Intervista a Riccardo Orlandi
by tuttorock
3 Novembre 2016
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Ho ancora presente la sensazione che provavo quando, da piccola, entravo in sala in casa dei miei genitori e aprivo le scatole contenenti vecchi vinili. Mi hanno sempre affascinata: le copertine, l’odore e soprattutto la gestualità, mettere il disco sul piatto, appoggiare delicatamente la puntina e l’attesa del suono imperfetto che esce dalle casse, con un costante rumore di fondo che sembra evocare il vissuto di una musica lontana. Lo consideravo qualcosa di magico, una sorta di rituale.
Non si tratta esclusivamente di musica, il vinile è molto di più. E adesso stiamo assistendo ad una sorta di seconda vita di questo supporto, e che si tratti di: amanti del vintage alla ricerca di pezzi introvabili, costosi e rari, hipster, anticonformisti, fanatici o semplicemente curiosi e appassionati, il vinile mette a segno una vittoria in quanto a popolarità.
Non a caso molti artisti contemporanei hanno deciso di cavalcare l’onda pubblicando anche la versione in vinile dei propri lavori. E c’è chi come Riccardo Orlandi, fondatore e proprietario dell’etichetta indipendente veronese Tannen Records, sembra aver avuto l’intuizione giusta al momento giusto.
Una viscerale passione per la musica e una innata meticolosità e attenzione per dettagli, sono i punti di forza dell’ideatore di questa etichetta Made in Italy, che si fa largo, senza troppa fatica, per originalità di intenti nel panorama musicale italiano, è una delle poche che produce esclusivamente vinili: nuove uscite, ristampe e dischi del passato mai editi in questo formato. Un’etichetta di qualità che continua a ricevere numerosi consensi e apprezzamenti, basti pensare che nel corso dell’edizione 2014 del MEI (Meeting Etichette Indipendenti) si è accaparatta il Premio Italiano Musica Indipendente (PIMI) come migliore etichetta.
Provo sempre una grande stima per chi realizza un progetto di successo da zero, se poi c’entra la musica sono ancora più ammirata. La curiosità mi ha spinto a capire chi c’è dietro la Tannen e come è nata, e così Riccardo mi ha raccontato di sè e della sua creatura davanti ad un paio di bicchieri di vino.
Fra non molto festeggerai sette anni di Tannen Records, credo che tu ne possa andare orgoglioso, cosa facevi prima di partire per questa incredibile avventura e quali erano i tuoi interessi?
Ho sempre avuto una smisurata passione e propensione per la musica, sin da quando ero adolescente. Durante il liceo facevo parte di una band punk rock, suonavo la chitarra e la batteria; alle superiori avevo già inciso un 7 pollici e un 45 giri. Poi mi sono iscritto all’università, ho studiato Scienze della Comunicazione, non avevo voglia di andare via da Verona, suonavo, stavo bene in questa città, e ho intrapreso degli studi che potessero consentirmi di dedicare il tempo che volevo alla musica. Tuttavia non mi sono sentito totalmente appagato da questo percorso universitario e ho deciso di iscrivermi alla facoltà di Semiotica a Bologna (lo studio dei segni, la facoltà di Umberto Eco). Credo fermamente che si faccia sempre in tempo ad imparare qualcosa di pratico mentre sia più difficile imparare qualcosa di teorico, quindi volevo intraprendere degli studi che mi strutturassero teoricamente a livello di comunicazione, alla fine però ho scoperto che la semiotica andava ben oltre la metafisica… era praticamente impossibile, un’astrazione incredibile! L’ho trovata difficile ma mi ha aperto la mente. E nel frattempo mi sono drogato di musica, ho continuato a suonare, seguito un mucchio di concerti e ho fatto tour in Italia e in Europa.
Non hai mai pensato di fare il musicista e basta?
Forse non c’ho mai creduto fino in fondo. Ho avuto un’educazione molto tradizionale, secondo la quale suonare è un hobby, non un mestiere che fai per vivere. Non con malizia, ma la mia famiglia non mi ha mai indirizzato verso questo percorso, nello stesso tempo però non mi ha mai ostacolato. Ero giovanissimo quando sono partito per il tour europero con il mio gruppo: The Rituals. Sono stato in tutta l’Europa dell’est, in Inghilterra, Germania, Francia e Olanda. Eravamo tre ragazzi, senza nessuna pretesa economica e nessun piglio impreditoriale. Suonavamo in giro solo per il gusto di divertirci. Ci mettavamo l’anima in quello che facevamo ma non abbiamo mai avuto l’idea di sfondare. I tour sono stati impagabili. Ci muovevamo in furgone, on the road ed Internet era agli inizi, il che rendeva l’esperienza esclusiva ed emozionante, costruita giorno dopo giorno e tutta nostra. Ora siamo più connessi ed è facile condividere tutto.
Come è nata la passione per il vinile?
