LUCA “JONTOM” TOMASSINI – Intervista
by tuttorock
26 Giugno 2015
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Luca Tomassini in arte Jontom è un musicista romano decisamente eclettico: fra le varie cose è pianista, batterista, compositore di colonne sonore, produttore e ukulelista. Si, perché Jontom è soprattutto noto per essere un esperto suonatore di ukulele, strumento a corde di origini hawaiane simile alla più diffusa chitarra ma a conti fatti estremamente diverso: quattro corde di cui una rientrante, dimensioni decisamente più minute ed un caratteristico suono “squillante” e riconoscibilissimo. Di questo particolare strumento, sovente poco considerato, Jontom ne ha fatto la sua professione in quanto insegnante e scrittore di numerosi libri di teoria. Dell’ukulele, della musica e di molte altre cose abbiamo parlato in questa intervista che ci ha gentilmente rilasciato
Ciao Luca, innanzitutto grazie per il tempo che ci stai dedicando. Come prima domanda, dato che ti occupi di musica ormai da moltissimi anni, ci parleresti un po’ della tua formazione in questo campo e del tuo background musicale?
Beh, a cinque anni il mio papà mi ha regalato la pianola Bontempi. A quattordici ho iniziato a prendere lezioni di pianoforte, ma è stato a 18 che ho iniziato a studiare musica in maniera molto più seria perché ho capito che il mio percorso sarebbe stato quello. Quindi sono andato all’Accademia, ho studiato pianoforte, ho dato l’esame di Teoria e Solfeggio, ho studiato Orchestrazione a Berklee… in realtà non sono andato a Boston, ho seguito online. Ho studiato Produzione audio mi sono diplomato sempre a Berklee via online. Si, diciamo che studio musica da quando avevo più o meno quattordici anni e poi ho continuatoindividualmente. Per quanto riguarda il background, si tratta principalmente di colonne sonore perché da quando avevo 18 anni collaboro con un mio amico che è regista teatrale e da lì ho continuato a comporre colonne sonore per conto mio essendo tra l’altro anche un grande appassionato di cinema.
La domanda a questo punto è: come ci sei arrivato all’ukulele?
All’ukulele ci sono arrivato perché un pomeriggio un mio amico ed ex collega di quando facevo ancora il designer mi fece vedere il video in cui Jake Shimabukuro suonava “When my guitar gently weeps” a mille all’ora. Là ho pensato “Ah che figo, adesso voglio provarci pure io!” e mi sono comprato un ukuele soltanto per fare quel pezzo. Da lì però, avendo sempre e comunque la vena compositiva, ho iniziato a comporre anche sull’ukulele e mi ha divertito molto. Sono andato avanti arrangiando cover sull’ukulele divertendomi sempre di più. Beh… e poi la cosa si è evoluta. Mi ci sono chiuso un sacco perché poi in questi momenti della mia vita che si rivelano in seguito salienti vengo sempre lasciato da una ragazza, quindi in quel periodo dedicavo tipo 5/6 ore al giorno all’ukulele da solo coi fermo-immagine su Youtube dei video degli artisti hawaiiani..
Avendo una formazione musicale così variegata ed insolita, viene spontaneo chiedere chi possano essere i tuoi modelli ispiratori
Ho passato diverse fasi, quando ero ragazzino ascoltavo quasi esclusivamente i Pink Floyd. Poi c’è stato il periodo grunge in maniera pesante, sono cresciuto con gli Smashing Pumpkins ed effettivamente questo si vede anche un po’ nel modo in cui suono l’ukulele perché comunque il mio modo di interpretare lo strumento in un certo senso ha sempre un’impronta da rock alternativo acustico. Tipo come lo suonava Chris Cornell nell’album Songbook. Ora come ora ascolto quasi esclusivamente folk e colonne sonore, se si eliminano quei pezzi di cui non ti parlerò mai che ascolto durante le mie private sessions su Spotify ovviamente. Per esempio ultimamente ascolto a ripetizione la colonna sonora di Nashville. Sul folk però non mi sono mai fissato con nessuno in particolare, mi basta sentire quell’andatura zoppicante tipica del country folk ecco. È una questione di ritmica.
Tu insegni ukulele, strumento certamente particolare, ormai da un bel po’ di tempo. Se dovessi riassumere in poche parole i principi del tuo metodo di insegnamento quali sarebbero?
