MAIDA – Intervista su “Dimmi Dimmi”
Maida è un cantante, compositore, fonico e polistrumentista classe ‘82. Dirige l’Associazione Musicale “MVM Rec Studio”, a Soverato (CZ). PERDENTE, pubblicato da indipendente nel 2020, è il suo primo album di inediti.
Il ritornello del tuo nuovo singolo recita: “e allora dimmi dimmi tu chi è Vincenzo”. Ti rigiro la domanda chiedendoti chi è Vincenzo Maida e qual è il tuo percorso musicale.
Vivo di musica e per la musica, nel bene e nel male. Sono un cantante che suona – con risultati discutibili – praticamente tutti gli strumenti. Abito a Soverato, Perla della Costa Jonica calabrese. Grazie al rock posso tirar fuori pensieri che, se lasciati a marcire “dentro”, mi consumerebbero e, se esternati con disinvoltura nella vita di tutti i giorni, mi farebbero rinchiudere. Per vent’anni ho provato a dar voce ai miei tormenti, ma quello che componevo non mi rendeva soddisfatto al 100%. Un giorno, però, ho incontrato Antongiulio Iorfida, che è rapidamente diventato un amico e una spalla insostituibile. I suoi testi mi hanno aiutato e tradurre e a codificare finalmente le mie emozioni. Dal nostro sodalizio è nato PERDENTE, il mio primo disco, che ho pubblicato da indipendente. Quell’album mi ha permesso di conoscere Marco Biondi, Luca Bernardoni e tutto il team Be NEXT Music/Sorry Mom!/Sony Music Italia. Grazie al loro prezioso supporto ho fatto un ulteriore passo in avanti: è con questa squadra che mi sono affacciato, per la prima volta, da “pro”, sul mercato discografico nazionale.
In soli tre minuti di canzone vengono trattati diversi temi importanti, soprattutto per quanto riguarda la condizione umana. Vuoi dirci qualcosa di più riguardo a questo testo e da cosa è stato ispirato?
Il testo di “Dimmi Dimmi” è nato, appunto, per descrivere la condizione di un artista – e in primis, di un uomo – nella vita di tutti i giorni. È un viaggio affannoso e scriteriato, a tratti goffo, alla ricerca di me stesso. Ho passato in rassegna tutta la mia esistenza, chiedendo un’altra occasione alle donne che ho amato, a Dio, a coloro che credevo amici. L’assenza di risposte certe e, sull’altra faccia della medaglia, il desiderio di squarciare il velo dell’ipocrisia e di trovare la pace hanno generato un brano dalle liriche caotiche e incalzanti. All’impalcatura esistenzialistica e riflessiva di fondo, costruita da Antongiulio in uno dei nostri tanti pomeriggi di confronto, ho aggiunto “punchlines” istintive, taglienti e scomode. Volevo che l’ascoltatore percepisse il mio disagio e, soprattutto, che comprendesse il fondamento del mio fallimento di raggiungere la stabilità.
Sebbene il testo del brano sia appunto profondo ed alternativo, le sonorità sono più “pop” ed orecchiabili rispetto ai tuoi lavori precedenti. C’è qualche ragione particolare dietro questo cambiamento di approccio?
Voglio che la mia musica sia caleidoscopica e che riesca a trasmettere al pubblico l’enorme varietà di sensazioni che mi pervade quando la compongo. Sono convinto che si possa dire tanto – se non tutto – senza essere troppo autoreferenziali. Il tiro “club” del mio ultimo singolo risponde, quindi, all’esigenza di aprirsi a un mondo che, a prima vista, può sembrare meno rock ma che, in realtà, riesce ad essere rock pur rinunciando a taluni stilemi (per non dire “cliché”) del genere. Il ritornello, infatti, è al contempo esasperante e orecchiabile. Una curiosità: Antongiulio dice di essersi ispirato, in fase di scrittura, a Raffaella Carrà, un’artista immensa che ha saputo essere, allo stesso tempo, icona del pop ed efficace combattente rivoluzionaria.
La tua musica è sicuramente rock, ma è possibile rintracciare anche influenze di altro tipo. Quali sono i tuoi artisti di riferimento?
Parola d’ordine: CROSSOVER. Sono cresciuto col rock – classico solo fino ad un certo punto – degli Aerosmith. Il mio gruppo preferito, oggi, sono i Muse, fuoriclasse della sperimentazione. Molto, tuttavia, in termini di “cattiveria” nelle sonorità e nel linguaggio, ho “rubato” anche ad artisti come Marilyn Manson, System Of A Down e Royal Blood. Senza dimenticare le mie influenze hip-hop, anche italiche: un nome su tutti, Caparezza. Insomma, spinto anche dalla modernità nella scrittura di Antongiulio, ho cercato di creare un genere tutto mio che, pur rimanendo nell’alveo del rock alternativo, sappia mostrare e dimostrare l’importanza della ricerca, della contaminazione e dell’apertura a nuovi lidi della musica mondiale.
Tra il marzo del 2022 e l’inizio di questo 2023 hai fatto uscire tre singoli. è prevista l’uscita di un nuovo album per quest’anno?
Colto con le mani nel sacco! Sì, negli ultimi due anni ho lavorato, insieme ad Antongiulio e agli altri due componenti del mio “power trio” (Michelangelo Rupolo alle percussioni e Alessandro Bittoni alle chitarre) a un vasto repertorio di brani inediti da condensare in un album in cui confluiranno anche “Femme Fatale”, “La mia vicina d’ombrellone” e, appunto, “Dimmi Dimmi”. Quando vedrà la luce? Presto, prestissimo. Attualmente le tracce che comporranno il disco sono in fase di mastering, un lavoro a cui mi sto dedicando personalmente nel mio studio insieme a Massimiliano Sorvillo, ingegnere del suono oltre che violinista e producer. Non vogliamo lasciare nulla al caso e, per questo motivo, siamo impegnati giorno e notte per dare un suono degno di questo nome alle canzoni nuove.
EMMANUEL A. BECCARELLI
Band:
Maida – (voce; basso)
Alessandro Bittoni – (chitarre)
Michelangelo Rupolo – (batteria)
https://www.facebook.com/iosonoMAIDA
https://www.youtube.com/channel/UCZY43VocRswEwLNHI-cv_yQ
https://www.instagram.com/maida_official_
Mi chiamo Emmanuel Beccarelli, ho 22 anni e al momento sto frequentando il master in Arti del racconto: letteratura, cinema e televisione presso la IULM di Milano. Ho recentemente conseguito la laurea triennale in Comunicazione, media e pubblicità (sempre alla IULM) e sono diplomato in lingue straniere. Sono sempre stato appassionato di scrittura e di musica, in particolare di rock statunitense