“GLI INVISIBILI” – IL NUOVO SINGOLO DI LORY MURATTI E CRISTIANO GODANO
Dopo diverse collaborazioni, Lory Muratti e Cristiano Godano (leader dei Marlene Kuntz) uniscono le loro voci per una importante progettualità artistica, il nuovo singolo “Gli invisibili“, estratto dall’ultimo album e doppio progetto, album e romanzo di Muratti. Nel singolo troviamo sound e poesia incredibilmente alti e belli, di elevata poesia: dark, rock alternativo, cantautorato, jazz, new wave, tutto in totale armonia. Qualcosa di profondamente eufonico e musicale.
“Gli invisibili”, uno splendido e particolare viaggio tra luci ed ombre:
Oltre al bellissimo singolo “Gli invisibili”, estratto dal nuovo album e romanzo, Lory Muratti, musicista, regista e scrittore, è tornato infatti sulle scene con questa preziosità, questo nuovo duplice progetto discografico ed editoriale, una progettualità profonda: parliamo di “Torno per dirvi tutto“, il suo nuovo romanzo edito da Miraggi Edizioni che ha ispirato l’omonimo album (Riff Records / Freecom), disponibile in tutti i digital store ed in versione CD e musicassetta.
E’ una società liquida in dissoluzione, quella che stiamo vivendo, frenetica, aggressiva. “Gli invisibili” – a cui Muratti e Godano (legati da un’amicizia profonda ed intensa) desideravano dare voce – “sono i veri invisibili della terra, coloro che non hanno alcuno spazio per poter dire ciò che abbiamo la fortuna di poter dire noi, anche solo con questa canzone. Donne, uomini e bambini che non hanno voce poiché gli è stato tolto anche il fiato. Invisibile è chi soffre dimenticato ai bordi della società ma che, nonostante tutto, ha deciso di non arrendersi”, come riferisce Muratti.
“Invisibili, come gli eroi”. Appunto.
Il tema affrontato, è tabù. Non è facile parlare di morte, di suicidio: trasformare “il dolore in luce, il vuoto in orizzonte, la deriva in un approdo”. Il suicidio, una domanda che l’uomo pone alla natura, quasi costringendola a rispondergli. Raccontare di chi non ha paura di farla finita. È in questo modo che l’artista ha tradotto in musica e in narrativa il tormento di un richiamo che non poteva più allontanare, eludere, non ascoltare.
Prodotto dallo stesso Murati con la produzione esecutiva di Orhan Erenberk, il disco è composto da 8 canzoni rock da un linguaggio che affonda le proprie radici nelle sonorità tipiche della new wave ma anche in particolare al cantautorato colto tradizionale. In questo prezioso mix, non mancano radici, sapori e colori che si rifanno anche agli chansonnier francesi. In particolare, vorrei ricordare qui il cantautorato più puro, intenso, senza tempo, la poesia pura dal tratteggio emozionale profondo.
“Torno per dirvi tutto”, il nuovo album di inediti, ispirato dall’omonimo romanzo:
Abbiamo chiesto a Lory Muratti, durante l’intervista, come è nata l’idea creativa e narrativa, cosa lo ha ispirato a tradurre in musica gli otto capitoli del libro. L’artista ci ha raccontato che “musica e letteratura dialogano da sempre all’interno della sua produzione”. L’esigenza narrativa è stata quella di “trasportare l’immaginario in queste due forme”, esigenza che Lory Muratti ha sentito in maniera profonda. I lavori nascono in equilibrio “tra narrativa e produzione musicale” ed è così che ha preso dunque forma l’opera e la progettualità “caratterizzata da due volti profondamente legati”.
Abbiamo raggiunto ed intervistato Lory Muratti per Tuttorock:
Parliamo di “Torno per dirvi tutto”, il tuo doppio progetto album e libro. Al centro del libro e dell’album c’è il delicato tema del suicidio, che è ancora un argomento tabù nella nostra società. Perché è considerato argomento delicato e tabù, secondo il tuo pensiero?
