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HORROR VACUI – Intervista al cantante e fondatore Koppa

HORROR VACUI – Intervista al cantante e fondatore Koppa

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In occasione dell’uscita del nuovo album “Living for Nothing”, ho avuto il piacere di intervistare Koppa, cantante e fondatore della band goth rock, post punk e death rock bolognese Horror Vacui.

Ciao Koppa, benvenuto sulle pagine di Tuttorock, inizio con una domanda che sto facendo un po’ a tutti gli artisti, come hai vissuto il periodo di quarantena?

Ciao a tutti. Bah, io e Marzia ce la siamo passata relativamente bene perché ci siamo trasferiti in una casa nuova il primo Marzo. La casa ha due bei garage immensi che stiamo trasformando in sala prove e magazzino per dischi, strumenti, cianfrusaglie ecc, quindi ci siamo trovati impossibilitati ad uscire in un momento in cui ci serviva davvero tanto tempo per pulire, sistemare le nostre cose, imbiancare, ristrutturare, fare e disfare, e, detta anche con un po’ di cinismo, il lockdown è capitato a fagiolo. Se fosse successo un mese prima sarebbe stato un disastro per noi. Poi c’è da considerare che, vivendo insieme, il tempo ci è passato al triplo della velocità rispetto a chi vive da solo. Certo, ci mancano gli amici, i concerti, il bar, la pizza, le birrette al parchetto, ma, ripeto, se non ci avessero rinchiusi agli arresti domiciliari, saremmo ancora in alto mare coi lavori casalinghi.

È uscito da pochissimo il vostro bellissimo nuovo album, “Living for Nothing”, il titolo è una sorta di sfogo verso questa società contemporanea malata?

Io penso che quasi ogni testo degli Horror Vacui scaturisca da uno sfogo. Noi suoniamo tutti in altri gruppi, punk prevalentemente, punk di matrice politicizzata, per intenderci, e siamo abituati a gridare la nostra rabbia in quei gruppi. Negli Horror Vacui tiriamo fuori quello che c’è più nel nostro profondo personale, le nostre paure, le nostre angosce, le nostre insicurezze e le nostre emozioni. Poi ci sono anche qui testi di chiara matrice politica (anche se forse ce ne sono stati di più in passato rispetto a questo disco). Living For Nothing è più che altro un titolo esistenzialista perché, a dispetto di una moltitudine di individui che vivono, anzi, che si lasciano vivere, che non si rendono conto di essere delle bombe ad orologeria destinate ad implodere all’interno del sistema che li schiavizza e li prende in giro, esiste un microcosmo di soggetti che vogliono vivere liberi dalle catene sociali e che, in un frangente temporale diverso, avrebbero potuto fare la differenza, perché loro sì che sono delle bombe ad orologeria pronte a scoppiare per destabilizzare il sistema. Ma queste sono cose che potevano avere senso duecento anni fa, ora, tra telecamere, GPS attaccati al culo, carte di credito e social network, ha ancora senso parlare di libertà? Da qui la nostra domanda esistenziale: “vivere per niente o morire per qualcosa?”.

Anche titoli di brani come “Consolation Price”, “Frustration” e “Living in Tension” fanno capire che non parlate dei soliti argomenti presenti nei brani gothic/death rock.

Si, beh, mi sa che noi non abbiamo mai parlato troppo di quelle che sono le tematiche più ricorrenti all’interno di questo determinato ambito musicale/culturale. I testi li scrivo prevalentemente io, che sono terribilmente materialista, quindi lascio poco spazio alla fantasia. Alcuni testi li ha scritti Marzia e lei ha decisamente una mano diversa dalla mia, molto più eterea, ricca di metafore e altre figure retoriche, che si avvicina sicuramente di più allo stile che suoniamo. I tre titoli che hai citato nella domanda sono testi che ho scritto io. Consolation Prize (che appunto significa “premio di consolazione”) parla del Cristianesimo, una storia di duemila anni in cui ci prendono per il culo con la promessa di un Paradiso (che è appunto il premio di consolazione, visto che arriva dopo la morte) e ci minacciano con lo spauracchio dell’inferno per mantenere le nostre menti incatenate e impedirci di essere liberi di pensare e agire diversamente dai loro disegni. Frustration invece è odio puro, è la voglia di compiere una strage che mi viene ogni volta che leggo i commenti razzisti, fascisti, ignoranti e ignobili dei sostenitori dei vari Salvini, Meloni, Orban, Trump e compagnia; non credendo però nelle armi e nella violenza indiscriminata e non avendo speranze nel miglioramento di una situazione che ci sta portando velocissimamente al collasso globale, non posso che somatizzare la mia rabbia e continuare, frustrato, ad aspettare di vedere come va a finire. Living In Tension è invece un pezzo più personale, nel senso che rientra un po’ in quella che nella domanda precedente ho descritto come la sfera del profondo personale.