Dunque, io ho avuto tanti insegnanti di musica: da quello stile Whiplash a quello che per me era diventato una sorta di seconda mamma e del quale ancora porto vivido il ricordo. Per esperienza personale l’insegnante di musica fintanto che resta incravattato nelle sue posizioni e nelle sue teorie non ottiene molto, dovrebbe essere in grado di avere un approccio un po’ più diretto e per certi versi quasi amichevole. In realtà non ho un metodo perché difatti l’ukulele non ce l’ha, è uno strumento che si è evoluto in forma orale quindi quelli che vengono fuori sono perlopiù consigli. Non si segue insomma un percorso ben preciso e delineato. Spesso ricorro alle mie tablature, che sono fondamentalmente estemporanee perché servono alla fine come spunto per poi tirare fuori qualcos’altro. In sostanza, guardo molto come procede il singolo alunno e mi “plasmo” a seconda delle situazioni.
Momento “pubblicità progresso”: perché una persona dovrebbe comprarsi un ukulele ed imparare a suonarlo?
Allora, c’è da fare un attimo una distinzione perché io sono ovviamente tanto contento quando le persone si comprano l’ukulele e lo suonano però mi da un gran fastidio quando qualcuno lo acquista perché “piccolo e carino” e poi lo abbandona in un angolo convinto di essere diventato un ukulelista che suona quattro accordi in croce. Prima di tutto è comunque uno strumento musicale quindi sarebbe bello se nell’immaginario collettivo venisse visto al pari di una chitarra o di un pianoforte in modo tale che ci si possa approcciare al tale strumento con la giusta consapevolezza, ed è anche il motivo per cui ho scritto AbsolUKE ovvero il mio ultimo libro che parla di armonia e teoria musicale prendendo come pretesto l’ukulele. Comunque, comprarsi un ukulele potrebbe essere il primo passo verso un modo di esprimersi diverso, non è tanto legato all’ukulele in sé quanto alla musica. Impari ad esprimerti in un certo modo e più in là arrivi a “parlare” attraverso le tue note, crei il tuo sound.
Parliamo dell’Aloha Spirit: tu ci credi?
Si, ci credo ma fino ad un certo punto. È una filosofia hawaiana fortemente legata al territorio e per ovvi motivi è difficile riproporre uno stile di vita hawaiano all’interno del Grande Raccordo Anulare e per tale motivo non voglio apparire come un freak che va in giro a predicare l’Aloha Spirit perché non è naturale né spontaneo. In questo caso più che di Aloha Spirit parlerei di Ukulele Life Style, ma anche in questo sento che si sta arrivando alla brutta deriva dei freakkettoni figli dei fiori che per carità, sono molto belli, ma non è solo questo. L’ukulele è anche altro. Non voglio assolutamente rinnegare l’Aloha Spirit per quanto significato possa avere a, non so, diecimila e passa chilometri di distanza, ma penso che sia bello integrarlo con altri aspetti. È bello porsi in maniera estremamente rilassata, questo sicuramente, infatti difficilmente mi arrabbio. L’Aloha Spirit diciamo che è strettamente legato all’ukulele, infatti su questo strumento non si suona a tremila all’ora, il consiglio è sempre quello di suonare in maniera rilassata. È molto importante il sentimento che esprimi attraverso il tuo strumento non tanto i virtuosismi tecnici che sono, ad esempio, tipici del chitarrista.
Non fare il John Petrucci sull’ukulele altrui insomma…
No beh, si può fare. Quando l’ha fatto Jake Shimabukuro appunto ha fatto il botto perché è stata vista come una cosa proprio fuori dal mondo. Ma in realtà dietro l’ukulele c’è questo, un vero e proprio modo di vedere la vita. Recentemente ad esempio è venuta fuori una discussione in merito all’utilizzo della tracolla per rendere più stabile lo strumento mentre si suona, ma alla fine se sbagli sull’ukulele non è un problema! Ci sarà la stecca magari, e vabbè dai! Il succo del discorso è che sei là con il tuo strumento rilassato ed in pace con te stesso, poi l’ukulele può essere visto in mille modi diversi a seconda delle tue esigenze. L’importante è, appunto, non vederlo come uno “strumento-giocattolo” perché così non è. È umiliante e purtroppo una marea di gente la pensa così. Raramente c’è la voglia di approfondirlo e di studiare qualcosa sempre per il solito discorso “Oddio studiare musica no, non fa per me!”, che è una cazzata alla fine. Basta mettersi con un po’ di calma e tranquillità, non è niente di così tragico.
