questo è il suo terzo libro.
La tua passione per il rock ed i chitarristi, mi pare, da cosa nasce?
Ho passato i miei primi mesi a Londra nel 1967. Avevo 16 anni e ne dimostravo 14. Al di là della musica, mi accorgo che è un altro mondo. Non solo perchè mi faccio le mie prime canne di erba. Quella Londra, sporca, con i muri anneriti dai riscaldamenti a carbone, i bus aperti, quella nebbia che non esiste più che dovevi camminare con le braccia tese in avanti per non rischiare di sbattere contro un muro o un cartello, Soho con i suoi locali equivoci ma soprattutto i posti dove si suona rock come il Marquee, il Flamingo, lo Speakeasy, il Bag O’Neils, l’atmosfera inebriante che si percepisce, l’assoluta libertà di esprimersi vestendo o suonando, mi fa capire che l’Italia è troppo stretta per me e soprattutto che il rock doveva in qualche modo far parte della mia vita pur essendo cosciente di essere nato nel paese sbagliato, ma ho capito che il rock era molto di più: un atteggiamento, un modo di fare le cose, di affrontarle. La scrittura può essere rock ‘n’ roll, oppure un film può essere rock ‘n’ roll, così come una performance. E’ un modo di vivere la tua vita. La chitarra poi è lo strumento più bello da suonare. Anche se io poi alla fine suono la batteria.
Un libro affascinante a prima vista, la scelta di concentrarsi su questi 4 guitar heroes come è maturata?
Mi serviva uno spunto. Attraverso la loro storia in questo libro racconto tutti quanto è successo a Londra in quegli anni. Perchè hanno amato il blues e cosa li ha avvicinati a questo genere musicale, perchè la scena inglese era differente da quella americana, la competizione tra artisti, i manager, i produttori, dove suonavano, gli studi di registrazione, le donne che avevano, le loro crisi, la droga, le groupies etc. E’ molto di più che un libro su Clapton, Green, Beck e Page. Che sono comunque i 4 grandi chitarristi inglesi di quegli anni.
Come ti sei documentato sulla materia?
Attraverso la mia esperienza. Il mio vissuto. Le conoscenze fatte in 40 anni di lavoro sul campo., leggendo centinaia di libri e ascoltando migliaia di dischi, andando in tour con loro, sballandomi con loro…
Hai avuto occasione di conoscere di persona qualcuno dei soggetti del tuo libro?
Quasi tutti. Quelli che avevo solo sfiorato sono andato a ritrovarli in questi due anni che mi sono serviti per scrivere il libro. Sono stati due anni intensi. In giro per Londra a ricercare coloro ancora vivi, andare nei posti a vedere che fine avevano fatto locali storici etc. Un viaggio affascinante nel passato nonchè carico di nostalgia per un mondo che non c’è più. Spesso mi sono trovato di fronte dei vecchietti poco lucidi ma pieni di una luce intensa che ti abbagliava ancora.
Domanda forse banale, ma quanta influenza pensi abbiano avuto gli anni ’60 sull’evoluzione musicale?
Tutto è nato lì. Tutto quello che è venuto dopo ha a che fare con quegli anni. Dalla musica allo show-business, agli strumenti, all’amplificazione, ai microfoni. Senza quegli anni oggi non ci sarebbe niente. Per questo è un libro importante. Perchè da modo a quanti nati negli anni successivi di capire cosa è successo dopo, perchè si è suonato un certo tipo di musica e non un altro. Senza contare l’aspetto socio-politico del tutto. Perché il rock non sta lì sulla nuvoletta. E’ nel mercato con tutto quello di negativo, ma anche di positivo, che comporta.
Interessante la tua notazione sui ‘tuttologi’, a mio giudizio una genia sempre pronta a criticare ed a trovare magari l’unico dubbio od errore in una opera, non ti pare che al giorno d’oggi ci siano troppe persone pronte a puntare l’indice su una singola virgola perdendo di vista il quadro generale?
Credo sia un problema solo italiano. Siamo degli sfigati che non hanno mai capito bene cosa fosse il rock. Lo abbiamo visto come attraverso una lente deformata. Siamo e saremo sempre dal punto di vista musicale un paese da terzo mondo. Siamo capaci solo a parlare male di qualcuno.
Dell’attuale momento musicale che opinione hai? Fra talent e musica liquida cosa resterà di questi anni?
Niente. Quello che succede oggi non ha nessun valore. Esce ancora qualche buona canzone, ci sono delle band che dal vivo vale ancora la pena di vedere, specialmente americane, ma per il resto è calma piatta. Non c’è un disco uscito negli ultimi 10 anni che possa entrare con merito in una ipotetica lista dei migliori 1000 dischi della storia del rock. Inoltre i dischi ormai non hanno più ragione di esistere visto che si scarica solo qualche brano dalla Rete. Non li compra più nessuno. Non vale neanche la pena per gli artisti perderci tempo e denaro. A che prò? Perdere una settimana per far suonare la batteria in un certo modo per sentirla appiattita sul computer? Sui talent lasciamo perdere.
MAURIZIO DONINI
Maurizio Donini
CEO & Founder di TuttoRock - Supervisore Informatico, Redattore della sezione Europa in un quotidiano, Opinionist in vari blog, dopo varie esperienze in numerose webzine musicali, stanco dei recinti mentali e di genere, ho deciso di fondare un luogo ove riunire Musica, Arte, Cultura, Idee.