MARC URSELLI – Intervista ad uno dei maggiori sound engineer nel mondo (3 grammy awa …
Ciao Marc, innanzitutto grazie del tempo che dedichi a noi e ai nostri lettori, conoscendoti solo per nome probabilmente la gente pensa che tu sia americano, o italo-americano che dir si voglia, invece tu sei svizzero di nascita ed italiano di formazione. Vuoi raccontarci come nasce Marc Urselli e come sei finito a NYC aldi là delle wikinotizie?
Piacere mio e un saluto a tutti i lettori.Marc Urselli nasce in un’ospedale Svizzero da mamma Svizzera e papà italiano. In realtà adesso sono metà svizzero, metà italiano e metà americano (a chi piace la matematica?)… Ho vissuto più tempo in America che negli altri due posti, ma ho fatto le scuole in Italia e l’infanzia in Svizzera quindi sono riuscito (credo e spero) a trarre il meglio da ognuna dalle tre culture. Il mio modo di lavorare è decisamente Americano e mi piace essere organizzato e preciso come uno Svizzero, ma essere caloroso, mangiare e godermi la vita come un Italiano 😉
In campo musicale per essere al vertice immagino sia più o meno obbligatorio andare negli Stati Uniti?
Secondo me si, ed è per quello che me ne sono andato 16 anni fa. Poi dipende a che vertice uno voglia arrivare. L’America è il paese per chi lavora duro ed ha molte ambizioni quindi se uno vuole puntare in alto ed ha la caparbietà, determinazione e la stoffa per farcela è il posto giusto! Come dicono gli americani: the sky is the limit! E di certo è vero! Anche perchè per arrivare a 10 bisogna puntare sempre a 12!!!
Svizzero od italiano, resta il fatto che sei dovuto emigrare per fare quello che volevi, il termine abusato di cervelli in fuga cosa ti fa pensare? Una mia amica che ha raggiunto una posizione apicale all’Opera Comique di Parigi ha perfino fondato un’associazione per gli italiani all’estero, ma proprio loro rifuggono da questa terminologia ritenendo che non ci debbano essere confini, a parte la radici affettive, e che sia l’Italia a dover essere piuttosto attrattiva per gli stranieri, cosa ne pensi?
Non mi rivedo assolutamente in nessun tipo di definizione di “italiano all’estero” e anzi di solito gli italiani all’estero cerco di evitarli accuratamente (con alcune dovute eccezioni) perchè non fanno altro che cercare di ricreare una piccola Italia nella nazione in cui hanno emigrato, con tanto di provincialismo annesso. Questo atteggiamento campanilistico mi fa un poco vomitare e non mi interessa proprio. Sono emigrato perchè non mi piaceva il modo di fare che c’è in Italia per cui che senso avrebbe ritrovarmi in quel modo di fare anche all’estero? Purtroppo in Italia manca la professionalità e la serietà (anche qui ovviamente con le dovute eccezioni). Il menefreghismo e il pressapochismo regna sovrano e io preferisco essere in un posto dove il 90% della gente che mi circonda si comporta in maniera corretta e professionale invece che in un posto dove quella percentuale è il 10%.Per tornare al tuo punto sulla fuga dei cervelli e concludere senza dilungarmi e annoiarti, devo dirti che la fuga dei cervelli in Italia è inevitabile e l’Italia a mio avviso se la merita perchè come nazione, come governo e come popolo e mentalità non ha mai fatto nulla per curare, promuovere o proteggere l’arte, la musica, l’inventiva e la creatività. Mancano le infrastrutture ma soprattutto manca la volontà e la forma mentis. Non sto parlando di assistenzialismo governativo alle arti (quello ce l’hanno in Canada o in Svizzera, ma non esiste ne in Italia ne in America), ma sto parlando di una vera e propria predisposizione mentale al voler tutelare i giovani che hanno idee. Invece, siccome di cultura non si interessa nessuno, i giovani con le idee vengo emarginati e vengono a loro messi i bastoni fra le ruote. In Italia manca una coscienza collettiva, manca una visione del mondo globale, manca un interesse per qualsiasi cosa che non possa apportare un guadagno personale di qualsiasi genere. Per cui io dico, se il popolo italiano ha deciso di gestire così i loro “cervelli” non si devono poi chiedere come mai i cervelli fuggono! Se lo meritano!