Mio padre aveva un giradischi che era stato “sistemato” da mio fratello, il quale aveva poi comprato un paio di vinili. Non appena mi sono appassionato al punk, ho iniziato a procurarmi “montagne “ di dischi che si sono andati ad aggiungere a quelli che già avevamo in casa. Al tempo, la gente svendeva i vinili e noi li compravamo a pochissimo. Il mio primo vinile è stato Roots dei Sepultura, ho comprato diversi dischi soprattutto quando ero a Bologna. Dieci/dodici anni fa recuperarli era più complicato, i dischi non si compravano ancora su Amazon, non si ordinavano su internet ma bisognava andare a scovare i negozi, soprattutto in grandi città come Londra e Berlino, dove era possibile trovarne di usati e non, il che rendeva la ricerca ancora più accattivante.
Perché il vinile?
Perché è più bello di un cd, non lo presti e non si rovina. Il vinile ha un ascolto più intimista. È una dichiarazione d’amore per quel disco: adoro questo disco e ce l’ho in vinile. Non c’è la frenesia dello skip, lo metti sul giradischi e ascolti lato A e lato B. C’è tanta parte estetica, la copertina grande, il disco è pesante, ne hai la percezione fisica, senza sottovalutare la questione del possesso. Magari non lo ascolti ma l’idea di possederlo ti da piacere. Ed è per questo che si fanno le edizioni numerate e limitate, proprio per avere ancora di più la sensazione di quanto l’oggetto che hai comprato sia unico, irripetibile e prezioso.
Veniamo alla Tannen Records: come sei arrivato a questo business? Quando hai avuto l’illuminazione di fondare un’etichetta tutta tua?
Ho sempre seguito le etichette indipendenti. Mi piaceva come organizzavano il tutto nel marasma musicale. Le etichette danno una forma alla musica, anche dal punto di vista estetico. Mi tenevo costantemente aggiornato sulle nuove uscite e, quando ho iniziato a lavorare per il quotidiano veronese l’Arena, con i primi guadagni ho cominciato a comprare dischi da diverse etichette. Non appena avevo un pò di soldi in tasca li spendevo per comprare dei vinili. All’arrivo del corriere ero emozionantissimo, aprire il pacco, trovare i dischi che avevo ordinato e vedere materializzarsi quello che avevo scelto in micro foto su internet, riusciva a far svoltare la giornata se era cominciata male! Col mio gruppo “The Rituals” l’ultimo disco che abbiamo inciso è uscito solo in digitale e vinile, un doppio vinile curatissimo nell’estetica, inoltre all’interno avevamo inserito un libretto con i testi delle canzoni. In quell’occasione io mi ero divertito tantissimo ad impostare tutto, dalla grafica all’impaginazione. Mi sono reso conto che vedere concretizzarsi un’idea grafica mi piace da matti. Non si tratta solo di immaginare un ritratto e farne un quadro, ma è proprio l’emozione di creare il packaging di un prodotto che all’interno ha un ulteriore contenuto, superiore a quello che stai toccando, che mi entusiasma. Mi piace l’idea di dare un volto al disco nella sua completezza. Forse è stato proprio grazie al disco dei The Rituals che ho capito che un lavoro del genere mi avrebbe dato soddisfazione e gratificazione emotive incredibili.
Il “disco zero” quindi possiamo dire che è stato quello del tuo gruppo, The Rituals, poi quando è iniziata l’avventura Tannen?
Avevo voglia di fare qualcosa che fosse mio, nel 2010 ho aperto la partita IVA ed è nata la Tannen Records. L’inizio è stato disastroso dal punto di vista economico, ma nonostante ciò, questo lavoro era troppo divertente per me, era una droga, un vero e proprio gioco. Inizialmente ho scelto dei gruppi che mi piacevano senza considerare che il numero delle copie dei dischi potesse essere troppo alto, e me ne sono rimaste un sacco invendute in magazzino. Sceglievo senza alcun tipo di calcolo imprenditoriale solo tramite gusto.
Si può dire quindi che non si tratti di un business “studiato a tavolino” ?
No assolutamente, ho intrapreso questo percorso per pura passione e piacere. Esattamente come quando ho iniziato a suonare, mi divertiva ed ho incominciato questa avventura. Alcuni dischi li ho venduti con un rincaro ridicolo, senza sapere addirittura cosa fosse l’IVA. Ho fatto tutto da solo, poi ho iniziato, a furia di sberle in faccia, a fare questo mestiere. Inizialmente mi ha dato una grossa mano il mio distributore Audioglobe di Firenze.
Come nasce un vinile della Tannen Records?