Credo che al tema del suicidio soggiacciano tre sotto-tematiche che spaventano profondamente l’uomo, ovvero la morte (da cui inevitabilmente ognuno di noi è terrorizzato), la follia (si pensa in modo del tutto pretestuale che sia sempre la pazzia a portare al suicidio e se fosse invece un eccesso di lucidità?) e la libertà estrema, ultima, totalizzante. La libertà di scegliere cosa fare di sé e dell’ultimo baluardo del nostro essere ovvero il corpo, il corpo che è nostro così come questa vita. Lungi da me il voler tessere un elogio del suicidio ovviamente, ma credo che i motivi profondi del terrore e dell’evitamento che la menzione dello stesso produce nel dialogo sia da ricercarsi nella commistione di questi motivi: morte, pazzia e libertà.
Riuscite a immaginare qualcosa di più spaventevole per una società che ha paura anche della propria ombra? Io credo fermamente che solo parlando, raccontando e confrontandosi sia possibile dissipare il terrore che ci attanaglia in questi tempi complessi dentro i quali ogni giorno qualcuno ci lascia anche per mano propria. Parlarne, scriverne, suonare e immaginare assieme dentro quel territorio oscuro può essere di aiuto a noi, a loro, a chiunque abbia pensieri di quel tipo.
Otto capitoli e otto canzoni rock: è soltanto un caso?
Ovviamente non è un caso ed è anzi l’esito di un lavoro programmatico che porto avanti ormai da diversi anni. Mettere in dialogo musica e narrativa è sempre stata per me un’urgenza espressiva. Cantare quello che racconto e tradurre in musica luoghi, atmosfere e personaggi presenti nei miei romanzi è l’egida sotto la quale si muove la mia produzione. Un universo letterario che si fa musicale e viceversa. È in un dialogo continuo tra parola scritta e cantata che prendono forma le mie produzioni.
Come è nata l’idea narrativa e cosa rappresenta la narrazione, per te?
La narrazione è per me essenzialmente un modo di “riscrivere la realtà.” Scrivere ci permette di arrivare là dove le nostre vite a volte non riescono a spingersi. Questo riguarda in particolare quelle opere che, come accade nei miei libri, hanno un profondo legame con la vita dell’autore. Opere di auto-fiction dove il protagonista è direttamente chi scrive e dove la vita entra a far parte della narrazione in modo importante finendo col confondersi all’immaginazione. Ecco quindi il ruolo che ha la narrazione per me: allargare i confini, riscrivere, immaginarsi altrove.
Nel romanzo sei tu il protagonista che assumi il “ruolo” del traghettatore, un “facilitatore” di suicidi, un ruolo che ci ricorda e ci rimanda a Dante e a Caronte: una metafora intensa, profonda ed allora ti chiedo: dove vanno le anime smarrite? Fuggono e rifuggono da una società così liquida e frenetica? Fare i conti con il nostro lato oscuro non è sempre facile, non è semplice.
Non essendo dato né a me né al protagonista dei miei libri di poter immaginare dove quelle anime inquiete siano dirette, posso solo dire dove sperano di essere dirette ovvero “verso una nuova vita che verrà”. È questo il desiderio che portano dentro di loro, un desiderio che racchiude anche un’inconsueta forma di speranza. Dobbiamo pensare a tutto questo anche come a una metafora sul cambiamento che spetta a noi attuare. Attendere che le cose cambino da sole non ha mai funzionato e a volte servono scelte radicali per mutare il corso delle nostre vite. La morte è da sempre anche simbolo di rinascita ed è in quel tipo di simbolismo che tendono a collocarsi le mie storie.
Le figure sanno di vivere e sanno di andarsene?
Proprio nel loro essere pronte ad andarsene si sentono profondamente vive. È anzi il momento in cui stanno per lasciarci quello in qui vivono più intensamente ed è in quel passaggio così potente che desiderano non essere lasciate sole. Facilitare il loro passaggio, per il protagonista che le accompagna, non ha a che fare col trovarsi al cospetto di un’anima fragile e abbandonata che non sa cosa fare di sé, anzi… il più delle volte quelle figure sono intrise di vita e di speranza. Ecco la contraddizione dentro la quale il dramma si scioglie in narrazione dandoci la possibilità di parlarne e ricominciare.
C’è una forte componente, nel disco, della confusione e frenesia di oggi? Anche qui ci sono anime che vogliono andarsene?
