I HATE MY VILLAGE – Intervista a ADRIANO VITERBINI
In occasione dell’uscita del loro secondo album “GIBBONE” ho intervistato la band I HATE MY VILLAGE.
Ciao e piacere di avervi sulle pagine di Tuttorock, venite da quattro trascorsi musicali diversi, cosa vi ha portato alla creazione di questa band?
Piacere nostro! La band nasce da me e Fabio, che nel 2015 cominciammo a fare sessioni di improvvisazione in garage. Per esplorare la nostra passione comune, la sonorità’ africana. La prima applicazione del nostro incontro potete ascoltarla nel brano “Tubi innocenti”, nel mio secondo lavoro da solista (prodotto da Marco Fasolo, nel quale canta anche Alberto in un brano). Dopo questo episodio continuammo ad accumulare musica e interazione con un nuovo linguaggio molto personale, che decidemmo di evolvere provando dopo qualche anno (2018) a registrarlo per bene. Nacque così, il nostro primo lavoro, al quale seguì un tour pazzesco, che ci impressionò per potenza emotiva e ci incoraggiò a proseguire, come fosse un nuovo passo verso la nostra esplorazione ed esperienza musicale. Seguirono un EP di bonus track non inserite nella prima versione del primo album ed ore il “GIBBONE” EP.
IHMV doveva essere, a quanto si sa, un progetto spot, invece prosegue la sua fortunata storia, è stata la pandemia a portarvi alla decisione di un nuovo album? Andrete avanti con questo progetto in parallelo ai vostri?
I Hate My Village è un luogo dove riporre le nostre speranze e dove poter sperimentare senza paura, il nostro paesaggio dove poterci immergere o dove poter volare. Le cose nascono un poco per caso (come dovrebbe essere sempre) e ci lasciamo guidare da noi stessi. Non c’è progettualità, ma solo voglia di suonare e sorprenderci. Il nuovo ep è stato registrato facendo un esperimento col mio registratore a cassetta mesi prima dell’inizio della pandemia. Riascoltando quella session ci siamo subito accorti del fascino di quelle registrazioni, ed abbiamo immediatamente pensato potesse essere stato interessante pubblicare un lavoro così lo-fi.
Il nome di I HATE MY VILLAGE come è nato e che significato gli avete voluto dare?
Il nome si rivela da sé dopo un viaggio su internet, alla ricerca di locandine di film horror e fantascienza. Succede che mi imbatto in questo film (I Hate My Village), dalla locandina disegnata in modo grezzo ed approssimativo, allo stesso tempo impattante, tanto che immediatamente fantastico su qualcosa di musicale. Scrivo a Fabio e gli propongo il nome, anche lui salta dalla sedia… Difatti sulla copertina del nostro primo album (ma anche su Gibbone), Scarful, l’artista che ha disegnato per noi le cover di questi due lavori, una parte si rifà a quel tipo di locandine africane dal tratto molto crudo e scoordinato.
Chi ha avuto l’idea di chiamare Gibbone il disco?
Il titolo è venuto a me. Gibbone è un modo di dire usato nel nostro furgone (da Fabio) per definire quello stato d’animo in cui ci si trova quando dopo ore ed ore di autostrada ci si sente costretti nello stesso luogo, con un incontenibile voglia di uscire dalla gabbia. Ripensando a quegli episodi del tour, ho trovato ironico e liberatorio proporre gibbone come titolo: è musica in direzione all’estremo opposto di quelle che fanno gli altri, siamo liberi senza alcuna strategia, sperimentando e ci divertiamo, cercando di portare l’ascolto su un piano diverso immersivo, eccitate, cinetico.
Quattro tracce che, personalmente, ho trovato diverse, ognuna con una sua personalità ben specifica e delineata. Dall’ambient, con un delizioso canto, di Yellowblack, ai suoni tribali di Gibbone, alla lucidità di Ami e l’aggressività di Hard Disk Surprize, rispecchiano le vostre diverse visioni musicali?
Yellowblack è l’unica traccia registrata in studio e finita a casa, la prima dell’ep, come un ponte tra il primo album e questo su registratore a cassette. In Gibbone, probabilmente, c’è l’influenza dei nostri ascolti, elettronica, ambient, l’amore per le ripetizioni, ed il fascino per la distorsione armonica e la compressione che distrugge tutto. Tutto coniugato nel nostro linguaggio, che di fondo è un grande errore di pronuncia; la nostra versione di alcune melodie e ritmiche africane è sgrammaticata, non vuole imitare niente.
Disco a 3 e tour a 4 con Alberto Ferrari in aggiunta, cosa cambia? Ha partecipato anche lui al processo creativo?
Il nuovo ep è stato suonato da Fabio, Marco e da me, ed è stato prodotto da Marco Fasolo. Nel giorno in cui facemmo questa jam eravamo noi tre nella mia sala prove vicino Roma, ed abbiamo fotografato il momento, (con una polaroid rotta), non pensavamo che da quell’incontro sarebbe uscito un ep. Ricordo che immediatamente rimanemmo affascinati da questi loop umani di percussioni e basso, incerti e mutevoli, come se il suono fosse stato per 30 anni immerso, inabissato nel mare e poi ripescato, rivelandosi opacizzato e deteriorato. Tra poco però saremo di nuovo sul palco tutti e quattro insieme e sarà bellissimo.
Registrazione usando mezzi minimal analogici, un hard-disk bruciato che si trasforma in un gran pezzo, che esperienza è stata lavorare, abituati alla tecnologia perfetta di oggi, tornando a quella perfettibile di ieri o l’altro ieri?
Abbiamo usato il 4 tracce a cassetta come fosse uno strumento, con tutti i suoi limiti, che diventano pregi e opportunità’ creative. Con il computer spesso ci si distrae, è difficile prendersi e confondersi con aspetti tecnici che rubano tempo e stancano la performance. Nella nostra modalità l’azione è immediata, e la prima performance è quasi sempre quella perfetta e irripetibile. Non ci sono regole, facciamo sempre qualcosa di sgangherato, perché nel nostro campo chi impara il mestiere, è meglio che smetta.
Ora un tour, con gli spettatori seduti, forse potreste suonare in uno stadio così da permettere a tutti di saltare liberamente… Scherzi a parte, cosa vi aspettate e cosa promettete a chi verrà a vedervi?
In realtà ci aspettiamo molto da queste performance, suoneremo fare il nostro meglio, proponendo tutto il nostro repertorio e cercando l’interplay, improvvisando, rendendo unico ed irripetibile ogni show. Creare una connessione con il nostro pubblico, essere su uno stesso piano inclinato, insieme. La musica è una cosa sacra.
MAURIZIO DONINI
Band:
Alberto Ferrari – voce, polistrumentista (sarà nel tour)
Adriano Viterbini – chitarra
Marco Fasolo – basso
Fabio Rondanini – batteria
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CEO & Founder di TuttoRock - Supervisore Informatico, Redattore della sezione Europa in un quotidiano, Opinionist in vari blog, dopo varie esperienze in numerose webzine musicali, stanco dei recinti mentali e di genere, ho deciso di fondare un luogo ove riunire Musica, Arte, Cultura, Idee.