Giovanni Nuti canta Giorgio Manganelli: intervista sullo pterodattilo Giovanni
In occasione dell’uscita del singolo “Lo Pterodattilo Giovanni” abbiamo intervistato Giovanni Nuti
Giovanni, tu sei stato l’unico ed il solo al quale la poetessa Alda Merini abbia permesso di musicare e cantare le sue liriche. Ti sei mai sentito un privilegiato?
Sicuramente. È stato un dono e un privilegio godere della sua fiducia e della sua stima.
Alda Merini non mi ha solo permesso di musicare le sue poesie, ma mi ha espressamente dettato i suoi versi perché io li musicassi.
Non solo: è stata al mio fianco sul palcoscenico in tantissimi concerti, dal Teatro Strehler ai tanti festival, prima con Milva e poi noi soli.
È diventata anche attrice recitando accanto a me nel nostro “Poema della croce” che abbiamo presentato sull’Altare maggiore del Duomo di Milano e in tanti altri luoghi straordinari in tutta Italia.
Con Alda hai lavorato per sedici anni, fino alla sua scomparsa. Com’è stato fiancheggiare un personaggio di tale portata?
Per me è stato molto più di una collaborazione. Alda lo chiamava “matrimonio artistico” perché ci accomunava la gioia della creazione. Era una persona straordinaria, un essere umano con una profondità e un’intelligenza emotiva fuori dal comune, una maestra di vita che mi ha consentito di fare un viaggio nell’anima che mi ha arricchito e cambiato per sempre.
Cosa ti manca di lei?
Mi manca soprattutto la nostra quotidianità. Il telefono che squilla a tutte le ore. Le sue telefonate in cui parlava dei misfatti dei suoi amici e dei fatti del giorno, dei grandi poeti (da Montale a Quasimodo, da Manganelli a Pasolini che l’avevano scoperta) e del suo portinaio o del farmacista, per lei tutti erano ugualmente importanti.
In occasione del quindicesimo anniversario dalla scomparsa hai deciso di commemorare Alda Merini in maniera singolare, con un concerto che accomuna le poesie dell’autrice a quelle di Giorgio Manganelli, suo mentore ed amante: “Usa la tua pazzia – Giovanni Nuti canta Alda Merini e Giorgio Manganelli”. Come mai questa scelta coraggiosa?
Giorgio Manganelli è stato il primo amore di Alda Merini, la passione turbolenta e tormentata di una sedicenne con un giovane uomo sposato, con tutto lo scandalo che negli anni quaranta e cinquanta questa relazione poteva significare.
Ma Giorgio Manganelli è stato anche il suo mentore e in parte il suo pigmalione, colui che l’ha sostenuta nella sua crescita poetica aprendole orizzonti culturali impensabili. Anche se dopo cinque anni la loro relazione si interruppe bruscamente, quando lui “fuggì” a Roma (lasciando sia lei che la moglie), per Alda, Giorgio è sempre stato un punto di riferimento, l’Orfeo a cui è dedicato la sua prima raccolta di versi: “La presenza di Orfeo”. Ed è stato ancora molto importante quando, dopo il lungo internamento in manicomio, l’aiutò a ritrovare l’attenzione degli editori e del pubblico con la prefazione al suo: “L’altra verità. Diario di una diversa”.
Alda mi parlava spesso di Manganelli e poco prima di morire mi presentò la figlia di Giorgio, Lietta, dicendole che “ero più matto di lei” e affidandomela.
Ho pensato che Alda volesse creare un legame, unire il suo lascito a quello di Manganelli.
Così, quando Lietta mi ha proposto di musicare le poesie di suo padre dicendomi che solo io potevo farlo, ho accettato. Ed è nato questo progetto che si è concretizzato prima di tutto nel concerto che ho tenuto al teatro Elfo-Puccini di Milano il 4 novembre scorso nell’ambito del “Festival A Casa di Alda”, ma che soprattutto sta per diventare un cd in uscita il prossimo gennaio con 8 poesie di Manganelli che ho messo in musica e anche alcuni inediti di Merini dedicati a Giorgio.