Avremmo bisogno di rallentare per ascoltare davvero in profondità i richiami che ci circondano. Questo vale per tutto, dalla musica alla richiesta di aiuto che è spesso silente. Chi almeno una volta non ha pensato di farla finita? È un fatto di cui dovremmo poter parlare liberamente anche solo per confrontare i motivi che guidano chiunque di noi a un pensiero di quel tipo. Se poi quella fantasia si fa ricorrente o si configura addirittura come una “possibilità”, come potremo affrontare il problema in una società che sfugge costantemente al nostro lato oscuro?
Mi viene prepotentemente in mente la “società liquida” di cui parlava il filosofo Bauman: le nostre relazioni attuali si compongono e decompongono rapidamente, si sgretolano, non restano:
È sicuramente vero ed è un’osservazione profonda e sensata. Dovrebbe essere anche l’origine e lo sprone del nostro interessarci maggiormente all’altro. È sempre più facile fuggire invece piuttosto che tendere una mano, ma nella fuga non ravvedo alcun beneficio e nessuna crescita condivisa.
Come vivi la tua arte e come ti relazioni con lei?
Credo di appartenere a quella categoria di uomini e donne che si identificano completamente nella propria produzione artistica e che in essa trovano il senso profondo del loro essere qui e ora. Relazionarsi con l’arte diventa a quel punto un eterno confronto con se stessi, uno specchio e un modo per chiedersi chi stiamo diventando, dove stiamo andando e cosa vogliamo che sia manifesto di noi, di quello che proviamo, della nostra visione del mondo.
Sei più decadente, nostalgico o malinconico?
Mi piace pensare che queste caratteristiche convivano in me alternandosi e dialogando fra loro per dare vita a molte delle suggestioni che soggiacciono al mio scrivere, suonare e immaginare. Ognuna di queste tre condizioni dell’animo può essere immobilizzante, ma il giusto equilibrio delle stesse, assieme alla volontà di trasformazione, può invece essere estremamente propulsiva.
Il 5 gennaio è uscito il nuovo singolo “Gli Invisibili”, impreziosito dal duetto con Cristiano Godano ed è legato a Praga. Raccontaci l’idea comune, il filo conduttore e l’idea creativa, narrativa:
Ogni canzone dell’album è profondamente legata a un capitolo dell’omonimo romanzo che ho scritto nello stesso periodo in cui ho lavorato al disco. È fra le pagine del romanzo che si annidano i motivi profondi della mia ispirazione e leggendo quelle pagine è possibile rintracciare anche l’ispirazione che soggiace a quello che trasporto in musica.
Riguardo a Praga in particolare, aver vissuto in quella città così suggestiva e ricca di spunti immaginifici, mi ha aiutato a creare, riordinare le emozioni e dare forma alla ricerca di una “voce perduta”. La voce di chi è invisibile, inservibile ai margini della società. In quel periodo andavo cercando il grido dei dimenticati e spero, in qualche forma, di essere riuscito a restituire anche solo in minima parte, un po’ di attenzione a chi vive nella penombra della vita, lontano dai grandi giochi, lontano da tutti eppure così profondamente connesso col tutto.
Un’ultima domanda: siamo tutti spettatori silenti di una vita, quasi fossimo a teatro, sconvolta da stravolgimenti epocali, politici, sociali e culturali? Spettatori silenti in cui il termine “resilienza” è così di “moda”…
Le parole quando abusate si svuotano del loro significato e finiscono spesso col riempire frasi a caso. Credo sia accaduto un po’ anche alla parola “resilienza”. Per questo preferisco parlare di “resistenza”, non nell’accezione socio-politica che spesso assume questa parola, ma nel senso più umano con cui ci riferiamo al restare connessi al proprio percorso, alla missione di vita che ci siamo scelti (o che ci ha scelti) anche e soprattutto in mezzo agli stravolgimenti epocali di cui parli. Resistere è immaginare e immaginando possiamo ancora cambiare quello che ci circonda.
Alessandra Paparelli
Alessandra Paparelli speaker e conduttrice radiofonica, collabora e lavora con diverse riviste e giornali cartacei. Conduco il venerdì un programma di politica su RID RADIO INCONTRO DONNA 96.8 fm su Roma e nel Lazio. Scrivo e collaboro sul quotidiano in edicola La Notizia, pagina culturale, attualità, spettacolo (in edicola a Roma, Milano e Napoli).