La solita domanda sulle collaborazioni: con chi vorresti lavorare?
Più che collaborazioni nuove vorrei continuare a lavorare con persone con le quali ho già avuto a che fare, perché mi sono sempre trovato bene e conservo bei ricordi di tutte le persone che ho incrociato durante il mio percorso. Senza nessuna distinzione, per me ad esempio è stato bellissimo collaborare con i Johnny Bemolle’s quando ho prodotto il loro EP così com’è stato bellissimo salire sul palco insieme a Max Pezzali o anche suonare con Bosko & Honey al Melbourne Ukulele Festival. Ne ho semplicemente nominati alcuni, non perché siano più importanti di altri. Per quanto riguarda altri con cui non ho ancora lavorato… facciamo che ci penso e te lo dico dopo se mi viene in mente!
Se tu dovessi individuare l’evento o l’insegnamento che ha avuto un ruolo cardine per la tua formazione artistica e personale, quale sarebbe?
Sotto il punto di vista lavorativo, il giorno in cui mi sono comprato il mio Kanile’a che mi serviva per andare a fare un cd. Andai lì ad incidere, due giorni fuori, e dopo trenta minuiti c’erano il fonico ed il produttore dall’altro lato del vetro che mi guardavano scuotendo la testa perché non andava affatto bene. Mi dissero che la mia mano “non era pronta”, che steccavo in continuazione e che, in altri termini, facevo cagare. Mi liquidarono in quarantacinque minuti alla fine, ed io mi ero anche girato l’Italia per arrivare là. Tornai quindi a casa incazzato come una iena valutando seriamente l’idea di tornare a fare colonne sonore come avevo sempre fatto. Ho sempre considerato quel momento come uno dei peggiori della mia vita ma in realtà quella “pizza in faccia” a livello proprio artistico mi è stata utile, ora ne capisco il senso e benedico il giorno in cui mi hanno rispedito a casa dopo nemmeno un’ora.
Deve essere stata una batosta allucinante…
No, è stato veramente terrificante, volevo davvero morire. In quel momento mi sono immaginato chiaramente a fare il commesso in qualche negozio di un qualche centro commerciale. Anche perché poi l’unica cosa che sono in grado di fare continuativamente è suonare. Tornando al discorso precedente, ci sono diverse cose che mi hanno “segnato”. Ad esempio, la prima volta che sono stato in America per due mesi e mezzo per fare un po’ di concerti che mi ero organizzato da solo mi sono ritrovato a dormire in un motel a Nashville con dei portoricani che faceva un casino indescrivibile di fuori. Io stavo cenando con delle patatine alla paprika in busta e Coca cola e ho iniziato a suonare. Mi sono portato dietro la composizione di questo pezzo per tutti i due mesi e l’ho finito negli ultimi giorni della mia permanenza statunitense, a New York. Il testo mi è uscito fuori in due minuti, l’ho intitolato Wherever I Go, e questa è stata una sorta di epifania musicale. Mi sono detto “Ecco, dopo aver scritto questo posso anche morire”. Infatti, dopo di questo non ho più scritto pezzi. O meglio, ne ho scritti ma mai con l’intento di scrivere “il pezzo figo”. In quel momento avevo proprio qualcosa da dire e ho pensato di esserci riuscito.
E cosa avevi intenzione di dire con Whenever I Go?
Quello che avevo fatto, ciò che stavo facendo e quello che sarebbe accaduto. Fra l’altro tornato in Italia, nel giro di due mesi, mi sono messo con la ragazza con cui volevo stare, la quale dopo poco è rimasta incinta. Questo pezzo ha innescato la “reazione a catena” che mi ha completato. Da lì poi effettivamente sono cambiato, non ho più suonato come prima. Suono di meno dal vivo, mi faccio più i cazzi miei…sono diventato vecchio!
Per concludere, hai riflettuto allora su personaggi o musicisti coi quali non hai ancora lavorato e coi quali vorresti intraprendere un progetto?