Come sono nati i brani del disco e come nasce solitamente una canzone degli Horror Vacui?

Le nostre canzoni nascono più o meno come la maggior parte delle canzoni della maggior parte dei gruppi. La musica, in questo disco, l’ha scritta quasi tutta Masbucci (il chitarrista) che, grazie ai metodi tecnologici odierni, imbastisce il pezzo in casa con chitarra, basso e batteria (coi suoni campionati), ce li manda in chat, noi li sentiamo e poi in sala prove lo suoniamo tutti assieme aggiungendo la seconda linea di chitarra, la linea vocale e lo arrangiamo con qualche sfumatura imprevista. Poi ci metto il testo. Questo per il 90% dei brani del disco. Alcuni li scrivo io e, in genere, sono cose che mi suonano già in testa (parole, melodie e suoni), ma poi in sala prove ognuno ci mette del suo. In passato io scrivevo molto di più, poi ho un po’ esaurito le idee J

Un paio di domande riguardanti te personalmente, so che ti sei avvicinato relativamente tardi al gothic/death rock, com’è avvenuto questo fortunato avvicinamento? Dico fortunato perchè i risultati sono ottimi per noi ascoltatori.

Nel 2005 io e Marzia ci siamo trasferiti a Londra per motivi di studio (suoi). Lì abbiamo cominciato a frequentare un pub goth che distava 100 metri da dove lavoravo e siamo entrati in contatto con questa sottocultura. Marzia già ascoltava qualcosa, io invece no, e, nonostante il nostro amico Andrea Bonini (che è poi l’autore delle grafiche degli ultimi due dischi degli Horror Vacui) ci passasse delle cassette compilation di pezzoni goth/death rock/post punk, non ero riuscito mai ad entrare troppo in sintonia col genere che mi sembrava estremamente moscio rispetto ai miei ascolti dell’epoca (crust/hardcore/punk). Poi a Londra, la magia… ed eccoci qui. Diciamo che quando qualcosa mi tocca nel profondo, io non riesco a stare con le mani in mano, quindi se mi piace un genere musicale, lo voglio suonare a tutti i costi.

Tu lavori in un negozio di dischi. In un periodo storico in cui gli acquirenti di musica in formato fisico sono in netta minoranza rispetto a chi scarica file da internet, come vedi quel tipo di mercato? Si vendono ancora dischi e cd?