Cosa rappresenta per te la “pazzia”?
Per me la pazzia è uno sguardo “altro”, un punto di vista che rovescia la prospettiva. A volte, come successe per Alda, la pazzia può essere certamente disagio, sofferenza, dolore, è una terra desolata come il manicomio che l’ha inghiottita per più di dieci anni, una terra di nessuno da attraversare e che lei ha attraversato facendola diventare una “terra santa”.
Alda non è stata risucchiata dal buio come Euridice, è tornata dall’inferno “viva” come Psiche, perché con la forza dell’anima e le risorse della sua poesia ha trasformato il dolore in creatività e gioia, ha detto sì alla vita e alla bellezza senza risentimento.
Per Giorgio, anima tormentata, raffinata e complessa, che ha compiuto un percorso certamente meno cruento di Alda, frequentando per alcuni anni all’inizio degli anni sessanta l’analista junghiano Ernst Bernhard, il dolore è uno strumento da usare “come un mattone, un martello, un chiodo, una corda, una lama”. Come asserisce in una poesia che ho musicato: “usa la tua pazzia, i fantasmi che affollano la tua strada” …” quanto basta per scrivere una cosa egregia”.
La consideri una chiave di lettura per meglio comprendere le poesie dei due autori?
Sì certamente. Secondo me è la chiave principale per comprendere la loro poesia.
Per Alda è il fuoco che ha temprato il suo smisurato talento, “il vestito incandescente” che l’ha resa autentica in ogni verso e fibra del suo essere.
Per Giorgio è stata un viaggio nel profondo, una via di accesso per esplorare e affermare il lato luciferino e visionario della letteratura.
Come hai deciso quali poesie di Merini e Manganelli includere nel tuo concerto?
Alda mi diceva che per musicare un poeta bisogna conoscerlo, viverlo nella quotidianità.
Non potendolo frequentare (Giorgio è morto nel 1990) ho fatto tesoro dei racconti di Alda e della figlia Lietta su di lui, che mi hanno consentito di “avvicinarlo” al di là della mera opera letteraria.
Mi sono basato poi sul mio istinto di lettore, Lietta, con cui ho un ottimo rapporto, mi ha aiutato nella selezione.
Per quanto riguarda le poesie di Alda, nella scaletta del concerto ho inserito alcuni dei brani più noti del “nostro” repertorio (sono più di 100 canzoni, tutte raccolte nel cofanetto “Accarezzami musica – Il canzoniere di Alda Merini”), ma anche un paio degli inediti che faranno parte dell’album.
Il mese scorso hai rilasciato il singolo “Lo Pterodattilo Giovanni “, un brano che gioca su distorsione e ambiguità. In che modo hai mantenuto o enfatizzato il testo nell’adattamento musicale dell’opera letteraria?
“Lo pterodattilo Giovanni” è una poesia di Manganelli che mi ha colpito subito, e non solo perché gli ha dato il mio nome.
A parte gli scherzi e l’omonimia, questi versi surreali e bizzarri disegnano, secondo me, attraverso il ritratto di questo grande animale preistorico volante, il ritratto di chi si sente fuori luogo e fuori dal branco nel caos dei nostri tempi disumani.
Ma questo disagio può essere anche segno di ribellione e sintomo di una malattia che si chiama libertà.
Manganelli è noto per la sua scrittura ermetica ed a tratti inquietante che oscilla tra realtà e visione, rimanendo in bilico tra lo scandalo e la mistificazione. Parodia e sarcasmo diventano un esercizio di forma tra il raffinato e il funambolico, dando vita a situazioni che oserei definire decisamente “fuori dall’ordinario” o kafkiane. Hai incontrato delle difficoltà nel recitare un testo così intellettualmente denso, oppure ti è risultato un processo del tutto naturale?
