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LEVA – Intervista al cantante e musicista Leonardo Cannatella

LEVA – Intervista al cantante e musicista Leonardo Cannatella

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Ho avuto il piacere di fare una chiacchierata con Leonardo Cannatella, cantante e polistrumentista di base a Bologna, che ha da poco pubblicato il nuovo lavoro del suo progetto solista Leva, l’ EP “Mura domestiche”, i cui ricavati delle vendite verranno devoluti completamente alla Fondazione Ospedale Policlinico Sant’Orsola di Bologna.

Ciao Leonardo, innanzitutto benvenuto su Tuttorock, come stai passando questa quarantena?

Questo periodo di quarantena mi ha dato il tempo di rimettermi in pari sotto tanti aspetti, domestici (non voleva essere una citazione – ride, ndr) lavorativi e artistici. Ho pulito casa e il terrazzo circa un centinaio di volte e completato una ventina di brani rimasti sotto la polvere per anni, tra cui tre dei cinque inseriti in Mura Domestiche. Meglio tardi che mai!

Secondo te, dopo questo periodo, le persone si comporteranno con più rispetto verso il pianeta che ci ospita o non cambierà nulla nelle loro menti?

La vedo dura.

Parliamo di un argomento più piacevole, la musica, è uscito da poco il nuovo EP del tuo progetto solista Leva, “Mura domestiche”, (e mi complimento con te sia per il livello musicale dell’album sia per il fatto che il ricavato sarà devoluto interamente alla Fondazione Policlinico Sant’Orsola di Bologna) com’è stato accolto finora?

Sono contento che i brani piacciano e non mi aspettavo tutta questa risposta, sinceramente. È vero che, durante una quarantena, ci si potrebbe aspettare una risposta certa e attenta da parti degli ascoltatori, ma non credo sia nemmeno così scontato, ora come ora. Le piattaforme sono strapiene di nuove uscite, dischi, EP, live, dirette e tanto altro. Tutti fanno tutto in tempi molto rapidi e c’è il rischio di perdersi qualcosa.
Comunque mi ritengo fortunato. Il disco sta vendendo. L’iniziativa è stata accolta non solo da coloro che vivono qui a Bologna, ma anche da fuori.
Mura domestiche è un disco di facile ascolto, essenziale dal punto di vista tecnico di mixaggio, ma rimane ricco di suoni/atmosfere e testi significativi. Oltre al pubblico italiano, c’è tanta interazione con il pubblico spagnolo.

Immagino tu abbia suonato tutti gli strumenti presenti nel disco, è così

Sì, è stato divertente. Chitarra, basso, batterie (di cui alcune registrate in studio e altre già campionate) synth e voci. Ci sono tanti lati positivi nel registrare soli. In primo luogo, la comodità di poter decidere cosa suona bene e cosa no, senza aspettare conferme di terzi. In secondo luogo, direi, la rapidità con cui puoi incidere. Si azzerano tutte le tempistiche: scrivi e registri, scrivi e registri, scrivi e registri. Pazzesco!

Di solito chiedo agli artisti come nascono le loro canzoni in generale, a te, però, voglio porre la domanda riferendomi ad ognuno dei cinque brani, quindi, parlami un po’ del brano “Rimpianti”.

Dunque… Rimpianti è stato scritto in qualche ora. Così, di getto.
Inciso, invece, in qualche giorno.
Nasce da una riflessione sulle prime notizie del numero deceduti Covid. Fosse vero o no, mi sentivo spiazzato. Mi chiedevo cosa potesse passargli per la mente in quel momento prima di morire. Nell’arco di ore si saranno visti passare la vita davanti. Chissá quanti rimpianti si porteranno dietro, per decisioni non prese o parole non dette, ho pensato.
Ho scritto immaginando una stanza di terapia intensiva. Suoni ipnotici di macchinari, lontani dagli affetti, tanto caos attorno tra infermieri e dottori che, nonostante tutto, si son trovati disarmati di fronte a tale situazione.

Di “Incapace” invece cosa mi dici?
Incapace, come Rimpianti, è un brano scritto in pochissimo tempo.
La struttura forse in un paio d‘ore. Il testo, lo stesso giorno.
Gli arrangiamenti, come nel caso di tutti gli altri brani, tendo a inserirli per ultimi, e, solitamente, ci vuole un po’ di più. Registrando la chitarra principale, sentivo questo strano suono, ‘simile a un sax’ (come han riscontrato alcuni) e la cosa mi è piaciuta. L’ho lasciata in quel modo, nonostante questo dettaglio non fosse voluto. Penso vada ad enfatizzare tutto: lascia molto spazio alle dinamiche incalzanti che creano basso e batteria.
Incapace è proprio l’uomo. Incapace di dirigere i suoi passi.
Tra glorie e fama, per quanto potenti, i governi umani, non sono mai riusciti a creare equilibrio su scala mondiale. Nel frattempo l’uomo, per la noia ed il suo egoismo, mira all’auto-celebrazione, non riuscendo a colmare un bisogno spirituale interiore, l’assenza di un entità superiore da cui attingere; di un Dio.