Dunque, il discorso è un po’ complesso. Diciamo che, storicamente, ad un certo punto il vinile è andato in coma perché il CD ne ha completamente soppiantato il mercato. Alcuni generi però sono rimasti molto più legati al vinile come supporto fonografico. Uno di questi generi è il punk (con le sue mille sfaccettature). Ora, chi mi viene a dire che preferisce il vinile per un discorso di alta fedeltà e si compra dischi punk, mi fa un po’ ridere perché non è di sicuro il genere che predilige il massimo della tecnica e dell’audiofilia; un discorso del genere me lo aspetto da un ascoltatore di prog rock o di musica sinfonica, ma poi mi chiedo se non sia meglio il formato CD visto che ci hanno trapanato le palle per anni dicendoci che il digitale è il massimo dell’alta fedeltà. Comunque, scusa la digressione, io, personalmente, preferisco il vinile perché è più grande, le immagini si vedono meglio e non devo usare il microscopio per leggermi i testi. Diciamo che lo vivo meglio rispetto al CD. Poi la questione è legata anche ad un discorso di tendenza, nel senso che è normale che un disco punk esca in vinile, poi magari anche in CD, ma il traguardo è fare il vinile. Con gli anni e con l’avvento di internet alla portata di più o meno tutti, la musica ha cambiato faccia, anzi, vestito. Ora, chi me lo fa fare di spendere 20 € in negozio per un CD quando posso scaricarmelo, buttarmelo su un CD-r e ascoltarmelo ugualmente in macchina o a casa o su qualche aggeggio portatile? E ti dirò di più, da quando sono usciti gli I-pod e le chiavette USB, chi me lo fa fare di riempirmi lo zaino o la macchina di CD quando su un coso grosso meno di un accendino ci posso mettere l’equivalente di 750 CD? A questo punto è il mercato del CD ad andare in coma, infatti le vendite sono crollate e ciò che riesco a smazzare io sono classiconi che uno si compra usati a pochi euro per il puro gusto di avere quel determinato disco originale, oppure album che sono usciti solo su CD che uno si compra per lo stesso motivo (lo chiamiamo collezionismo? A voi l’arduo responso). Per il vinile è diverso. Uno al vinile gli vuole bene, lo tratta meglio, lo coccola, lo pulisce prima di metterlo sul piatto, lo custodisce più gelosamente. E difatti le vendite del vinile sono risalite ad un certo punto. La cosa sorprendente è che a far salire le vendite è stata proprio la diffusione a tappeto della musica on line. Prima di tutto ora non si compra più a scatola chiusa perché ci si può ascoltare un disco per intero su youtube, gratis, prima di investire del grano in qualcosa che potrebbe poi risultare un pacco clamoroso, ma poi, a quanti di voi è capitato di sentire un disco on line e di avere subito voglia di possederlo in copia fisica e originale (CD o vinile che sia)? A me capita spesso, e spero anche alla maggior parte delle persone che ascoltano musica. Se a qualcuno non succede, si faccia due domande. Detto questo, la musica si vende ancora, chiaramente non come negli anni 60/70/80 e, te lo garantisco, non è il campo in cui ci si può buttare chiunque e pretenda anche di farci i soldi. Diciamo che miri a sopravvivere (economicamente parlando), ma ci sono persone come il sottoscritto che preferiscono arrivare a stento a fine mese vendendo dischi che vivere nel lusso sfrenato facendo un qualsiasi lavoro che non sia la propria passione.

Ci sono molti club che non sanno se potranno riaprire una volta che la situazione tornerà alla normalità. Secondo te, la gente tornerà ad uscire supportando maggiormente la scena locale o non cambierà niente?

Le reazioni degli esseri umani, per quanto pur sempre corrotte dagli eventi, a volte sono imprevedibili. Personalmente non riesco a fare un pronostico perché se ci penso, mi si aprono davanti vari scenari. Da un lato ci sarà una gran voglia di uscire che potrebbe portare la gente a decidere di non rinunciare più a nulla per guadagnare quell’ora e mezza di sonno in più in previsione della successiva giornata di lavoro che appunto potrebbe rinfoltire le fila di quelli che non si perdono mai un concerto. Sempre guardandola in positivo, alcuni, pur di far qualcosa e di non stare in casa perché ne hanno avuto abbastanza, potrebbero avvicinarsi al mondo dei concertini nei club che prima invece ignoravano. Al tempo stesso però, non sapendo quanto questa situazione di distanziamento durerà (si parla di riapertura a fine anno), potrebbe innescarsi un nuovo problema per il mondo dei club e della musica underground (che è un termine che odio, ma per intenderci lo uso visto che stiamo parlando di concerti da 150 persone al massimo e non da 15000), ossia l’abitudine. Dopo un anno che uno è impossibilitato ad andare a vedersi un concerto potrebbe anche reagire con la rinuncia totale perché si è adagiato sul divano o aver coltivato una nuova passione. Si ragiona col condizionale. Nulla è certo. Un altro scenario possibile è che per un bel po’ (un lungo “bel po’” che potrebbe anche diventare un “per sempre”) ai concerti bisognerà rispettare il distanziamento e la massima capienza che un posto come il Freakout potrebbe offrire sarà di una sessantina di persone, il che significa che i biglietti costeranno di più, i concerti saranno meno divertenti e le possibili persone che si avvicineranno a questo mondo (quelle di cui parlavo prima ipoteticamente) potrebbero non trovarlo divertente e smettono di frequentare quell’ambiente. Credo solo che affinché tutto non crolli ci vorranno molta passione, dedizione e pazienza.

Quando avete deciso di formare una band e perchè vi chiamate Horror Vacui?