Una delle prime discussioni che abbiamo fatto appena conosciuti è nata dal fatto che io ti definii un musicista e tu specificasti ingegnere del suono. Io ritengo si possa definire musicista chiunque partecipi al processo creativo della composizione, cosa ne pensi?
Mi piace la tua definizione e di certo mi ci rivedo e in realtà faccio musica anche io, quindi potrei definirmi un musicista. Ma sono cosciente dei miei limiti e sono modesto. Esito a definirmi musicista semplicemente perchè ogni giorno ho l’onore di essere a contatto con alcuni dei più bravi musicisti al mondo e quindi definirmi musicista quasi insulterebbe chi ha speso una vita a studiare uno strumento. Io ho studiato un poco di piano e suonicchio un poco di chitarra e basso e certo so il fatto mio quando si tratta di creazione di musica elettronica, programmazione, computer ecc. ecc., ma ho speso la mia vita cercando di diventare uno dei più bravi ingegneri del suono al mondo. Lo studio è il mio strumento musicale e se lo consideriamo tale allora posso definirmi musicista anche io, sempre nel rispetto dei “veri” musicisti 😉
La denominazione ingegnere del suono è sempre ammantata di un certo misticismo, nel mainstream popolare si pensa quasi che un ingegnere del suono, per dire oltre a te nomi come Moroder o Parsons, possano far diventare bravo chiunque a prescindere dal suo reale valore, le cose stanno veramente in questi termini? Potresti trasformarmi in un a star?
Diciamo che la tecnologia esiste per far apparire un cantante o un musicista poco bravo molto più intonato e a tempo di quanto magari non lo siano. Molte star da top chart purtroppo esistono unicamente grazie a questa “tecnologia correttiva”. Poi non sono solo queste tecnologie che li rende star, ma soprattutto il marketing e la promozione. Il dato di fatto è che i veri musicisti e cantanti si vedono e si sentono e non hanno bisogno di queste tecnologie. Sempre che non cantino in playback, dal vivo è facile e immediato sentire di che stoffa sono fatti. Per quanto mi riguarda, nonostante io abbia le conoscenze e le abilità tecniche per far cantare in maniera intonata un cantante stonato o far suonare a tempo un batterista fuori tempo, preferisco di gran lunga lavorare con musicisti che non hanno bisogno di utilizzare questi trucchi e soprattutto che non devono fare affidamento alle tecnologie correttive per poter far musica.
Il tuo rapporto con la tecnologia è ovviamente molto stretto visto il tuo lavoro, hai fatto un album bellissimo con il nostro comune amico Vince Pàstano, il tutto stando sui due lati opposti dell’Atlantico giusto? Quindi ritieni che la tecnologia moderna possa contribuire fattivamente alla produzione della musica e facilitare gli scambi tra artisti?
Certamente e assolutamente si!!! Per quello prima ho definito la “tecnologia correttiva”. La tecnologia in generale, come tutto, può essere utilizzata in maniera creativa e può essere un’arma nell’arsenale del musicista o del produttore o del creativo. Il disco che ho fatto in duo con Vince Pàstano sotto il nome d’arte “Past the Mark” e’ nato da una amicizia e collaborazione di vecchia data. Conosco Vince da quasi 30 anni e siamo andati insieme a scuola in Italia. Abbiamo collaborato su mille progetti e ho registrato i suoi primi demo quando avevo uno studio in Italia. Il nostro disco in duo (che si chiama “Hakhel Tribulation” ed e’ uscito per l’etichetta scozzese “Nu Jazz records”) è stato il culmine di queste collaborazioni. L’abbiamo fatto sia fisicamente insieme (cioè nella stessa stanza, un poco in Italia ed un poco a New York) e sia a distanza. Quando non eravamo insieme ci mandavamo idee a vicenda via internet e poi le sviluppavamo via software.
Personalmente il tuo rapporto con la tecnologia come si pone? Al di là del campo prettamente lavorativo.