Prima di tutto scelgo il disco, valuto se può vendere il vinile. Faccio una sorta di indagine di mercato, in base alla solidità del gruppo, non sono legato ad un genere musicale in particolare, ma non trascuro mai il gusto personale. Capisco chi detiene i diritti: una major, un’etichetta o il gruppo stesso, dopodichè faccio la mia proposta, motivandola. Parte quindi la contrattazione, si arriva all’accordo e alla firma. Mi occupo di recuperare le grafiche, mando in produzione il disco e mi arrivano le copie. Decido la tiratura e quando fare l’annuncio. Le copie online le spedisco io, quelle che mi rimangono le mando al distributore di Firenze e a Rough trade che si occupano di recapitarle nei negozi in tutta italia e all’estero.
Ultimamente ho letto vari articoli su Internet in merito al ritorno del vinile, pare che una delle difficoltà logistiche che si stia presentando sia quella relativa ai macchinari utilizzati per produrre i vinili, sempre più rari. Tu a chi fai riferimento?
Quando ho cominciato con la Tannen ho scritto ad un sacco di fabbriche, mandando le foto dei vinili, sapevo esattamente quello che volevo, la mia idea dal punto di vista estetico era chiara. Per assicurarmi che il lavoro venisse fatto bene, mandavo alle fabbriche fotografie di vinili malconci che avevo in casa, particolarmente brutti, e nella mail scrivevo: “ Voi non li stampate così vero? Chiedo scusa per la domanda ma il mio capo è esigente e molto preciso..”. Cercavo una garanzia di qualità. Ho fatto qualche uscita con una fabbrica di Milano che ora non esiste più, ero andato a vederla di persona, ma la qualità era più scadente di quella che ho adesso. Attualmente stampo i dischi in Germania. Economicamente ci perdo, ma la qualità è esattamente quella che voglio, quindi sono soddisfatto.
In totale quanti vinili hai prodotto?
È prossimo ad uscire il numero 80 della Tannen, la colonna sonora de “Lo Chiamavano Jeeg Robot”. Della serie HipHop, Vinili DoppiaH, invece sono al ventiduesimo, si tratta di “Turbe Giovanili”, l’album di esordio di Fabri Fibra, un doppio vinile in una tiratura limitata a 1500 copie, di cui le prime 700 in vinile color argento, e in lista ho altri 40 dischi.
Come è arrivata l’intuizione di produrre solo vinili?
Mi è sempre piaciuta l’estetica dei dischi, ho prodotto qualche CD inizialmente, soprattutto di amici, ma non mi dava particolare soddisfazione. Avevo voglia di dedicarmi esclusivamente ai vinili, tuttavia con i gruppi che sceglievo non funzionava molto. Ho lavorato con le etichette che mi davano il master. Nell’ambito underground, quello della musica conosciuta da pochi, oppure al contrario in quella più commerciale e famosa, il vinile esiste, non è una novità. Io ho tamponato una sorta di zona d’ombra, una fascia che non aveva il vinile e che si interfacciava fra le due realtà. Ho iniziato con gruppi dello spessore dei Calibro 35, semplicemente contattandoli e proponendo il mio progetto. Nessuno si rifiutava! A loro poi sono seguiti: C.S.I, Massimo Volume, Marlene Kunz, Il Teatro degli Orrori, Tre Allegri Ragazzi Morti, The Zen Circus etc.. Attualmente ho circa 60 artisti in catalogo!
Guardando il catalogo dei tuoi dischi mi rendo conto che la maggior parte sono ristampe e non dischi in prima uscita, come mai?
Il vinile ha iniziato ad essere richiesto come non immaginavo e a poco a poco, e neanche in tantissimo tempo, la Tannen Records è diventata un’etichetta di formato. Nel momento in cui ha iniziato a diventare più popolare, io ho iniziato a lavorare sulle ristampe, che per me hanno un grande fascino. È molto bello capire come rimettere il disco sul mercato. Recupero materiale nuovo, mantengo la grafica originale aggiungendo magari un libretto all’interno. Mi piace il prodotto in sè non esclusivamente il vinile; spesso uso la copertina originale ma se non riesco a trovarla (come nel caso dei Marlene Kunz) faccio una nuova copertina ispirata all’originale ma con delle foto nuove. Per i Marlene Kunz, in particolare, le foto le ha fatte Alex Astegiano (il quinto Marlene Kuntz), che originariamente era il cantante del gruppo. Con i C.S.I e i Massimo Volume, invece, ho fatto una sorta di lavoro da archivista che mi ha molto gratificato, andando a selezionare foto vecchie e ricercate. I C.S.I ne avevano un mucchio quindi è stato abbastanza facile, anche perchè mi avevano affidato completamente la direzione artistica.
I nomi di gruppi che mi hai citato c’entrano poco con l’Hip Hop, come sei arrivato alla serie di rispampe Vinili Doppia H dei grandi classici dell’Hip Hop italiano?
