MATTEO MANCUSO – Intervista al chitarrista siciliano
Matteo Mancuso è un giovanissimo chitarrista siciliano, di Palermo, Lo abbiamo apprezzato nel nuovo live della PFM “The Event-Live In Lugano” e ha da poco fatto uscire il suo primo album da solista, “The Journey” (di cui leggerete molto presto la recensione su queste pagine), un vero viaggio verso tutto l’universo chitarristico, tra fusion, rock e progressive rock, con lo stile, la tecnica la passione ed il feeling che il chitarrista esalta in ogni brano ed in ogni nota. Franz Di Cioccio, che lo ha voluto nelle date live della PFM, parla molto bene di lui, ma anche leggende delle sei corde con Steve Vai, Al Di Meola, Joe Bonamassa e altri, elogiano il suo talento. Ne ho parlato con lui e ciò che segue è il resoconto dell’intervista.
Ciao Matteo e benvenuto su Tuttorock. Ti chiedo subito di parlarmi di te, hai iniziato a suonare la chitarra da piccolo, merito anche di tuo padre che ti ha indirizzato al jazz, è così?
Ciao! Grazie mille dell’invito. Ho iniziato a suonare da piccolo (a 10 anni) principalmente perché a casa mia c’è sempre stata tanta musica, perciò, per me è stato abbastanza naturale approcciarmi ad uno strumento. Mio padre è sempre stato una guida all’ascolto per me, non solo nei confronti del jazz ma riguardo tutti i generi che lui ascoltava e suonava. Perciò non posso dire che lui mi abbia indirizzato, piuttosto mi ha suggerito molti ascolti e tra questi io ho sviluppato un mio linguaggio che affonda le radici nel jazz, ma che si sviluppa in senso più ampio, comprendendo vari linguaggi e stili diversi.
Django Reinhardt è stato il tuo repertorio iniziale, cosa ha di speciale questa leggenda della chitarra jazz che ti ha fatto appassionare?
Django non è stato proprio il mio repertorio iniziale, ho iniziato con i grandi gruppi rock come I Led Zeppelin, AC/DC e Deep Purple, il Jazz è arrivato dopo e Django è stato sicuramente una delle influenze più importanti, é stata un pò la mia introduzione al vocabolario Jazzistico insieme a Wes Montgomery e Charlie Parker. Django è senza dubbio un caposaldo dello swing e per un chitarrista che intende studiare jazz è doveroso provare a rapportarsi con questo repertorio.
Poi come si è evoluto il tuo stile?
Il mio stile si è evoluto in seguito ascoltando molti chitarristi di matrice rock ma con una forte influenza jazzistica, Scott Henderson, John Scofield, Frank Gambale e Allan Holdsworth sono sicuramente i primi che mi vengono in mente. La cosiddetta “fusion” è stata sicuramente una fonte d’ispirazione per il mio linguaggio solistico.
Mi viene quindi da chiederti i tuoi chitarristi preferiti quali sono?
Beh la lista è lunga, sicuramente da ragazzino ero molto legato a Hendrix, Page e Angus Young, durante l’adolescenza ho scoperto i vari Steve Vai, Satriani, Malmsteen, ma uno di quelli che mi ha colpito di più è sicuramente stato Eric Johnson, è forse uno dei chitarristi che ho ascoltato troppo, insieme ad Allan Holdsworth e Pat Metheny.
Il tuo stile è prevalentemente jazz rock/fusion o hai altre contaminazioni?
Ho sicuramente tante influenze jazzistiche e rock ma ho sempre preferito non categorizzare la mia musica, anche perchè dentro la cosiddetta “fusion” ci sono talmente tante sfaccettature e contaminazioni che è diventato impossibile stabilire una sonorità ben precisa, è però un aspetto che mi piace, il mio obbiettivo è quello di non essere etichettato o associato ad un solo stile, voglio sentirmi libero di fare un disco super rock e l’anno dopo fare un disco di standard, non voglio precludermi niente!
Parlami ora di “The Journey” il tuo primo album. Come sono nati i brani e chi o cosa ti ha ispirato?
