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Intervista a Daniela Slezáková a cura di Elena Arzani

Intervista a Daniela Slezáková a cura di Elena Arzani

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Nell’ottica di una ricerca più approfondita in merito alle professioni legate alla Musica ed alla sua filiera, iniziata in occasione della recente edizione di Milano Music Week 2019, Elena Arzani ha intervistato Daniela Slezáková di Danyhella, agenzia di music managment, produzione e booking

EA – Come è iniziato il tuo rapporto con la musica?
DS – È stato un po’ inaspettato. Avevo 19 anni e frequentavo il Liceo Linguistico a Praga. Una sera sono andata ad un piccolo concerto nel locale di un mio amico. Mi disse che stava preparando un grande progetto musicale  presso l’Arena O2, che è il più grande stadio del nostro Paese. Conoscevo il suo lavoro, lo sforzo che ci mette dentro e sembrava davvero molto impegnato, avendo un sacco di tempo libero gli dissi che sarei stata felice di aiutarlo, se vi fosse stata la necessità di una mano. Il giorno dopo mi ha chiamata dicendo: “hai fatto il più grande errore della tua vita – mi hai offerto un aiuto ed io lo userò!” Non avevo precedenti esperienze e non avevo idea di cosa aspettarmi, ma essendo giovane e ingenua, ero carica di ottimismo. Iniziarono a piovere piccoli compiti qua e là, per 6 mesi mi ridussi a 4 ore di sonno al giorno, andando a scuola, dopo aver gestito la produzione, le commissioni e le pubbliche relazioni. Tornavo a casa e lì lavoravo fino alle 4 di nuovo. Penso che sia stato il momento in cui ho imparato a non spegnere il telefono di notte. Un team di 80 persone lavorava a questo progetto ed uno spirito incredibile nell’aria. Riponiamo le nostre vite nell’attesa di far accadere lo spettacolo. Il concerto era esaurito e sono riuscita a vederlo in gran parte dal pubblico. Alla fine dello spettacolo sono stata sopraffatta dalle emozioni, dalle lacrime che mi rigavano le guance – consapevole che in quello show avessimo messo tutto ciò che c’era in noi stessi, ricordando la fatica, il sudore e le lacrime, ero così orgogliosa del lavoro di tutti i soggetti coinvolti. Poi mi sono guardata intorno e ho visto l’intero stadio alzarsi in piedi applaudendo. L’energia è passata attraverso – mettendoci dentro le nostre anime, abbiamo toccato le anime delle persone. Un sentimento che il denaro non può comprare. In quel momento ho capito che questo è qualcosa di più grande di noi ed è qualcosa che voglio continuare a fare il più a lungo possibile.

EA – Tra le tue prestigiose collaborazioni, Ian Ritchie, Harry Waters e Larry John McNally, con un focus sulla scena jazz, che è considerata da molte persone la migliore musica. Com’è lavorare nel campo del Jazz, poiché – immagino – le dinamiche potrebbero essere piuttosto diverse da quelle della scena rock?
DS – Esistono diversi aspetti del lavoro in quanto il jazz viene principalmente suonato in locali più piccoli e più intimi, la band richiede un suono diverso da una rock band, la struttura del concerto differisce. Ma alla fine è ancora musica, solo in una forma diversa. E mi sono sempre piaciuti sia i grandi palchi che i piccoli club. Ognuno ha la sua magia. In effetti uno dei concerti più memorabili per me è stato lo spettacolo di Gilad Atzmon a Praga che ho prenotato qualche anno fa. Gilad ha suonato con grandi musicisti locali in un piccolo posto chiamato A Maze In Tchaiovna. Era affollato rispetto alla normale capacità e c’era così tanta energia proveniente sia dalla band che dalla folla, da non riuscire a stare ferma, e sembrava che qualcosa dentro di me stesse per esplodere. Momento incredibile.

EA – Cosa ti piace in particolare del jazz?
DS – Ho sentito la gente dire: “Non ascolto il jazz perché non lo capisco.” Beh, cosa significa capire il jazz comunque? Non ho mai provato a capirlo da sola. Sono abbastanza contenta del fatto che mi tocchi. Il jazz è musica bellissima ed emozionante. È come una conversazione con toni anziché parole e c’è abbastanza spazio per la propria immaginazione per intuire ciò che dicono.

EA – L’industria musicale è cambiata radicalmente negli ultimi decenni, e in più l’introduzione di streaming audio ha ampiamente modificato le abitudini dei consumatori. L’elemento visivo ha anche affrontato profondi cambiamenti, album di copertine e opuscoli sono quasi scomparsi “uccisi dai video”. Come adattate il vostro lavoro ai tempi che cambiano e come immaginate il futuro dell’industria musicale?
DS – È difficile. Quando ho iniziato a lavorare nella musica, MySpace era una delle più grandi piattaforme di social media e i lettori mp3 erano ancora molto rari. Oggi le persone che hanno cinque anni meno di me non hanno idea dell’esistenza di qualcosa come MySpace. L’evoluzione delle piattaforme di social media e dei servizi di streaming è estremamente rapida. Inoltre, non è universale per tutti i Paesi. Non esiste una ricetta che possa coprire l’artista in tutto il mondo. È importante ascoltare il tuo pubblico, le sue abitudini, le preferenze e seguire quella direzione. Fortunatamente, sono ancora testimone delle persone che acquistano CD durante i concerti. I servizi di streaming sono utili, ma non c’è niente come tenere un disco tra le mani. Il ritorno dei vinili dà una piccola speranza, ma a lungo termine temo che verranno pubblicati sempre meno dischi fisici. Stampare qualsiasi disco costa un sacco di soldi e in questi giorni, quando hai musica online praticamente gratis, non c’è garanzia per gli artisti, che le vendite di dischi fisici copriranno almeno i costi di produzione.