Mi piaceva prendere i dischi che avevano fatto la storia e così ho iniziato a pensare anche all’Hip Hop. Questo genere di musica è nato sul vinile. Mi sono informato e ho visto, con grande sorpresa, che non esistevano vinili Hip Hop, se non di pochi (Neffa e Colle Der Fomento). Gli ultimi dischi risalivano al ‘96, poi fino al 2014 quasi nulla. Mi sembrava assurdo. Ho fatto un tentativo e appena ho messo fuori la copertina del Colle Der Fomento i numeri delle richieste sono più che raddoppiati, sono passato da 500 a 1000 copie. Attualmente la serie Vinili Doppia H è il motore della Tannen Records. Ho avuto fortuna e c’ho messo impegno. Colle Der Fomento, Neffa, Gente Guasta, Dj Gruff, tutti gli anni ’90 dell’Hip Hop, non li conoscevo, non ero un appassionato del genere, poi mi sono ritrovato ad ascoltare musica nuova per me. Ho iniziato ad ascoltare tutte le discografie in maniera diversa perché sentivo che il progetto in parte era mio e i miei gusti musicali si sono aperti, ho cominciato ad apprezzare generi diversi.
In un vinile della Tannen Records da 1 a 100 quanto cuore, quanta creatività e quanta imprenditorialità c’è?
Bella domanda, direi: cuore 70, Creatività 10 e Impredintorialità 20. Principalmente passione, quello è il motore che muove tutto; ci sono tante questioni anche di natura pratica e logistica da gestire che sono un delirio, se non c’è la voglia di affrontarle in nome di qualcosa a cui tieni davvero, è facile arrendersi, perciò la passione è indispensabile, perché ripaga i tuoi sforzi.
Sicuramente, dopo qualche anno che fai questo mestiere, ti sarai fatto una tua opinione: pensi che la crescita del vinile sia stata esponenziale al pari di Inghilterra e Stati Uniti?
Il vinile è tornato, ma sopravvive, ha dei numeri ridicoli in Italia. I Verdena o Calibro 35, gruppi molto noti e di un certo spessore, vendono al massimo 2000 copie di dischi. Il vinile è ancora un supporto di nicchia. In Italia non credo che arriveremo mai alle 10000 copie che si raggiungono in altri Paesi.
Il vinile sembra il risultato di un’esigenza di mercato, la musica grazie al digitale è tornata a costare poco, il vinile invece può essere venduto ad un prezzo più alto, secondo te si può considerare più figlio del marketing o della passione per la musica?
Direi che è un pò tutte e due le cose. In un mondo in cui la musica si ascolta via streaming, e non si è più radicati ad un’idea di possesso, chi ha il vinile fa una vera e propria dichiarazione d’amore. È un aspetto personale che va contro la frenesia di ascolto. Credo che il vinile sia tornato in voga proprio grazie al digitale. L’ascolto è più intimista con il vinile. A volte c’è il desiderio di comprare dischi semplicemente per conservarli e riporli in uno scaffale, magari non vengono nemmeno mai ascoltati. In tanti mi dicono che mantengono i vinili incellofanati. Ovviamente il tutto fa parte anche di una tendenza, di una moda, un pò perchè il caro vecchio disco nero è vintage, un pò perchè è trendy e ti fa sentire appartenente ad una comunità esclusiva, quindi indubbiamente alle spalle c’è una strategia di marketing di successo.
Sei pronto ad un eventuale tramonto del vinile? Hai altri progetti in cantiere oltre ai “Vinili Doppia H”?
Io sono convinto che questo business abbia già un termine, ho una sorta di campanello d’allarme. In questo momento ho molto da fare, però questa avventura mi sembra, a volte, una bolla pronta a scoppiare, e un pò mi spaventa. Sto lavorando tanto ma non posso dire che la crescita sia esponenziale. Con la serie di “Vinili Doppia H” è come se avessi trovato una cantina di vino pregiatissimo, ma devo avere sempre una intuizione nuova, devo passare ad un’altra cantina. Nonostante il piano A stia andando benissimo sto già pensando al piano B. Attualmente sono orientato sulle colonne sonore e sonorozziazioni italiane degli anni ’60 e ’70, in questa serie mi sta aiutando Luca Barcellona che è un calligrafo appassionato di colonne sonore. L’idea è nata insieme. La serie si chiama Spettro e le prime 9 uscite hanno visto la luce tra fine settembre e metà ottobre, sono delle edizioni curatissime e ottimizzate per vinile da Tommaso Colliva dei Calibro 35, con artwork creato ad hoc o restaurati fedelmente, con aggiunta di materiale inedito. Le prime 5 sonorizzazioni sono state curate dall’artista inglese Luke Insect. Insomma un bel lavoro del quale vado molto orgoglioso.
Ci sono dei progetti che non hai ancora realizzato ma ai quali ti piacerebbe dedicarti in futuro?
Mi piacerebbe fare un vinile per ogni regione dell’Italia, un disco di musica popolare, con tanto di albero genealogico, foto d’epoca, delucidazioni di un musicologo e biografia degli artisti; in modo da comprendere qual è stato il percorso della musica tradizionale italiana e come si è sviluppata. Sono cose che esistono altrove, io ad esempio, ho un doppio vinile di musica cubana. Mi piacerebbe proprio recuperare le canzoni che scricchiolano, quelle di altri tempi e le foto vecchie da archivio, da libro di storia. Al momento è un’idea che mi stuzzica molto ma che non so se riuscirà a prendere forma. Chi li comprerebbe?