C’è in me un lato istrionico e fuori dalle righe che mi ha aiutato a calarmi nello pterodattilo Giovanni. Quindi è stato per me del tutto naturale musicarlo e interpretarlo. La mia produzione musicale e il mio stare in scena sono del resto poco ortodossi e fuori dal mainstream: non uso effetti speciali, dò grande importanza alla qualità delle parole e delle melodie e uso la mia pazzia.
Lo “pterodattilo” è una figura retorica carica di significati misteriosi. Quali sono?
Può rappresentare il rifiuto delle autorità e delle tradizioni: non c’è niente di sacro e intoccabile (“mi pulisco il deretano su una guglia gotica”), l’ironia come strumento di libertà (gli pterodattili volano alto, “non possono entrare nei treni”), il rifiuto del produttivismo e dell’uomo a una dimensione (“gli pterodattili passano le ore in ozio” … “sbadigliano e digrignano i denti”), una visione ambigua della donna come salvifica e carnefice insieme (“viluppo di unghie e anima” … “legge Rilke, Beethoven, Kinsey” … e “frusta a sangue i testicoli”).
Qual è il senso nell’attribuire un nome proprio di persona a questo rettile volante preistorico?
Lo pterodattilo Giovanni è un anacronismo vivente, rappresenta secondo me la solitudine dell’uomo e dell’artista in questi nostri tempi.
Siamo essere arcaici evoluti troppo in fretta.
Il concetto di oscenità in Manganelli sembra essere legato alla trasgressione delle norme e delle convenzioni, un ardire che chiaramente va in contrasto con la retorica del “politicamente corretto”. Quale è la reazione del pubblico di fronte a tanta imprevedibilità?
C’è in lui la contaminazione tra alto e basso, il contrasto tra il sublime e il corporeo, l’atto triviale. Sottolinea secondo me l’importanza di accettare la dualità dell’esperienza umana: la vita è fatta di contrasti e la bellezza può emergere anche dal gesto più ordinario o dissacrante.
Penso che i giovani possano comprendere più facilmente questo messaggio.
Lo “Pterodattilo” è stato pubblicato per la prima volta nel 1969, riflettendo un approccio sperimentale: dopo cinquantacinque anni cosa è cambiato nel mondo letterario e musicale?
C’è pochissima sperimentazione e libera creatività: un grande appiattimento sulla logica del mercato. Prodotti culturali fatti in serie, un po’ tutti uguali, fatti per compiacere i gusti un po’ corrivi di un pubblico orientato dai like e dagli algoritmi.
Quale è la tua opinione riguardo la censura che appurano i social su determinate parole?
Penso che si tratti di una grandissima ipocrisia, un puritanesimo d’accatto.
Si ostracizzano parole e immagini di nudità per moralismo e si lasciano invece passare messaggi violenti, disumani, mercificanti, quelli sì davvero osceni.
C’è qualche messaggio che vuoi far passare in relazione alle tematiche esplorate nel testo di Manganelli?
Il mio compito non è dare messaggi ma essere artista con sincerità e autenticità. La mia musica parla per chi vuole conoscerla e capirla.
Ti ringrazio per il tuo tempo e ti auguro in bocca al lupo per la promozione dello Pterodattilo.
Viva il lupo.
SUSANNA ZANDONÀ
Better known as Violent Lullaby or "The Wildcat" a glam rock girl* with a bad attitude. Classe 1992, part-time waifu e giornalista** per passione. Nel tempo libero amo inventarmi strambi personaggi e cosplay, sperimentare in cucina, esplorare il mondo, guardare anime giapponesi drammatici, collezionare vinili a cavallo tra i '70 e gli '80 e dilettarmi a fare le spaccate sul basso elettrico (strumento di cui sono follemente innamorata). *=woman **=ex redattrice per Truemetal