Sono un amante e fanatico della tecnologia! Inutile negarlo. La mia vita sta nel mio iPhone e c’e’ un app per tutto! 😉 Quando viaggio (cosa che faccio spesso perchè faccio molti tour con vari artisti e perchè amo viaggiare per piacere) mi porto sempre il mio computer in maniera da poter lavorare su progetti musicale in Pro Tools. Il mio cellulare è con me ovunque io vada e praticamente gestisco la mia vita tutta da lì (appuntamenti, lavoro, sessioni in studio, tour, voli, transazioni bancarie)… Sono talmente tanto pro-tecnologia che i miei amici si prendono gioco di me e ci sono cose (come andare in un negozio per comprare un’oggetto qualsiasi o emettere un assegno cartaceo) che non faccio più offline da quasi 10 anni. Leggetevi il libro “Singularity” di Rey Kurzweil (che è uno scenziato, nonchè l’inventore del sintetizzatore Kurzweil) e vedrete che oramai la tecnologia fa già parte di noi ed è solo questione di tempo fino a che noi non diventiamo tecnologia, noi stessi! Amo la tecnologia e anche se non è perfetta non se ne andrà dalle nostre vite ed è qui per rimanere quindi inutile combatterla o non accettarla, io la abbraccio! 😉
Leggendo nei tuoi credits e nelle notizie varie si vede che hai lavorato, e lavori, con i più grandi artisti mondiali, Aerosmith, Guns, Sting, Sambora, e via dicendo, come cambia l’approccio da un artista all’altro? Ci sono rilevanti differenze? So che ci sono quelli maniacalmente precisi ed attenti ad ogni dettaglio, quelli che vogliono avere il controllo del processo, quelli che si affidano totalmente al producer, che esperienze hai avuto in merito e cosa ci puoi raccontare di loro?
Giusto per essere precisi e modesti non ho mai lavorato con gli Aerosmith (solo con il loro chitarrista Joe Perry) o con i Guns… I miei credits li potete vedere su www.marcurselli.com Tuttavia ho avuto la fortuna di lavorare per gente come Lou Reed, Laurie Anderson, John Zorn, Eric Clapton, Jeff Beck, Buddy Guy, Keith Richards, Sam Cooke, Mike Patton, Black Crowes, Beach Boys e molti molti altri… L’approccio cambia sempre da artista ad artista. Tutti sono diversi e tutti hanno bisogno di un diverso tipo di attenzione. Ogni artista ha i suoi bisogni e la sua personalità. Come giustamente hai notato, alcuni vogliono avere il controllo di ogni fase del processo e altri si fidano di più e capiscono che affidarsi e delegare alcune cose permette a loro maggiore libertà creativa e un numero minore di preoccupazioni. John Zorn e Lou Reed per esempio (che sono quelli con cui ho lavorato più a lungo) sono/erano completamente diversi. Ho lavorato sia in studio che dal vivo con entrambi ma i loro approcci sono a tratti diametralmente opposti.
Zorn sa esattamente quello che vuole ed è sempre in controllo di ogni parte del processo creativo (composizione, arrangiamenti, suoni, art work, marketing ecc TUTTO!). Zorn non ha un manager perchè non vuole delegare. Non lascia nulla al caso e ogni aspetto del processo creativo passa per lui e lo vede coinvolto. Lavoriamo assieme da 10 anni e ho fatto più di 50 suoi dischi (sembra difficile crederci o contarli!!!) quindi ci conosciamo bene e adesso si fida di me e quando misso uno dei suoi dischi mi fa fare da solo i suoni la mattina e poi viene nel pomeriggio per approvare volumi ecc. ma ci sono voluti anni per arrivare a questo livello di fiducia.