Non si tratta esclusivamente di musica, il vinile è molto di più. E adesso stiamo assistendo ad una sorta di seconda vita di questo supporto, e che si tratti di: amanti del vintage alla ricerca di pezzi introvabili, costosi e rari, hipster, anticonformisti, fanatici o semplicemente curiosi e appassionati, il vinile mette a segno una vittoria in quanto a popolarità.
Non a caso molti artisti contemporanei hanno deciso di cavalcare l’onda pubblicando anche la versione in vinile dei propri lavori. E c’è chi come Riccardo Orlandi, fondatore e proprietario dell’etichetta indipendente veronese Tannen Records, sembra aver avuto l’intuizione giusta al momento giusto.
Una viscerale passione per la musica e una innata meticolosità e attenzione per dettagli, sono i punti di forza dell’ideatore di questa etichetta Made in Italy, che si fa largo, senza troppa fatica, per originalità di intenti nel panorama musicale italiano, è una delle poche che produce esclusivamente vinili: nuove uscite, ristampe e dischi del passato mai editi in questo formato. Un’etichetta di qualità che continua a ricevere numerosi consensi e apprezzamenti, basti pensare che nel corso dell’edizione 2014 del MEI (Meeting Etichette Indipendenti) si è accaparatta il Premio Italiano Musica Indipendente (PIMI) come migliore etichetta.
Provo sempre una grande stima per chi realizza un progetto di successo da zero, se poi c’entra la musica sono ancora più ammirata. La curiosità mi ha spinto a capire chi c’è dietro la Tannen e come è nata, e così Riccardo mi ha raccontato di sè e della sua creatura davanti ad un paio di bicchieri di vino.
Fra non molto festeggerai sette anni di Tannen Records, credo che tu ne possa andare orgoglioso, cosa facevi prima di partire per questa incredibile avventura e quali erano i tuoi interessi?
Ho sempre avuto una smisurata passione e propensione per la musica, sin da quando ero adolescente. Durante il liceo facevo parte di una band punk rock, suonavo la chitarra e la batteria; alle superiori avevo già inciso un 7 pollici e un 45 giri. Poi mi sono iscritto all’università, ho studiato Scienze della Comunicazione, non avevo voglia di andare via da Verona, suonavo, stavo bene in questa città, e ho intrapreso degli studi che potessero consentirmi di dedicare il tempo che volevo alla musica. Tuttavia non mi sono sentito totalmente appagato da questo percorso universitario e ho deciso di iscrivermi alla facoltà di Semiotica a Bologna (lo studio dei segni, la facoltà di Umberto Eco). Credo fermamente che si faccia sempre in tempo ad imparare qualcosa di pratico mentre sia più difficile imparare qualcosa di teorico, quindi volevo intraprendere degli studi che mi strutturassero teoricamente a livello di comunicazione, alla fine però ho scoperto che la semiotica andava ben oltre la metafisica… era praticamente impossibile, un’astrazione incredibile! L’ho trovata difficile ma mi ha aperto la mente. E nel frattempo mi sono drogato di musica, ho continuato a suonare, seguito un mucchio di concerti e ho fatto tour in Italia e in Europa.
Non hai mai pensato di fare il musicista e basta?
Forse non c’ho mai creduto fino in fondo. Ho avuto un’educazione molto tradizionale, secondo la quale suonare è un hobby, non un mestiere che fai per vivere. Non con malizia, ma la mia famiglia non mi ha mai indirizzato verso questo percorso, nello stesso tempo però non mi ha mai ostacolato. Ero giovanissimo quando sono partito per il tour europero con il mio gruppo: The Rituals. Sono stato in tutta l’Europa dell’est, in Inghilterra, Germania, Francia e Olanda. Eravamo tre ragazzi, senza nessuna pretesa economica e nessun piglio impreditoriale. Suonavamo in giro solo per il gusto di divertirci. Ci mettavamo l’anima in quello che facevamo ma non abbiamo mai avuto l’idea di sfondare. I tour sono stati impagabili. Ci muovevamo in furgone, on the road ed Internet era agli inizi, il che rendeva l’esperienza esclusiva ed emozionante, costruita giorno dopo giorno e tutta nostra. Ora siamo più connessi ed è facile condividere tutto.
Come è nata la passione per il vinile?