Se te ne dovessi dire uno, per una vita ho detto che avrei voluto collaborare con Madonna! Anche se ovviamente questo desiderio è un po’ scemato. Una cosa che mi è sempre piaciuta è quella di prendere persone insospettabili e di metterle su di un palco a fare qualcosa. Quindi, non mi piacerebbe tanto collaborare con un musicista quanto con qualcuno che con la musica ha poco o niente a che fare.
ELIANA SCALA
http://www.jontom.net
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Ciao Luca, innanzitutto grazie per il tempo che ci stai dedicando. Come prima domanda, dato che ti occupi di musica ormai da moltissimi anni, ci parleresti un po’ della tua formazione in questo campo e del tuo background musicale?
Beh, a cinque anni il mio papà mi ha regalato la pianola Bontempi. A quattordici ho iniziato a prendere lezioni di pianoforte, ma è stato a 18 che ho iniziato a studiare musica in maniera molto più seria perché ho capito che il mio percorso sarebbe stato quello. Quindi sono andato all’Accademia, ho studiato pianoforte, ho dato l’esame di Teoria e Solfeggio, ho studiato Orchestrazione a Berklee… in realtà non sono andato a Boston, ho seguito online. Ho studiato Produzione audio mi sono diplomato sempre a Berklee via online. Si, diciamo che studio musica da quando avevo più o meno quattordici anni e poi ho continuatoindividualmente. Per quanto riguarda il background, si tratta principalmente di colonne sonore perché da quando avevo 18 anni collaboro con un mio amico che è regista teatrale e da lì ho continuato a comporre colonne sonore per conto mio essendo tra l’altro anche un grande appassionato di cinema.
La domanda a questo punto è: come ci sei arrivato all’ukulele?
All’ukulele ci sono arrivato perché un pomeriggio un mio amico ed ex collega di quando facevo ancora il designer mi fece vedere il video in cui Jake Shimabukuro suonava “When my guitar gently weeps” a mille all’ora. Là ho pensato “Ah che figo, adesso voglio provarci pure io!” e mi sono comprato un ukuele soltanto per fare quel pezzo. Da lì però, avendo sempre e comunque la vena compositiva, ho iniziato a comporre anche sull’ukulele e mi ha divertito molto. Sono andato avanti arrangiando cover sull’ukulele divertendomi sempre di più. Beh… e poi la cosa si è evoluta. Mi ci sono chiuso un sacco perché poi in questi momenti della mia vita che si rivelano in seguito salienti vengo sempre lasciato da una ragazza, quindi in quel periodo dedicavo tipo 5/6 ore al giorno all’ukulele da solo coi fermo-immagine su Youtube dei video degli artisti hawaiiani..
Avendo una formazione musicale così variegata ed insolita, viene spontaneo chiedere chi possano essere i tuoi modelli ispiratori
Ho passato diverse fasi, quando ero ragazzino ascoltavo quasi esclusivamente i Pink Floyd. Poi c’è stato il periodo grunge in maniera pesante, sono cresciuto con gli Smashing Pumpkins ed effettivamente questo si vede anche un po’ nel modo in cui suono l’ukulele perché comunque il mio modo di interpretare lo strumento in un certo senso ha sempre un’impronta da rock alternativo acustico. Tipo come lo suonava Chris Cornell nell’album Songbook. Ora come ora ascolto quasi esclusivamente folk e colonne sonore, se si eliminano quei pezzi di cui non ti parlerò mai che ascolto durante le mie private sessions su Spotify ovviamente. Per esempio ultimamente ascolto a ripetizione la colonna sonora di Nashville. Sul folk però non mi sono mai fissato con nessuno in particolare, mi basta sentire quell’andatura zoppicante tipica del country folk ecco. È una questione di ritmica.
Tu insegni ukulele, strumento certamente particolare, ormai da un bel po’ di tempo. Se dovessi riassumere in poche parole i principi del tuo metodo di insegnamento quali sarebbero?