Lou Reed invece, nonostante anche lui ovviamente approvava ogni prodotto finale, era meno coinvolto nelle varie fasi e si affidava di più ai suoi collaboratori fidati, fra cui il suo manager, il suo assistente, il suo tecnico di chitarre Stewart me per il suono. Quando lavoravamo in studio per esempio io settavo tutto preventivamente e poi lui veniva e suonava. Se non gli piaceva qualcosa ovviamente lo cambiavamo ma si affidava sempre a me e mi faceva fare senza troppi intromissioni. Per esempio quando abbiamo mixato la cover “Rave On” di Buddy Holly per la compilation di Starbucks uscita un po di anni fa, io ho cominciato il missaggio intorno alle 10 di mattina e verso le 2 ero contento del risultato e aspettavo che arrivasse lui. Arrivó intorno alle 3, ascoltò e gli piacque, ma decise di voler provare alcune soluzioni sonore diverse per alcuni strumenti. Dopo quasi 4 ore di sperimentazioni varie nulla di quello che aveva provato lo convinceva e quindi mi chiese di fargli riascoltare il mio mix delle 2 di pomeriggio (prima che arrivasse lui). Si alzó e disse: “Marc questo mix è perfetto, non c’è proprio nulla da cambiare! …ogni tanto uno deve provare tutte le altre soluzioni per convincersi che la prima era effettivamente quella giusta. Andiamo a mangiarci una pizza.”.
Qualcuno con cui ti sei trovato particolarmente bene e/o hai avuto problemi?
Per fortuna mi trovo bene con praticamente tutti i miei clienti/collaboratori e spesso si diventa amici perchè si fanno un sacco di lavori assieme. Sia con Lou che con John siamo diventati molto amici quindi con loro mi trovo particolarmente bene. Lou mi manca molto, come amico e come persona con cui lavorare, e ogni volta che con Zorn si fa un disco o un concerto sono sempre molto contento di poterci lavorare assieme.Le uniche persone con cui non mi trovo bene sono quelle poco professionali che si comportano in maniera poco consona o che non stanno ai patti (poco fa mi è successo proprio con un cliente italiano, guarda caso!!!). Purtroppo le pecore nere ci sono ovunque e sono un rischio del mestiere ma per fortuna lavorando qui a New York non ho a che fare con molte di loro e rappresentano la minoranza.
Uno dei tuoi ultimi lavori è stato l’inserimento della voce di Rockwell nel disco di Guido Elmi (ndr: con le foto di Nino Saetti) che ho avuto la fortuna di recensire in anteprima, come è nata la collaborazione con il grande deus ex-machina di Vasco Rossi?
Ultimi lavori? Haha 😉 In realtà ho già fatto altri 25 dischi da quando c’è stata la collaborazione con Rockwell 😉 Comunque tutto è partito dal nostro amico in comunque Vince Pàstano che ha prodotto il disco di Guido Elmi. Guido lo conosco poco, ci siamo solo visti un paio di volte, ma rispetto molto quello che fa e la sua grande conoscenza musicale, soprattutto in ambito rock/metal. Da quello che ho capito veniamo da mondi simili anche se siamo in mondi diversi. Il fatto che un produttore di successo come Guido Elmi si sia affidato ad un produttore relativamente nuovo sulla scena come Vince Pàstano, credo che la dica molto lunga sulle qualità e sulle capacità di Vince. Vince è un genio della chitarra ed un onnivoro di generi musicali che lo rende la persona più adatta per produrre un disco originale. Ovviamente Vince conosce il panorama musicale italiano benissimo mentre io che non me ne curo conosco quello Americano, per quello Vince si è rivolto a me quando volevano dare una nota più “americana” ad uno dei bradi di Guido, soprattutto se poi consideri che il brano in questione è proprio un brano che esaspera l’americanizzazione della cultura nel mondo. Le collaborazioni di questo tipo sono sempre le più interessanti contaminazioni! Ovviamente sono di parte perchè Vince è come un fratello per me, ma ho sempre saputo da quando aveva 15-16 anni che era un fenomeno e che avrebbe fatto strada, non a caso ho cercato per più di 10 anni di convincerlo a trasferirsi in America perchè se lo avesse fatto adesso starebbe a suonare con i Pink Floyd o i Black Sabbath! 😉
Il tuo rapporto con l’Italia al momento com’è? Pensi di tornare qui da noi? Come la vedi da New York?