Mio padre aveva un giradischi che era stato “sistemato” da mio fratello, il quale aveva poi comprato un paio di vinili. Non appena mi sono appassionato al punk, ho iniziato a procurarmi “montagne “ di dischi che si sono andati ad aggiungere a quelli che già avevamo in casa. Al tempo, la gente svendeva i vinili e noi li compravamo a pochissimo. Il mio primo vinile è stato Roots dei Sepultura, ho comprato diversi dischi soprattutto quando ero a Bologna. Dieci/dodici anni fa recuperarli era più complicato, i dischi non si compravano ancora su Amazon, non si ordinavano su internet ma bisognava andare a scovare i negozi, soprattutto in grandi città come Londra e Berlino, dove era possibile trovarne di usati e non, il che rendeva la ricerca ancora più accattivante.
Perché il vinile?
Perché è più bello di un cd, non lo presti e non si rovina. Il vinile ha un ascolto più intimista. È una dichiarazione d’amore per quel disco: adoro questo disco e ce l’ho in vinile. Non c’è la frenesia dello skip, lo metti sul giradischi e ascolti lato A e lato B. C’è tanta parte estetica, la copertina grande, il disco è pesante, ne hai la percezione fisica, senza sottovalutare la questione del possesso. Magari non lo ascolti ma l’idea di possederlo ti da piacere. Ed è per questo che si fanno le edizioni numerate e limitate, proprio per avere ancora di più la sensazione di quanto l’oggetto che hai comprato sia unico, irripetibile e prezioso.
Veniamo alla Tannen Records: come sei arrivato a questo business? Quando hai avuto l’illuminazione di fondare un’etichetta tutta tua?
Ho sempre seguito le etichette indipendenti. Mi piaceva come organizzavano il tutto nel marasma musicale. Le etichette danno una forma alla musica, anche dal punto di vista estetico. Mi tenevo costantemente aggiornato sulle nuove uscite e, quando ho iniziato a lavorare per il quotidiano veronese l’Arena, con i primi guadagni ho cominciato a comprare dischi da diverse etichette. Non appena avevo un pò di soldi in tasca li spendevo per comprare dei vinili. All’arrivo del corriere ero emozionantissimo, aprire il pacco, trovare i dischi che avevo ordinato e vedere materializzarsi quello che avevo scelto in micro foto su internet, riusciva a far svoltare la giornata se era cominciata male! Col mio gruppo “The Rituals” l’ultimo disco che abbiamo inciso è uscito solo in digitale e vinile, un doppio vinile curatissimo nell’estetica, inoltre all’interno avevamo inserito un libretto con i testi delle canzoni. In quell’occasione io mi ero divertito tantissimo ad impostare tutto, dalla grafica all’impaginazione. Mi sono reso conto che vedere concretizzarsi un’idea grafica mi piace da matti. Non si tratta solo di immaginare un ritratto e farne un quadro, ma è proprio l’emozione di creare il packaging di un prodotto che all’interno ha un ulteriore contenuto, superiore a quello che stai toccando, che mi entusiasma. Mi piace l’idea di dare un volto al disco nella sua completezza. Forse è stato proprio grazie al disco dei The Rituals che ho capito che un lavoro del genere mi avrebbe dato soddisfazione e gratificazione emotive incredibili.
Il “disco zero” quindi possiamo dire che è stato quello del tuo gruppo, The Rituals, poi quando è iniziata l’avventura Tannen?
Avevo voglia di fare qualcosa che fosse mio, nel 2010 ho aperto la partita IVA ed è nata la Tannen Records. L’inizio è stato disastroso dal punto di vista economico, ma nonostante ciò, questo lavoro era troppo divertente per me, era una droga, un vero e proprio gioco. Inizialmente ho scelto dei gruppi che mi piacevano senza considerare che il numero delle copie dei dischi potesse essere troppo alto, e me ne sono rimaste un sacco invendute in magazzino. Sceglievo senza alcun tipo di calcolo imprenditoriale solo tramite gusto.
Si può dire quindi che non si tratti di un business “studiato a tavolino” ?
No assolutamente, ho intrapreso questo percorso per pura passione e piacere. Esattamente come quando ho iniziato a suonare, mi divertiva ed ho incominciato questa avventura. Alcuni dischi li ho venduti con un rincaro ridicolo, senza sapere addirittura cosa fosse l’IVA. Ho fatto tutto da solo, poi ho iniziato, a furia di sberle in faccia, a fare questo mestiere. Inizialmente mi ha dato una grossa mano il mio distributore Audioglobe di Firenze.
Come nasce un vinile della Tannen Records?
Prima di tutto scelgo il disco, valuto se può vendere il vinile. Faccio una sorta di indagine di mercato, in base alla solidità del gruppo, non sono legato ad un genere musicale in particolare, ma non trascuro mai il gusto personale. Capisco chi detiene i diritti: una major, un’etichetta o il gruppo stesso, dopodichè faccio la mia proposta, motivandola. Parte quindi la contrattazione, si arriva all’accordo e alla firma. Mi occupo di recuperare le grafiche, mando in produzione il disco e mi arrivano le copie. Decido la tiratura e quando fare l’annuncio. Le copie online le spedisco io, quelle che mi rimangono le mando al distributore di Firenze e a Rough trade che si occupano di recapitarle nei negozi in tutta italia e all’estero.