Dunque, io ho avuto tanti insegnanti di musica: da quello stile Whiplash a quello che per me era diventato una sorta di seconda mamma e del quale ancora porto vivido il ricordo. Per esperienza personale l’insegnante di musica fintanto che resta incravattato nelle sue posizioni e nelle sue teorie non ottiene molto, dovrebbe essere in grado di avere un approccio un po’ più diretto e per certi versi quasi amichevole. In realtà non ho un metodo perché difatti l’ukulele non ce l’ha, è uno strumento che si è evoluto in forma orale quindi quelli che vengono fuori sono perlopiù consigli. Non si segue insomma un percorso ben preciso e delineato. Spesso ricorro alle mie tablature, che sono fondamentalmente estemporanee perché servono alla fine come spunto per poi tirare fuori qualcos’altro. In sostanza, guardo molto come procede il singolo alunno e mi “plasmo” a seconda delle situazioni.
Momento “pubblicità progresso”: perché una persona dovrebbe comprarsi un ukulele ed imparare a suonarlo?
Allora, c’è da fare un attimo una distinzione perché io sono ovviamente tanto contento quando le persone si comprano l’ukulele e lo suonano però mi da un gran fastidio quando qualcuno lo acquista perché “piccolo e carino” e poi lo abbandona in un angolo convinto di essere diventato un ukulelista che suona quattro accordi in croce. Prima di tutto è comunque uno strumento musicale quindi sarebbe bello se nell’immaginario collettivo venisse visto al pari di una chitarra o di un pianoforte in modo tale che ci si possa approcciare al tale strumento con la giusta consapevolezza, ed è anche il motivo per cui ho scritto AbsolUKE ovvero il mio ultimo libro che parla di armonia e teoria musicale prendendo come pretesto l’ukulele. Comunque, comprarsi un ukulele potrebbe essere il primo passo verso un modo di esprimersi diverso, non è tanto legato all’ukulele in sé quanto alla musica. Impari ad esprimerti in un certo modo e più in là arrivi a “parlare” attraverso le tue note, crei il tuo sound.
Parliamo dell’Aloha Spirit: tu ci credi?
Si, ci credo ma fino ad un certo punto. È una filosofia hawaiana fortemente legata al territorio e per ovvi motivi è difficile riproporre uno stile di vita hawaiano all’interno del Grande Raccordo Anulare e per tale motivo non voglio apparire come un freak che va in giro a predicare l’Aloha Spirit perché non è naturale né spontaneo. In questo caso più che di Aloha Spirit parlerei di Ukulele Life Style, ma anche in questo sento che si sta arrivando alla brutta deriva dei freakkettoni figli dei fiori che per carità, sono molto belli, ma non è solo questo. L’ukulele è anche altro. Non voglio assolutamente rinnegare l’Aloha Spirit per quanto significato possa avere a, non so, diecimila e passa chilometri di distanza, ma penso che sia bello integrarlo con altri aspetti. È bello porsi in maniera estremamente rilassata, questo sicuramente, infatti difficilmente mi arrabbio. L’Aloha Spirit diciamo che è strettamente legato all’ukulele, infatti su questo strumento non si suona a tremila all’ora, il consiglio è sempre quello di suonare in maniera rilassata. È molto importante il sentimento che esprimi attraverso il tuo strumento non tanto i virtuosismi tecnici che sono, ad esempio, tipici del chitarrista.
Non fare il John Petrucci sull’ukulele altrui insomma…
No beh, si può fare. Quando l’ha fatto Jake Shimabukuro appunto ha fatto il botto perché è stata vista come una cosa proprio fuori dal mondo. Ma in realtà dietro l’ukulele c’è questo, un vero e proprio modo di vedere la vita. Recentemente ad esempio è venuta fuori una discussione in merito all’utilizzo della tracolla per rendere più stabile lo strumento mentre si suona, ma alla fine se sbagli sull’ukulele non è un problema! Ci sarà la stecca magari, e vabbè dai! Il succo del discorso è che sei là con il tuo strumento rilassato ed in pace con te stesso, poi l’ukulele può essere visto in mille modi diversi a seconda delle tue esigenze. L’importante è, appunto, non vederlo come uno “strumento-giocattolo” perché così non è. È umiliante e purtroppo una marea di gente la pensa così. Raramente c’è la voglia di approfondirlo e di studiare qualcosa sempre per il solito discorso “Oddio studiare musica no, non fa per me!”, che è una cazzata alla fine. Basta mettersi con un po’ di calma e tranquillità, non è niente di così tragico.
La solita domanda sulle collaborazioni: con chi vorresti lavorare?