Negli anni il mio rapporto con l’Italia sta un poco migliorando ma rimane sempre Italia, un posto che mi ha sempre messo i bastoni fra le ruote e ha sempre reso difficile ogni cosa io volessi fare. Me ne sono andato a 21 anni per disperazione e con rancore e non mi sono mai guardato indietro. Non credo che tornerò mai in Italia per viverci… Mai dire mai, ma a meno che non diventi sordo e me ne vada in pensione (cosa che dubito farò perché per me la musica non é solo un lavoro!), non avrebbe senso per me tornare a vivere in Italia, é un mondo oramai quasi alieno per me, ad ogni ritorno più distante nei suoi modi di fare dal mio. Tuttavia torno molto volentieri in Italia ogni anno in vacanza per vedere gli amici che contano e la famiglia e anzi mi piacerebbe tornarci un paio di volte all’anno, ma sempre in piccole dosi. Dopo essermi abituato a vivere in America, stare in Italia per troppo tempo mi fa snervare. Non funziona niente, disorganizzazione, corruzione, pressapochismo e menefreghismo totale a dismisura e ovunque… non é per me, mi sono lasciato tutte quelle cose alle spalle… anche in ambito musicale vedo gente che invece di aiutarsi si fa gli sgambetti in Italia… Per anni non mi sono interessato di collaborare con gli Italiani per come sono, come si comportano e come lavorano (male!) ma ultimamente ho ripreso un pochino i rapporti con il mondo musicale italiano. C’é gente molto in gamba e basta essere molto selettivi e attenti 😉 Ho vari carissimi amici musicisti in Italia, come il geniale multi-strumentista Enrico Gabrielli (www.enricogabrielli.com) dei Calibro 35/Der Mauer/Mariposa/ecc, il chitarrista Alessandro “Asso” Stefana (www.alessandrostefana.com) dei Guana Padano/Capossela, il mitico multi-strumentista Vincenzo Vasi (Braccio Elettrico/Capossela), il pianista Enrico Zavalloni (che come Vasi, Asso e Gabrielli ho conosciuto lavorando con Mike Patton nel suo progetto Mondo Cane), il chitarrista/violinista Nicola Manzan dei Bologna Violenta (di cui probabilmente produrrò un disco in un futuro non troppo lontano), il cantautore Daniele Brusaschetto (www.danielebrusaschetto.net), il cantautore Giovanni Marinelli (www.giovannimarinelli.it) e ovviamente Vince Pastano (www.vincepastano.com) …ma TUTTI loro mi raccontano cose che mi fanno rabbrividire e schifare! C’é invidia e competizione invece di comunione e supporto reciproco. La gente non paga mai e non rispetta gli accordi presi. A New York é tutto totalmente diverso. C’é un senso di comunità fra i musicisti; sanno di essere tutti nella stessa barca e remano assieme! Si aiutano a vicenda, si passano lavori, si supportano a vicenda, vanno ai concerti degli altri amici musicisti, si prestano strumenti, si fanno rimpiazzare per una serata se non riescono a fare un concerto… in Italia invece vedo solo invidia e comportamenti infantili da asilo… La gente si pugnala alle spalle, parlano degli altri musicisti come gelosi serpenti avvelenati… É un mondo che non mi interessa e quindi preferisco venirci solo in vacanza, godermi il mare, la frittura mista in Puglia o i tortellini a Bologna, e, come sempre, fare le dovute eccezioni per quelli che sono i veri professionisti e le poche eccezioni in Italia.
In generale la tua visione del mondo odierno, sempre vista da un centro mondiale nevralgico come NYC, qual è?
New York è un’isola felice in un mondo infelice. Il resto dell’America (con alcune eccezioni tipo San Francisco, Los Angeles, Austin ecc) fa paura ed è popolato da gente bigotta e mentalmente chiusa. L’assenza di educazione e l’impossibilità di confrontarsi con altre culture è il più grande ostacolo che la gente deve affrontare in tutto il mondo. Nonostante esista la comunità europea gli europei non se ne approfittano abbastanza (gli italiani in primis potrebbero andarsene facilmente e non lo fanno perchè preferiscono continuare a lamentarsi e avere il piatto di pasta e il bucato pronti a casa della mamma). Adesso l’Europa sta affrontando la più grande emergenza di immigrazione del secolo e vedremo come e se riescono a gestirla… Per come la vedo le cose possono andare in due modi: o la situazione precipiterà nel razzismo e nella xenofobia più totale oppure, se ci riescono e soprattutto se lo vogliono, l’Europa potrebbe diventare come New York, un centro nevralgico di culture, tradizioni, genti da tutto il mondo, che poi è proprio quello che rende New York la città più figa e unica al mondo!!!