Ultimamente ho letto vari articoli su Internet in merito al ritorno del vinile, pare che una delle difficoltà logistiche che si stia presentando sia quella relativa ai macchinari utilizzati per produrre i vinili, sempre più rari. Tu a chi fai riferimento?
Quando ho cominciato con la Tannen ho scritto ad un sacco di fabbriche, mandando le foto dei vinili, sapevo esattamente quello che volevo, la mia idea dal punto di vista estetico era chiara. Per assicurarmi che il lavoro venisse fatto bene, mandavo alle fabbriche fotografie di vinili malconci che avevo in casa, particolarmente brutti, e nella mail scrivevo: “ Voi non li stampate così vero? Chiedo scusa per la domanda ma il mio capo è esigente e molto preciso..”. Cercavo una garanzia di qualità. Ho fatto qualche uscita con una fabbrica di Milano che ora non esiste più, ero andato a vederla di persona, ma la qualità era più scadente di quella che ho adesso. Attualmente stampo i dischi in Germania. Economicamente ci perdo, ma la qualità è esattamente quella che voglio, quindi sono soddisfatto.
In totale quanti vinili hai prodotto?
È prossimo ad uscire il numero 80 della Tannen, la colonna sonora de “Lo Chiamavano Jeeg Robot”. Della serie HipHop, Vinili DoppiaH, invece sono al ventiduesimo, si tratta di “Turbe Giovanili”, l’album di esordio di Fabri Fibra, un doppio vinile in una tiratura limitata a 1500 copie, di cui le prime 700 in vinile color argento, e in lista ho altri 40 dischi.
Come è arrivata l’intuizione di produrre solo vinili?
Mi è sempre piaciuta l’estetica dei dischi, ho prodotto qualche CD inizialmente, soprattutto di amici, ma non mi dava particolare soddisfazione. Avevo voglia di dedicarmi esclusivamente ai vinili, tuttavia con i gruppi che sceglievo non funzionava molto. Ho lavorato con le etichette che mi davano il master. Nell’ambito underground, quello della musica conosciuta da pochi, oppure al contrario in quella più commerciale e famosa, il vinile esiste, non è una novità. Io ho tamponato una sorta di zona d’ombra, una fascia che non aveva il vinile e che si interfacciava fra le due realtà. Ho iniziato con gruppi dello spessore dei Calibro 35, semplicemente contattandoli e proponendo il mio progetto. Nessuno si rifiutava! A loro poi sono seguiti: C.S.I, Massimo Volume, Marlene Kunz, Il Teatro degli Orrori, Tre Allegri Ragazzi Morti, The Zen Circus etc.. Attualmente ho circa 60 artisti in catalogo!
Guardando il catalogo dei tuoi dischi mi rendo conto che la maggior parte sono ristampe e non dischi in prima uscita, come mai?
Il vinile ha iniziato ad essere richiesto come non immaginavo e a poco a poco, e neanche in tantissimo tempo, la Tannen Records è diventata un’etichetta di formato. Nel momento in cui ha iniziato a diventare più popolare, io ho iniziato a lavorare sulle ristampe, che per me hanno un grande fascino. È molto bello capire come rimettere il disco sul mercato. Recupero materiale nuovo, mantengo la grafica originale aggiungendo magari un libretto all’interno. Mi piace il prodotto in sè non esclusivamente il vinile; spesso uso la copertina originale ma se non riesco a trovarla (come nel caso dei Marlene Kunz) faccio una nuova copertina ispirata all’originale ma con delle foto nuove. Per i Marlene Kunz, in particolare, le foto le ha fatte Alex Astegiano (il quinto Marlene Kuntz), che originariamente era il cantante del gruppo. Con i C.S.I e i Massimo Volume, invece, ho fatto una sorta di lavoro da archivista che mi ha molto gratificato, andando a selezionare foto vecchie e ricercate. I C.S.I ne avevano un mucchio quindi è stato abbastanza facile, anche perchè mi avevano affidato completamente la direzione artistica.
I nomi di gruppi che mi hai citato c’entrano poco con l’Hip Hop, come sei arrivato alla serie di rispampe Vinili Doppia H dei grandi classici dell’Hip Hop italiano?
Mi piaceva prendere i dischi che avevano fatto la storia e così ho iniziato a pensare anche all’Hip Hop. Questo genere di musica è nato sul vinile. Mi sono informato e ho visto, con grande sorpresa, che non esistevano vinili Hip Hop, se non di pochi (Neffa e Colle Der Fomento). Gli ultimi dischi risalivano al ‘96, poi fino al 2014 quasi nulla. Mi sembrava assurdo. Ho fatto un tentativo e appena ho messo fuori la copertina del Colle Der Fomento i numeri delle richieste sono più che raddoppiati, sono passato da 500 a 1000 copie. Attualmente la serie Vinili Doppia H è il motore della Tannen Records. Ho avuto fortuna e c’ho messo impegno. Colle Der Fomento, Neffa, Gente Guasta, Dj Gruff, tutti gli anni ’90 dell’Hip Hop, non li conoscevo, non ero un appassionato del genere, poi mi sono ritrovato ad ascoltare musica nuova per me. Ho iniziato ad ascoltare tutte le discografie in maniera diversa perché sentivo che il progetto in parte era mio e i miei gusti musicali si sono aperti, ho cominciato ad apprezzare generi diversi.