Io personalmente ho sentito la necessità di formare una band dopo aver sentito i Nirvana e aver capito che se poteva salire sul palco Kurt Cobain che sapeva suonare la chitarra come me, allora lo potevo fare anch’io. Questo è il concetto più punk che esista, ossia la distruzione di quella barriera psicofisica che differenzia chi sta sul palco da chi sta sotto e uccide il concetto di rockstar. Nella fattispecie io ho iniziato a pensare di formare gli Horror Vacui nel 2005 quando stavo a Londra, ma solo nel 2011 (a Bologna) ho trovato le persone adatte per concretizzarlo. All’inizio ci chiamavamo Blackfriars Bridge (che è il ponte sul Tamigi sotto il quale hanno trovato Roberto Calvi impiccato) ma siccome non riusciva a pronunciarlo nessuno (nemmeno noi) abbiamo optato per un più nostrano (o quasi) Horror Vacui. Chiaramente c’è una storia dietro. Mentre stavamo pulendo casa ho rimproverato a Marzia, che è una accumulatrice compulsiva di cazzate, di soffrire di sindrome da horror vacui. Ci siamo guardati in faccia e abbiamo pensato fosse meglio di Blackfriars Bridge come nome del gruppo. E così è stato…

Lo sapete che siete molto apprezzati da varie tipologie di amanti della musica, dai metallari ai punk, passando ovviamente per gli amanti del gothic e death rock?

Non dovrei dirlo perché sembra che ce la tiriamo, ma, sì, siamo al corrente del fatto che siamo riusciti a non farci disprezzare da tutti ma di essere stati in grado di accogliere nel nostro bacino d’utenza varie categorie di ascoltatori non convenzionali oltre a quelli che in Italia chiamiamo dark. Questo è dovuto a vari fattori. Il primo è che noi veniamo dal (e continuiamo a muoverci nel) punk, quindi le prime persone a sentire la nostra musica sono stati appunto i frequentatori dei centri sociali e delle case occupate in cui abbiamo fatto i primi concerti (cosa che continuiamo a fare, sia chiaro!). Poi il giro goth/wave/deathrock/post punk/chiamalo come ti pare, si è accorto di noi e abbiamo iniziato ad esibirci anche in quel tipo di contesti che trovava spazio più che altro in piccoli club e luoghi più convenzionali a questo tipo di musica. Nel 2012, quando abbiamo fatto uscire il primo disco, siamo stati approcciati da un’etichetta metal americana che ha voluto produrci l’album su CD e lì probabilmente abbiamo acquisito qualche anima più dedita a sonorità ben più pesanti, veloci e distorte. Ad un certo punto poi il nostro genere è diventato motivo di interesse anche tra gli ambienti dell’indie rock e qualcuno anche di quel giro si è affezionato a noi. Me ne accorgo soprattutto quando vedo le varie tipologie di personaggi ai nostri concerti e al banchetto del merch. La cosa bella di tutto ciò è che siamo riusciti a portare nelle realtà occupate dei soggetti che mai ci avrebbero messo piede, con la speranza che abbiano scoperto un ambiente stimolante e ricco di contenuti che, ahimè, latitano nei club.

Quanto vi manca suonare dal vivo?

Tanto. Non che fossimo dei leoni da palcoscenico, visto che in un anno in media facciamo un tour di 3 settimane all’estero e non più di dieci concerti in Italia, ma il fatto di non poter suonare perché così ci viene imposto e di avere un disco fresco fresco che non possiamo presentare dal vivo, ci fa soffrire in qualche modo.

Ditemi un vostro concerto che ricordate particolarmente.

Ce ne sono tanti, è molto difficile sceglierne uno. Potrei dirti quello a Bogotà ad Agosto 2019 perché c’era veramente una vibra esagerata. Ma potrei elencartene altri trenta che hanno lasciato il segno.

Grazie mille per il tempo che mi hai dedicato, vuoi dire qualcosa ai lettori di questa intervista?

Grazie a te per aver pensato a noi. L’unica cosa che mi va di dire a chiunque è di pensare con la propria testa e di non farsi ingannare dai vari predicatori della Domenica siano essi connessi alla sfera religiosa o politica, perché nulla di buono è mai venuto fuori da lì e migliaia di anni di storia dovrebbero avercelo insegnato.

MARCO PRITONI