Come ti poni rispetto all’invasione mediatica ed allo strapotere dei social?
Come ho detto prima io abbraccio la tecnologia quindi non ho problemi ad “interfacciarmi” con i social network. Ovviamente come tutte le cose dipende dall’uso che se ne fa. Ci sono stati già tanti esempi di social network utilizzati per apportare cambiamenti e aiutare la giustizia e democrazia e ci sono stati momenti in cui i social network hanno promosso odio e creato vittime. La cosa peggiore dei social network è il fatto che hanno praticamente ucciso la privacy (un costo che non abbiamo ancora iniziato a pagare ma che presto si farà sentire fortemente!). La cosa migliore dei social network è che aiutano lo spargere delle notizie e della conoscenza e quindi rimuovono, in parte, un poco di quegli ostacoli di cui parlavo poco prima. La soluzione sarebbe utilizzare i social network per diffondere notizie e conoscenza senza però diffondere dati personali e quindi non dando il consenso al trattamento di dati e facendo l’opt-out da tutto ciò che rappresenta un rischio alla privacy e non postando nulla di personale in nessun social network aperto al mondo esterno, ma purtroppo siamo tutti troppo narcisisti ed egocentrici per vivere i social network in questa maniera 😉
Spotify, Youtube, iTunes, è il mondo della distribuzione digitale della musica, le variabili sono infinite, tanta disponibilità porta all’appiattimento? Il consumo immediato ed impulsivo della musica per cui se non piace subito si accantona non porta ad un consumo superficiale della stessa? Quando si comprava il supporto fisico l’investimento fatto comportava che prima di archiviarlo si ascoltasse attentamente anche se non era piaciuto subito, ora invece o piace in real time o non si considera più, qual è la tua visione di questo fenomeno, contando che oramai la realtà è questa.
Si la realtà è questa e purtroppo non cambierà. Effettivamente è vero che l’ascolto deve convincere da subito e che questo probabilmente rende i dischi un poco più “avventurosi” o “diversi” ancora meno appetibili, ma d’altra parte il pubblico per quei dischi è sempre stato un pubblico di minoranza e credo che quel tipo di pubblico sappia che ad un disco bisogna dare un paio di ascolti almeno. La vasta disponibilità è un’arma a doppio taglio. Da una parte è bello avere tutta questa disponibilità e la democratizzazione del processo distributivo ha dato a tutti la possibilità di farsi sentire. Dall’altra parte la facilità con cui oggi si può fare un disco crea un surplus di merda che non fa altro che rendere più difficile il trovare buona musica in mezzo a questo mare di merda. Anche li ci sono i pro e i contro: il contro è che bisogna sporcarsi molto navigando nella merda per trovare un paio di cose buone; ma il grande pro (che credo frutteremo nel tempo) è che la merda affonda e con il tempo l’olio d’oliva viene a galla, o, per essere meno metaforici, la gente che ha distillato qualcosa di serio da dire con la musica riuscirà con il tempo e la determinazione a far sentire la propria voce mentre la gente che non prende la musica seriamente e non dedica l’intera vita alla propria musica prima o poi smetterà di fare musica in quanto è economicamente improponibile e magari faceva musica solo perchè era un hobby ed è diventato così facile farla e farla uscire. Chi sente il bisogno fisiologico, psicologico ed emotivo di creare musica continuerà ad esprimersi con la musica sempre e comunque, ben oltre i limiti temporali di chi crea musica solo perchè può.
5 grammy awards in nomination, 3 grammy awards portati a casa, qualche ricordo particolare a cui sei legato?
Mille ricordi, ma nessuno in particolare… I miei ricordi più belli sono legati alle persone con cui ho lavorato. Quando ero in tour con Lou Reed per esempio ho fatto amicizie che durano negli anni con alcuni dei musicisti del gruppo e soprattutto con la crew. Mi porterò queste amicizie nel cuore come i ricordi di quei tour fatti assieme. Stessa cosa per la crew dei Beach Boys. In studio poi i ricordi ci sono a bizzeffe… Avere l’opportunità du vedere questi mostri sacri del jazz e del rock creare musica davanti a tuoi occhi e poi forgiarla come un pezzo di oro malleabile o di vetro incandescente che prende la forma che gli diamo assieme è una esperienza incalcolabile.