I brani sono nati negli ultimi quattro anni circa con la voglia di incidere un album che non fosse associato ad un solo stile, per questo ci sono pezzi con la chitarra classica, altri rockettari tipo “DropD” o roba più Jazz come “Blues for John” . Sono un sunto di tutto ciò che ho assorbito negli ultimi anni. Le influenze musicali, i vari linguaggi che ho sviluppato e le persone con cui ho registrato quest’album sono ciò che mi ha ispirato. Chi ascolterà quest’album avrà un’immagine abbastanza fedele del Matteo degli ultimi quattro anni.
Sono brani strumentali, pensi sia un album per soli appassionati di chitarra?
Non penso, uno degli obbiettivi è stato quello di rendere i brani fruibili anche per un pubblico di non esperti, ovviamente per chi è abituato ad ascoltare la strumentale è più facile, ma sono sicuro che i brani sono fruibili anche per un pubblico meno “colto”. Considero la musica come un linguaggio vero e proprio, e ovviamente c’è chi parla in maniera più ricca e forbita, altri in maniera più scarna ma efficace, la buona musica, secondo me, contiene entrambi gli elementi, Pat Metheny è un esempio perfetto.
Perché il titolo “The Journey”? Un viaggio per dove?
The Journey rappresenta il mio percorso musicale degli ultimi anni, la destinazione mi è ancora ignota, ma questo viaggio mi ha fatto capire che non c’è un vero e proprio punto di arrivo soprattutto in musica, continuare ad esplorare e comporre è il fulcro, il processo è importante tanto quanto il prodotto finale.
Steve Vai e AL Di Meola hanno decantato il tuo stile e il tuo talento, cos hai provato quando hai saputo del pensiero su di te di due dei più grandi chitarristi che hanno fatto storia?
Un’immensa emozione e un grandissimo senso di responsabilità. Quando musicisti di questo calibro ti nominano ti senti anche un pò in dovere di fare di più! Poi è ovvio che ci sia tanta soddisfazione, soprattutto perchè sia Steve che Al sono chitarristi che ho ascoltato tantissimo e che stimo molto anche dal punto di vista compositivo, in entrambi i casi stiamo parlando di geni indiscussi, ma non c’è bisogno che ve lo dica io.
Ma anche altri chitarristi hanno parlato molto bene di te, Joe Bonamassa, Dweezil Zappa, Tosin Abasi, chitarristi molto diversi tra loro, cosa pensi di questo?
Mi riempie di gioia e ovviamente applico lo stesso discorso su Steve e Al a loro, nonostante i generi molto diversi ci sono degli aspetti che secondo me accomunano i grandi chitarristi come loro, la grande personalità stilistica ed il continuo cercare di migliorarsi.
NAMM 2019 e Young Guitarist Festival in Bangkok, che ricordi hai e qualche aneddoto da raccontare?
Ricordo che furono le mie prime esperienze importanti all’estero, ai tempi non ero molto ferrato con l’inglese, proprio per questo è stato uno spunto per migliorare la lingua, una delle mie prime clinic fu proprio a Bangkok. Riguardandola adesso mi strappa ancora un sorriso, ero molto impacciato! Ma sono esperienze che ti porti dietro e che ti formano. Il NAMM 2019 è stata la mia prima volta in America, ho incontrato un sacco di miei eroi tra cui Greg Howe, Frank Gambale e Victor Wooten, erano tutti li! In un certo senso mi sono sentito in un parco giochi a tema musicale.
Di recente sei stato il chitarrista della PFM sul loro ultimo live, come sei stato coinvolto?
Al mio ultimo live al Bluenote di Milano venne a sentirmi Patrick Djivas. A fine concerto venne da me a complimentarsi e mi accennò la possibilità di un live con loro, ovviamente ho risposto che potevano contare su di me in qualsiasi momento! Qualche settimana dopo venni contattato per sostituire Marco sfogli in una data a Lugano (Marco era impegnato con altre date in Spagna) in quell’occasione abbiamo anche registrato il live ed è disponibile su Spotify!
Franz Di Cioccio ha detto che hai imparato tutti i brani in soli 3 giorni, è così?
Non proprio! In realtà ho avuto il materiale un mese prima del concerto, ci sono stati però vari cambi alla scaletta fino al giorno prima del live, ho avuto la fortuna di conoscere già alcuni dei brani aggiunti quindi è filato tutto liscio, ho dovuto comunque studiare più di 20 pezzi, e come tutti sappiamo i brani della PFM non sono proprio facili da memorizzare! È stato sicuramente un bel test e sono molto contento del risultato.