Più che collaborazioni nuove vorrei continuare a lavorare con persone con le quali ho già avuto a che fare, perché mi sono sempre trovato bene e conservo bei ricordi di tutte le persone che ho incrociato durante il mio percorso. Senza nessuna distinzione, per me ad esempio è stato bellissimo collaborare con i Johnny Bemolle’s quando ho prodotto il loro EP così com’è stato bellissimo salire sul palco insieme a Max Pezzali o anche suonare con Bosko & Honey al Melbourne Ukulele Festival. Ne ho semplicemente nominati alcuni, non perché siano più importanti di altri. Per quanto riguarda altri con cui non ho ancora lavorato… facciamo che ci penso e te lo dico dopo se mi viene in mente!
Se tu dovessi individuare l’evento o l’insegnamento che ha avuto un ruolo cardine per la tua formazione artistica e personale, quale sarebbe?
Sotto il punto di vista lavorativo, il giorno in cui mi sono comprato il mio Kanile’a che mi serviva per andare a fare un cd. Andai lì ad incidere, due giorni fuori, e dopo trenta minuiti c’erano il fonico ed il produttore dall’altro lato del vetro che mi guardavano scuotendo la testa perché non andava affatto bene. Mi dissero che la mia mano “non era pronta”, che steccavo in continuazione e che, in altri termini, facevo cagare. Mi liquidarono in quarantacinque minuti alla fine, ed io mi ero anche girato l’Italia per arrivare là. Tornai quindi a casa incazzato come una iena valutando seriamente l’idea di tornare a fare colonne sonore come avevo sempre fatto. Ho sempre considerato quel momento come uno dei peggiori della mia vita ma in realtà quella “pizza in faccia” a livello proprio artistico mi è stata utile, ora ne capisco il senso e benedico il giorno in cui mi hanno rispedito a casa dopo nemmeno un’ora.
Deve essere stata una batosta allucinante…
No, è stato veramente terrificante, volevo davvero morire. In quel momento mi sono immaginato chiaramente a fare il commesso in qualche negozio di un qualche centro commerciale. Anche perché poi l’unica cosa che sono in grado di fare continuativamente è suonare. Tornando al discorso precedente, ci sono diverse cose che mi hanno “segnato”. Ad esempio, la prima volta che sono stato in America per due mesi e mezzo per fare un po’ di concerti che mi ero organizzato da solo mi sono ritrovato a dormire in un motel a Nashville con dei portoricani che faceva un casino indescrivibile di fuori. Io stavo cenando con delle patatine alla paprika in busta e Coca cola e ho iniziato a suonare. Mi sono portato dietro la composizione di questo pezzo per tutti i due mesi e l’ho finito negli ultimi giorni della mia permanenza statunitense, a New York. Il testo mi è uscito fuori in due minuti, l’ho intitolato Wherever I Go, e questa è stata una sorta di epifania musicale. Mi sono detto “Ecco, dopo aver scritto questo posso anche morire”. Infatti, dopo di questo non ho più scritto pezzi. O meglio, ne ho scritti ma mai con l’intento di scrivere “il pezzo figo”. In quel momento avevo proprio qualcosa da dire e ho pensato di esserci riuscito.
E cosa avevi intenzione di dire con Whenever I Go?
Quello che avevo fatto, ciò che stavo facendo e quello che sarebbe accaduto. Fra l’altro tornato in Italia, nel giro di due mesi, mi sono messo con la ragazza con cui volevo stare, la quale dopo poco è rimasta incinta. Questo pezzo ha innescato la “reazione a catena” che mi ha completato. Da lì poi effettivamente sono cambiato, non ho più suonato come prima. Suono di meno dal vivo, mi faccio più i cazzi miei…sono diventato vecchio!
Per concludere, hai riflettuto allora su personaggi o musicisti coi quali non hai ancora lavorato e coi quali vorresti intraprendere un progetto?
Se te ne dovessi dire uno, per una vita ho detto che avrei voluto collaborare con Madonna! Anche se ovviamente questo desiderio è un po’ scemato. Una cosa che mi è sempre piaciuta è quella di prendere persone insospettabili e di metterle su di un palco a fare qualcosa. Quindi, non mi piacerebbe tanto collaborare con un musicista quanto con qualcuno che con la musica ha poco o niente a che fare.
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