Oltre fare l’ingegnere del suono, sei blogger, web designer, arte e surf, dove hai trovato la maniera di avere una giornata di 36 ore? Mi sveli il tuo segreto?
Il segreto è semplice: si chiama passione! La passione per quello che faccio mi permette di ignorare la stanchezza fisica. Questo non vuol dire che la stanchezza non ci sia, ma un conto è fare 18 ore in studio registrando bella musica, e un altro conto è fare 18 ore in fabbrica o in ufficio! Gusto? Io ho la fortuna di essere riuscito a fare il lavoro che amo e quindi mi pesa di meno lavorare di piú… Dormire 4-5 ore non è certo ideale, ma farlo ogni tanto per permetterti di riempire la giornata di belle esperienze lo trovo un compromesso più che accettabile. Ogni volta che vedo una settimana dove in studio non ho lavoro comincia a guardare voli per vedere se posso andare a fare kitesurf nei caraibi, o snowboard nelle alpi o andare a trovare i miei amici a Bologna con un last minute… Carpe Diem è la mia filosofia di vita! Anche quando sono in vacanza in Italia con i miei amici di sempre usciamo fino alle 3 di mattina e il giorno dopo vado a fare un po di lavoro e nel pomeriggio vado a fare kitesurf, ma non mi pesa perchè anche se il corpo si stanca la mente è giovane e la voglia di fare e di essere con le persone che ami ti fa passare tutto. Alla fine i legami personali (amicizia e famiglia) sono quelli che contano più di tutti e se riesco a stare con i miei amici, anche sbadigliando occasionalmente, dopo una giornata piena di attività, io quella la chiamo una giornata riuscita!!! Alcuni dei miei amici mi chiamano Duracell altri scherzano sul fatto che mi faccia di coca quando in realtà non ho mai neanche fumato una canna perchè sono un salutista 😉 Si torna sempre alla passione… La vita è fatta di esperienze e io cerco di farne il più possibile per avere una vita piena di soddisfazioni. Preferisco arrivare alla fine della mia vita sapendo di aver fatto quante più esperienze possibili e senza rancori e non chiedendomi se avessi potuto fare di più. Detto questo appena inventeranno una pillola che mi permetterà di non dormire proprio più sarò il primo ad usarla perchè se posso avere altre 8 ore a disposizione immagina quanti altri dischi posso registrare, quanti altri amici posso vedere, quanti altri viaggi posso fare e quanto altre esperienze posso fare!
I tuoi gusti personali musicali? Cosa ti piace ascoltare? Il tuo background in che filone si pone?
Beh sicuramente il mio background è nel rock e metal. Ma durante la mia adolescenza, dopo 5-6 anni di roba sempre più estrema ho svoltato a sinistra e ho cominciato ad ascoltare elettronica ed industrial, talmente tanto che ho creato nel 1994 la allora fanzine (e ora webzine) chiamata ora Chain D.L.K. per supportare questi generi musicali meno rappresentati. Oggi giorno i miei ascolti spaziano tantissimo. Da quasi vent’anni ascolto anche molto jazz e un poco di fusion e mi interessa molto la world music perchè si implementa bene con la mia grande passione per i viaggi e la voglia di scoprire il mondo. In pratica ascolto un poco di tutto, ma mi interessano molto le cose più oscure, più sperimentali, più interessanti, più contaminate e più strane… A un bel riff Sabbathiano o Zeppeliniano non si dice mai di no, ma dopo anni e anni di standard jazz, blues, rock e metal i gruppi in questi generi cominciano a suonarmi tutti un poco simili fra di loro e quindi mi interessa di più spaziare e scoprire cose nuove, cose diverse… Bisogna sempre tenere un orecchio aperto, attento e curioso per i suoni da tutto il mondo altrimenti, senza sperimentazione e contaminazione, la musica diventa stagnante.
