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Intervista a Beppe Facchetti in occasione uscita dell’album Blues Pyromaniacs

Intervista a Beppe Facchetti in occasione uscita dell’album Blues Pyromaniacs

In occasione dell’uscita del loro album “Blues Pyromaniacs” intervista a Beppe Facchetti, batterista dei SuperDownHome.

Un album, Blues Pyromaniacs, prodotto dall’Awards winner Andres Osbourne in uscita per l’etichetta regina del Blues europeo, la francese Dixie Frog, i SUPERDOWNHOME ritornano a presentarsi al pubblico italiano con un release party alla LATTERIA MOLLOY di Brescia, loro città natale.
Scambiamo due chiacchiere non convenzionali.

Cosa è blues e cosa non lo è?
Willie Dixon risponderebbe “The Blues is the roots, the rest is the fruits” dando un po’ l’idea di quella che è stata l’evoluzione della musica moderna occidentale da quando colonialismo e schiavismo concausarono questo forzato esodo di massa della parte di popolazione africana più giovane e sana verso l’America. Assodato che la gran parte delle musiche “occidentali” (jazz e derivati, soul, r’n’b, rock’n’roll, rockabilly, reggae, ska, funk, disco, rock, hard rock, hip hop e affiliati) contengono tutte un qualche elemento del blues delle origini e che ne sono, in qualche modo, le figlie bastarde, va da sé che diventa difficile parlare di cosa è blues in un senso puro.
Il mito del blues si è diramato in percorsi di perdita dell’atavica purezza del seme originario, commistionandosi con ciò che viene portato in dono dai tempi che cambiano. Il tutto per sintetizzare al massimo un fenomeno incredibile che ha riempito nel bene e nel male gli ultimi 150 anni e che oggigiorno si trova relegato sugli scaffali più nascosti di quelle che sono le vestigia dei negozi di dischi del tempo che fu.

E cos’è il Blues dei SUPERDOWNHOME?
Per i Superdownhome, a differenza di quello che in molti pensano, il legame con il blues tradizionale, il blues downhome, il rural blues è molto forte, la nostra scintilla ispiratrice è stata Seasick Steve, ma non abbiamo voluto accontentarci di riprendere e ripetere stilemi già piuttosto consunti e abbiamo voluto invece scegliere un punto di vista diverso, non necessariamente più interessante, non necessariamente così originale, il tutto partendo in ogni caso da una versione davvero “stripped down” di quello che è un canonico ensemble musicale blues. Abbiamo infatti scelto alcuni degli strumenti più tradizionali del blues (cigar boxes e Diddley bows) e un approccio persuasivo ridotto all’osso.
Un duo di questo genere rischia di ripetersi all’infinito e perciò abbiamo cercato di trovare soluzioni ritmico/melodiche il più variegate possibile, così da poter offrire una palette di colori più ampia.

E il look…
“Half dandy, half cockney sardonic look”. Anche questo è un non troppo velato omaggio alla tradizione, il bluesman tradizionale, raramente è ritratto con gli abiti da lavoro, essere musicista era uno status, lo show era uno show, lo si prendeva come uno spettacolo. E, a quel punto, se di spettacolo vogliamo parlare, che spettacolo sia, con tutti i lustrini e le paillettes che servono.
E, di lustrini e paillettes sono costellati gli anni che hanno visto avvicendarsi le figure più svariate della musica del diavolo e suoi derivati, lustrini e paillettes fuori così come lustrini e paillettes dentro, nello spirito, uno spirito che ha unito sincerità a commercio, perché con la musica occorre anche poter mangiare, specialmente quando è l’unica abilità che hai.

Dei piromani della tradizione, ma non troppo quindi.
Sfruttando un’iperbole del concetto e una definizione di un giornalista francese, abbiamo optato per assumerci il ruolo di piromani del blues, mutuando, a nostro modo, quello che era un concetto già espresso negli anni ’90, ma con altra attitudine, da Jon Spencer con la sua Blues Explosion. Loro erano i dinamitardi, noi siamo due vecchi piromani, abbiamo tentato in questi pochi anni di dar fuoco alle polveri ancora vivaci di una musica che amiamo tanto ma della quale vogliamo rivisitare alcuni canoni. Perché il prodotto finale deve assomigliare più a noi che a quello che noi – come milioni di altre persone – abbiamo ascoltato dagli inizi di questa epopea che ancora vive grazie alle mille reincarnazioni che ha generato.

Paolo Blodio

Band:
Voce e Cigar Box: Enrico Sauda
Batterie: Beppe Facchetti