Franco Mussida e Marco Sfogli, i due chitarristi che hai dovuto studiare, diciamo così, cosa pensi di loro?
Due chitarristi grandiosi e inimitabili. Ho avuto un profondo senso di responsabilità e un pizzico di ansia quando a Lugano ho suonato le loro parti! Marco lo ascolto da tanto tempo ed è stato un chitarrista che mi ha stimolato moltissimo soprattutto durante l’adolescenza, il suo brano “Andromeda” è tuttora uno dei brani strumentali più belli che abbia mai sentito. Mussida è invece stata una scoperta più recente, ammetto di averlo conosciuto meglio musicalmente quando ho studiato il repertorio per la PFM. Oltre ad essere un grande chitarrista è anche un compositore immenso e mi piace tantissimo anche la sua voce!
Progetti Futuri?
Ho in cantiere il secondo album ovviamente, spero di poter farlo uscire l’anno prossimo, ma dipenderà da tante cose, prima di tutto dal mio livello di pigrizia! Sono sempre stato un procrastinatore seriale quindi preferisco non dare mai date precise. È prevista anche una nuova uscita con la band “Driftlab” abbiamo pubblicato un album a febbraio ma abbiamo in programma di far uscire un pò di roba nuova a fine anno.
Come sta andando il tour?
Il tour sta andando molto bene! Qualche alzataccia e qualche treno soppresso ma per il resto tutto liscio! Siamo sempre molto carichi per queste date anche perchè cerchiamo sempre di inserire qualcosa di nuovo in scaletta per divertirci sul palco, è una cosa che stiamo facendo sempre di più live, avere l’imprevedibilità e improvvisare sul momento per me è fondamentale, ma soprattutto divertirsi sul palco.
Un consiglio per un giovane chitarrista e la tua strumentazione e perché hai scelto quella.
Il mio consiglio è sempre quello di trovare una strumentazione più compatta e con meno elementi possibile, è il motivo principale per cui ho scelto il digitale, anche perchè meno roba hai sul palco, meno possibilità ci sono che qualcosa vada storto! Ho sempre avuto la sensazione che la chitarra da sola ti da già un enorme gamma di suoni, conoscere il proprio strumento è fondamentale, molto spesso riesco ad ottenere quello che voglio abbassando leggermente il volume o il tono, o cambiando anche l’inclinazione della mano destra, aggiungo un effetto soltanto quando so che non posso ottenere quel risultato soltanto con la chitarra.
Chiudi l’intervista come vuoi, un invito a far un viaggio con te e la tua chitarra, “The Journey” appunto.
Prima di tutto grazie ancora per l’invito e l’interesse! Per quanto riguarda “The Journey” vi invito semplicemente ad ascoltarlo pensando magari ad un viaggio che vi ha cambiato molto, o magari ad un’esperienza che vi ha segnato, ogni brano rappresenta in qualche modo una fase della mia vita e mi piace pensare che ognuno di noi associ i brani ad una propria esperienza personale, grazie ancora e a presto!
FABIO LOFFREDO
Band:
Matteo Mancuso: Chitarra elettrica e acustica
Riccardo Oliva: Basso
Stefano India: Basso
Gianluca Pellerito: Batteria
Giuseppe Bruno: Batteria
Giuseppe Vasapoli: Organo e pianoforte
Vincenzo Mancuso: Chitarra
https://www.matteomancuso.net/
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https://www.instagram.com/matteomancuso.guitar/
https://www.youtube.com/@MatteoMancusoofficial/featured
Appassionato di musica sin da piccolo, ho cercato di esplorare vari generi musicali, ma è il metal, l'hard rock ed il rock progressivo, i generi musicali che più mi appassionano da molti anni. Chitarrista mancato, l'ho appesa al chiodo molto tempo fa. Ho mosso i primi passi nello scrivere di musica ad inizio anni 90, scrivendo per riviste come Flash (3 anni) e Metal Shock (ben 15 anni), qualche apparizione su MusikBox e poi il web, siti come Extramusic, Paperlate, Sdangher, Brutal Crush e Artists & Bands. I capelli mi si sono imbiancati, ma la passione per la musica è rimasta per me inalterata nel tempo, anzi molti mi dicono che non ho più speranze!!!!