Progetti futuri? Mai pensato, se non l’hai già fatto e mi è scappato, di salire direttamente su un palco?
Sono già stato sul palco in passato, anche se con quasi sempre con progetti piccoli. Il concerto più grosso che ho fatto da sopra al palco è stato in Finlandia come gruppo di apertura per i Tomahawk di Mike Patton (dei Faith No More) e Duane Denison (dei Jesus Lizard). Il progetto sperimentale/elettronico estemporaneo si chiamava Cheap Ass Swiss Business Motherfuckers (che è una citazione di un film cartone animato di culto…), ma ha avuto solo la durata di quel concerto anche perchè era composto dai membri della crew dei Tomahawk che vivono sparsi fra Italia, America e Inghilterra. Mi piace il palco, ma sono più bravo a mixare un concerto che non a fare un concerto. Però i progetti musicali non mancano. Ho una etichetta che si chiama Stridulation Records e ho fatto uscire, fra le altre cose, un mio disco noise sperimentale a nome Craesher nel 2014. Oltre al progetto con Vince che si chiama Past the Mark che spero avrà un giorno un sequel, sto lavorando a tre miei progetti contemporaneamente. Uno è un progetto doom-metal in cui ho suonato basso e batteria che avrà molti ospiti d’eccezione. L’altro è un progetto di musica tradizionale giapponese riarrangiata in chiave metal dove io suono un basso a 12 corde distorto e c’è un batterista americano di estrazione doom/metal (già parte dei Khanate e dei Blind Idiot God), un percussionista e suonatore di taiko (grandi percussioni giapponesi) proveniente dal famoso gruppo giapponese Kodo e una suonatrice di kodo e di shamisen (entrambi strumenti a corde giapponesi). Poi in parallelo a tutto questo sto lavorando ad un disco che è una fusione di ambient, dark e world music (molti field-recordings -registrazioni d’ambiente- fatte da me in giro per il mondo). Purtroppo i tempi di creazione e produzione dei miei progetti personali sono biblici perchè sono sempre impegnatissimo a registrare e mixare i dischi degli altri, che sono poi anche quelli che mi permettono di mangiare 😉 Per esempio negli ultimi due mesi soltanto sto registrando un disco di musica giapponese tradizionale, ho registrato un quartetto di archi (Mivos Quartet), ho registrato e mixato un disco jazz con John Patitucci al basso e Billy Hart alla batteria, ho registrato e mixato il nuovo disco solista del pianista Jack DeJohnette (che molti conoscono come il batterista di Miles Davis, ma che è anche un ottimo pianista), ho registrato un disco del contrabbassista Ben Allison che mixeró la settimana prossima, registrerò la prossima settimana il nuovo disco di Leo Genovese con al basso Esperanza Spalding e alla batteria Jack DeJohnette, sto missando il disco della cantautrice blues Valerie Ghent, ho fatto un remix per un gruppo francese che si chiama Nemocaine (membri degli Anakronik Orkestra), ho composto un brano per una installazione d’arte dell’artista visuale francese Laurene Fort, sto masterizzando il nuovo disco del cantautore torinese Daniele Brusaschetto, sto per registrare un nuovo disco di John Zorn e sto rispondendo alle domande di questa intervista in un aereo di ritorno dal Messico dove sono andato a mixare un concerto della cantautrice argentina Sofia Rei… Insomma come vedi sono sempre molto impegnato e quindi è molto difficile trovare il tempo per la mia musica, soprattutto sapendo che lavorando alla mia musica invece di fare soldi li perdo. Ma va bene così, perchè come ho detto prima ci sono quelli che fanno musica perchè possono e poi ci sono quelli che fanno musica perchè hanno il bisogno fisiologico ed emotivo di farla. Io faccio parte della seconda categoria e quindi continuerò imperterrito, anche se con i miei tempi 😉
MAURIZIO DONINI
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CEO & Founder di TuttoRock - Supervisore Informatico, Redattore della sezione Europa in un quotidiano, Opinionist in vari blog, dopo varie esperienze in numerose webzine musicali, stanco dei recinti mentali e di genere, ho deciso di fondare un luogo ove riunire Musica, Arte, Cultura, Idee.