EA – “La musica ha il potere di trasmettere valori etici all’interno della nostra cultura”. Sei d’accordo?
DS -Sì, la sono. Ma credo che valga per ogni forma d’arte in generale. Il mondo intorno ci sta plasmando ed il lavoro non è mai finito. Come musicista, autore, scultore, stai esprimendo ad alta voce te stesso e le tue convinzioni e la tua voce viene ascoltata da molti. Quindi dipende solo da te come usi quella voce.

EA – In che modo la musica e il lavoro all’interno della filiera musicale hanno influenzato la tua vita?
DS – Ho sempre amato la musica ed è sempre stata una delle priorità della mia vita. Ricordo di aver viaggiato in Europa per spettacoli, quando ero un adolescente. Ricordo di aver saltato la scuola per andare ai concerti o in altri casi di esser tornata a scuola subito dopo i concerti e di essermi addormentato sulla scrivania. Ho inventato una scusa tremenda per rimandare gli esami di fine corso solo per poter andare ad un concerto a Vienna (spero che il mio ex docente non legga!!!). Mi è sempre parso, che la scuola mi stesse trascinando lontano da qualcosa che trovavo veramente significativo. Successivamente, entrare a far parte del settore, è stata una delle cose migliori, che mi siano mai successe. Ricordo e faccio tesoro di ogni singolo concerto a cui ho lavorato. Il lavoro può essere estremamente stressante a volte con molta pressione sulle spalle, ma poi tutte le persone fantastiche che ho incontrato, le amicizie che si sono sviluppate, la musica che ho ascoltato, l’eccitazione e l’adrenalina che ho provato, la superano alla grande. È un modo di vivere guidato dalla passione.

EA – Pensi che la musica possa essere considerata un linguaggio universale o, al contrario, potrebbe avere un lessico e un gergo che divide le persone etnograficamente?
DS – Lo vedo certamente come un linguaggio universale. Potrebbero esserci dialetti diversi qua e là ma quelli non ostacolano la comprensione e la connessione reciproche.

EA – Data la tua esperienza nella musica, quale potrebbe essere la tua lista ideale delle prime 3 canzoni e perché? Tra suono e testi, potresti scegliere prima uno dei due o li consideri inseparabili?
DS – Immagino di non essere in grado di scegliere le 3 migliori canzoni, ma forse 3 brani casuali da una lunga lista che sono nella mia mente ora … These Arms Of Mine di Otis Redding: perché la musica soul è stata una grande parte della mia vita ed il modo in cui Otis canta il testo, mi fa venire i brividi lungo la schiena. Shadowplay di Fish di Marillion: ho sempre ammirato il loro uso del linguaggio ed il modo in cui descrivono con precisione sentimenti che tutti conoscono, ma a cui è difficile dare un nome. Pompadour di McNally Waters: è una canzone che farà parte del prossimo album della band. Si potrebbe dire che sono di parte e forse è vero. Tuttavia, la prima volta che ho ascoltato la canzone, mi è davvero piaciuta, ma ascoltandola dal vivo di recente, ho compreso davvero quanto sia potente. Mi stupisce quanto dolore e amore sia possibile concentrare in un unico pezzo allo stesso tempo. Penso che i ragazzi abbiano fatto un lavoro particolarmente meraviglioso in questo. Scegliere tra suono e testi è come la scelta di Sophie. Ho bisogno di entrambi nella mia vita.

EA – Di recente hai scoperto anche una grande passione per la fotografia, le tue foto sono state utilizzate da artisti tra cui il duo McNally-Waters all’interno di materiale promozionale e sito web, e vincendo un concorso fotografico. Cosa ti piace della fotografia musicale?
DS – Mi è sempre piaciuta la fotografia e la grafica e ho molti amici tra i fotografi. La mia casa è decorata con le loro foto di concerti in cui ho lavorato. Questa primavera, quando eravamo in viaggio nel Regno Unito, la band voleva che facessi delle riprese in modo da avere del materiale da pubblicare sui social media. Così sono andata e ho fatto alcune foto di momenti e angoli che ho trovato interessanti, le emozioni che mi hanno maggiormente colpita, quando le ho vissute. Mi è piaciuto moltissimo. Tuttavia non avrei mai immaginato che avrebbe avuto una reazione così forte. Ma ovviamente ne sono molto grata e sono contenta che le foto siano utili. La cosa che mi piace della fotografia musicale è il dialogo emotivo inespresso tra musicista e fotografo. La persona sul palco irradia una certa energia, le emozioni esprimono qualcosa sia di se stesse che della persona che scatta la foto. In base alle emozioni catturate ed al modo in cui vengono incapsulate, musicista e fotografo proiettano in esse qualcosa anche di loro stessi. Lo trovo molto intrigante.

ELENA ARZANI

Informazioni:

Danyhella
W www.danyhella.com
FB Danyhellamusic

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