E di “Tamìm”?

Scritto nell’estate 2019, è forse il brano più pop dell’album.
Tamìm, viene tradotto dall’ebraico come “essere senza difetto o irriprovevole”.
Ricorre spesso nell’Antico Testamento, nei Proverbi e nella Genesi dove si parla di un uomo particolarmente pacifico, irriprovevole e senza difetto, in senso relativo. Per alcuni è un’utopia, per altri no. Chissà!
Tamìm è un cantico di lode rivolto a certe persone.
‘Forti e intrepide’ quando si son fatte le galere pur di non farsi arruolare e mantenersi neutrali.
Principi ferrei e ben radicati.

Veniamo ora ad “Ararat”.

Ararat é nato nel 2016, quando iniziai a suonare in giro a Bologna senza la mia prima band. Inizialmente era un semplice cantato sopra le note di chitarra ma, dopo averlo suonato le ultime volte (tra cui l’ultima a Regensburg in Germania in apertura ai The Foreign Resort e ai The Black Veils), ne ho percepito ancora di più il potenziale se suonato sopra una ritmica di basso e batteria. Ararat, monte della Turchia, è l’intermezzo nello spettacolo pre/post-diluvio.

Per finire, parlami dell’unico brano scritto in lingua inglese, “Berlin”.

Berlin… Un brano mutato centinaia di volte. Uno tra i primi scritti quando iniziai con il progetto Bestrass, subito dopo un primo viaggio a Berlino nel 2013. Mi posi la domanda se tornare a vivere a Firenze o fermarmi definitivamente a Bologna.
Una primissima versione venne già registrata e suonata nei live di quel periodo. L’idea del brano era chiara nella mia mente, ma il risultato non le faceva fede. Nel bene o nel male, venivano sempre fuori altre cose rispetto a quelle pensate inizialmente. Ad oggi, posso dire che le due versioni non siano solo un po’ diverse, bensì due brani distinti, con lo stesso titolo, ma con struttura e testo differenti.

Hai messo per un po’ da parte la tua band, i BeStrass, tornerete a scrivere qualcosa insieme?

Bella domanda. Diciamo che prima vorrei smaltire tanto di quel lavoro fatto in questi anni. Si tratta di materiale che, per un motivo o per un altro, senza scendere in dettagli noiosi, non sono mai riuscito nemmeno a proporlo ai ragazzi.
Trovo sia frustrante dover mettere da parte brani di un certo potenziale e vederli invecchiare senza un valido motivo.
Comunque, ad oggi non credo torneremo a suonare da qui a breve, ma penso che in futuro si possa fare. Quel che mi preme davvero adesso è poter smaltire tanto lavoro fatto mai pubblicato per dare un valore alla parte artistica, alla fatica e alla costanza che dietro tutto questo ci sono state.

Tu sei molto conosciuto nell’ambiente darkwave e post punk di Bologna, per chi invece non ti conosce ancora, mi dici qualcosa della tua formazione musicale e del tuo percorso artistico?