In un vinile della Tannen Records da 1 a 100 quanto cuore, quanta creatività e quanta imprenditorialità c’è?
Bella domanda, direi: cuore 70, Creatività 10 e Impredintorialità 20. Principalmente passione, quello è il motore che muove tutto; ci sono tante questioni anche di natura pratica e logistica da gestire che sono un delirio, se non c’è la voglia di affrontarle in nome di qualcosa a cui tieni davvero, è facile arrendersi, perciò la passione è indispensabile, perché ripaga i tuoi sforzi.
Sicuramente, dopo qualche anno che fai questo mestiere, ti sarai fatto una tua opinione: pensi che la crescita del vinile sia stata esponenziale al pari di Inghilterra e Stati Uniti?
Il vinile è tornato, ma sopravvive, ha dei numeri ridicoli in Italia. I Verdena o Calibro 35, gruppi molto noti e di un certo spessore, vendono al massimo 2000 copie di dischi. Il vinile è ancora un supporto di nicchia. In Italia non credo che arriveremo mai alle 10000 copie che si raggiungono in altri Paesi.
Il vinile sembra il risultato di un’esigenza di mercato, la musica grazie al digitale è tornata a costare poco, il vinile invece può essere venduto ad un prezzo più alto, secondo te si può considerare più figlio del marketing o della passione per la musica?
Direi che è un pò tutte e due le cose. In un mondo in cui la musica si ascolta via streaming, e non si è più radicati ad un’idea di possesso, chi ha il vinile fa una vera e propria dichiarazione d’amore. È un aspetto personale che va contro la frenesia di ascolto. Credo che il vinile sia tornato in voga proprio grazie al digitale. L’ascolto è più intimista con il vinile. A volte c’è il desiderio di comprare dischi semplicemente per conservarli e riporli in uno scaffale, magari non vengono nemmeno mai ascoltati. In tanti mi dicono che mantengono i vinili incellofanati. Ovviamente il tutto fa parte anche di una tendenza, di una moda, un pò perchè il caro vecchio disco nero è vintage, un pò perchè è trendy e ti fa sentire appartenente ad una comunità esclusiva, quindi indubbiamente alle spalle c’è una strategia di marketing di successo.
Sei pronto ad un eventuale tramonto del vinile? Hai altri progetti in cantiere oltre ai “Vinili Doppia H”?
Io sono convinto che questo business abbia già un termine, ho una sorta di campanello d’allarme. In questo momento ho molto da fare, però questa avventura mi sembra, a volte, una bolla pronta a scoppiare, e un pò mi spaventa. Sto lavorando tanto ma non posso dire che la crescita sia esponenziale. Con la serie di “Vinili Doppia H” è come se avessi trovato una cantina di vino pregiatissimo, ma devo avere sempre una intuizione nuova, devo passare ad un’altra cantina. Nonostante il piano A stia andando benissimo sto già pensando al piano B. Attualmente sono orientato sulle colonne sonore e sonorozziazioni italiane degli anni ’60 e ’70, in questa serie mi sta aiutando Luca Barcellona che è un calligrafo appassionato di colonne sonore. L’idea è nata insieme. La serie si chiama Spettro e le prime 9 uscite hanno visto la luce tra fine settembre e metà ottobre, sono delle edizioni curatissime e ottimizzate per vinile da Tommaso Colliva dei Calibro 35, con artwork creato ad hoc o restaurati fedelmente, con aggiunta di materiale inedito. Le prime 5 sonorizzazioni sono state curate dall’artista inglese Luke Insect. Insomma un bel lavoro del quale vado molto orgoglioso.
Ci sono dei progetti che non hai ancora realizzato ma ai quali ti piacerebbe dedicarti in futuro?
Mi piacerebbe fare un vinile per ogni regione dell’Italia, un disco di musica popolare, con tanto di albero genealogico, foto d’epoca, delucidazioni di un musicologo e biografia degli artisti; in modo da comprendere qual è stato il percorso della musica tradizionale italiana e come si è sviluppata. Sono cose che esistono altrove, io ad esempio, ho un doppio vinile di musica cubana. Mi piacerebbe proprio recuperare le canzoni che scricchiolano, quelle di altri tempi e le foto vecchie da archivio, da libro di storia. Al momento è un’idea che mi stuzzica molto ma che non so se riuscirà a prendere forma. Chi li comprerebbe?
Intervista a cura di Mariapia Catalani
Foto di Davide Galandini
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