Da adolescente suonavo un po’ di tutto. Iniziai a scrivere musiche e testi molto presto, a 13 anni forse; sembravano la copia della copia della copia di qualcosa che già esisteva e faceva davvero schifo ahah… Ripresi sul serio dopo i 18 e li proposi al gruppo di cui facevo parte allora. Tutto girava intorno al punk, post-grunge; un mix ibrido ma con tanta dinamica. Mi piaceva molto la composizione dei primi Placebo e dei Prozac+, per citartene alcuni.
Ricordo nel ‘98, a 11 anni, comprai Ava Adore degli Smashing Pumpkins con mio fratello. Di quell’album ascoltavo, prima di andare a dormire, tutto il ‘lato A’; in particolare Apple+Orange e Crestfallen. Il ‘lato B’, invece, mi sembrava alieno. Avevo anche una fissa per il secondo album degli Offspring, Ignition (1993). Nel frattempo, girava ancora tanta roba legata al rock anni ‘70 e ‘80. Sui pochi canali musicali in TV (Videomusic, JudeBox), passavano spesso la stessa roba mainstream sentita e risentita; dell’underground, quindi, non ne sapevo proprio niente. Per fortuna, sotto la stazione di Santa Maria Novella, a cavallo tra il 1999 e i primi anni 2000 c’era un negozietto adorabile, minuscolo, ma fornitissimo, con l’angolino magico, proprio vicino alla cassa: ‘cd e musicassette a 2,000 Lire’. Giravo l’espositore per ore e li tiravo fuori tutti, ma poi ne compravo solo uno o due. Sceglievo a caso per aver qualcosa di nuovo da portare a casa. Funzionava!
Conobbi gruppi punk/alternative delle varie scene italiane senza mai aver visto un concerto, tipo Naftalina, High Circle o i Malfunk.
Anche l’attrazione per la new-wave ebbe origine in quel periodo; tra le scoperte: 17 Re dei Litfiba e The Plutonium Cathedral dei Vacuum (riascoltati negli ultimi anni tra l’altro).
Prossimo ai 20 anni, infatti, mi avvicino alla neo-psichedelia e sbirciando su youtube trovo gruppi come My Blody Valentine, Slint o i primissimi caotici Sonic Youth.
Lí si accese qualcosa e finalmente mi staccai un po’ dal punk classico. Iniziai ad investire nell’effettistica. Dal 2011 al 2013 suonai in 3 gruppi. Nonostante funzionassero tutti, a Firenze, oltre i centri sociali non si trovavano locali interessati a proporre serate di quel tipo. Girava solo classic rock, metal, elettronica commerciale e cover band (Dio santissimo).
Il tipo di un’etichetta olandese ci chiese di registrare anche solo qualche traccia, simile al solo brano senza titolo che aveva ascoltato su MySpace. Tutto bello ed interessante, ma non c’era costanza. Decisi di svoltare. Feci un viaggio a Berlino e poi andai a vivere a Bologna. Proposi alcuni brani validissimi, risalenti a quel periodo, a Lorenzo e Iacopo, iniziando così a suonare col nome Bestrass. Sempre autoprodotti e autonomi in tutto, ci siam fatti un po’ conoscere nell’ambiente underground di Bologna e limitrofi.
Pubblico misto. C’erano proprio tutti: punk, darkettoni, metallari, amanti della psichedelia. Tra questo c’è chi mostrava interesse alla questione dell’effettistica, suoni eterei e ricercati delle due chitarre e chi, in altro modo, ci apprezzava per questo rievocare gli anni ‘80 attraverso voce e linee di basso. Dopo The seasons (2015), primo EP in inglese di 4 tracce, registrammo L’ultima Carestia (2018), disco in italiano di 9 brani. Quest’ultimo lavoro non è stato mai promosso. Ed ora, eccomi di nuovo qui, con Mura Domestiche e tanto altro nel cassetto.

Qual è il tuo sogno più grande in ambito musicale?

Poter campare con quello che già faccio senza dover vendere l’anima al diavolo. Siamo in Italia. Amen. Vediamo sta quarantena che opportunità offre.

Sei stato anche l’organizzatore degli eventi culturali F O G, com’è stata quell’esperienza?

Ho solo gran bei ricordi. Sono stati due anni stupendi. Mi son divertito e ho conosciuto un sacco di artisti con cui ancora, a volte, collaboro. I ragazzi dell’ormai ex Loft Kinodromo mi hanno sempre dato carta bianca, avendo così la possibilità di chiamare chiunque volessi e di allestire la location al meglio. Dopo le prime tre serate infrasettimanali organizzate di giovedì, mi chiesero di spostare tutto al sabato. Fu la scelta migliore perché andò ancora meglio. Sono passati da lì molti artisti, tipo EuropeanGhost, Tabache, Klam, TulliaBenedicta, DadeCityDays, WeAreNotPopMusic (un peccato si siano sciolti), The Star Pillow, SheebaEXP e tanti altri. Inizialmente l’idea era quella di creare una sorta di salotto o laboratorio artistico a trecentosessanta gradi senza troppe aspettative, ma col tempo mi resi conto che il clima in quel locale si trasformava di volta in volta. Passammo dal salottino musicale a fare veri e propri concerti proprio nel centro di Bologna. Voglio dire.. Eravamo praticamente in Via del Pratello!

Ora che il mondo è praticamente fermo, vedo molti artisti improvvisare concerti online, anche tu pensi di farne?

Ci sto pensando. Ho solo grandi dubbi sulla resa.
Non so se sono equipaggiato per questo.

Grazie del tempo che mi hai dedicato, vuoi dire qualcosa a chi leggerà questa intervista e a chi ascolterà il tuo nuovo EP?

Grazie a voi di Tuttorock e a te Marco del supporto.
Ringrazio tutti coloro che da sempre, nelle loro possibilità, sostengono la musica underground autoprodotta, dando così ai locali e agli artisti stessi la possibilità di continuare a farlo.

MARCO PRITONI