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GAZEBO – Intervista a Paul Mazzolini

GAZEBO – Intervista a Paul Mazzolini

Ciao Paul, grazie del tempo che ci dedichi, hai avuto un grandissimo successo negli anni ’80 con canzoni bellissime tuttora conosciute come I like Chopin, questa identificazione con un dato periodo può avere influito sulla tua carriera successiva?
Il problema in effetti può essere stato proprio questo di I like Chopin, restare ingabbiati, anche se io ho fatto di tutto per non esserlo, già dal secondo album, Telephone Mama, sono uscito dal punto di vista commerciale, dopo il successo di I like Chopin che vendette milioni di copie in tutto il mondo, fare un disco totalmente diverso fu una follia.
 
A me Telephone Mama piaceva.
(risate) Adesso è un disco rivalutato, forse era sfasato per i tempi, ma era fondamentale per me perché rischiavo di essere bloccato in questo meccanismo. Poi negli anni ’90 ci fu il rifiuto totale degli anni ’80, poi ci ho ho messo molto tempo a riprendere il mio cammino. L’ho fatto nel 2008 con Virtual Love , più prog che disco, perché io vengo da lì, dai grandi gruppi prog degli anni ’70 dai Genesis ai Gentle Giant.
 
So già che quando la gente leggerà questa intervista dirà: “ma come? Faceva discomusic e parla di prog?”, che poi la musica disco degli anni ’80 sta, anzi è, tornata su alla grande, quando vogliono riempire le piste è quella che suonano.
Molte discoteche famose che facevano techno-house per i ragazzini  adesso vanno con quella anni ’80 e spesso mi chiedono di andare come ospite e mi fa molto piacere. Adesso è il tempo di questi grandi DJ che magari fanno finta di mettere su dischi e prendono cifre allucinanti. Fondamentalmente chi ha fatto gli anni ’80 è cresciuto negli anni ’70, quindi andando a scuola di musica, studiando armonia, uno strumento, con l’avvento del midi proprio negli anni ’80, la musica digitale, si è un poco banalizzato questo aspetto. La musica è sì diventata democratica, ma ha perso in qualità, oggi abbiamo tantissima musica che non è fatta da musicisti e questo spiega la povertà della musica che gira oggi in campo discoteca. Poi nel settore della musica leggera abbiamo il fenomeno dei Talent Show che oramai dettano legge, gli artisti che vediamo in televisione sono tutte persone che in qualche modo sono legate a questa lobby della televisione, dei network radiofonici, e questo ha globalizzato la musica, almeno quella a grande diffusione.
 
Adesso si è ribaltato il fenomeno artistico, una volta crescevi sbattendoti cercando gli ingaggi, andando nei locali, suonando, poi finivi in televisione, adesso fai il percorso inverso, prima in televisione dove diventi famoso poi nei locali.
Quando feci Masterpiece ero felice di andare a casa con il vinile sottobraccio,ero contento di avere fatto qualcosa di bello, poi veniva il successo. Adesso i giovani si alzano la mattina dicendo “voglio avere successo”, che poi sia cantando o giocando a pallone poco importa, la cosa principale è il successo, poi come ci si arriva non è importante, il mezzo si trova, questo spiega l’appiattimento attuale. Ai nostri tempi si ascoltava tutto e trovavi nella stessa classifica Michael Jackson, i Trio, Laid Back, tutti generi versi nella stessa classifica e la gente li ascoltava e li ballava tutti di seguito, anche se secondo la logica del DJ. Oggi vai in discoteca e senti la cassa che suona un bpm diverso, ma è sempre la stessa roba per ore.
 
Ma tu come sei arrivato a decidere di fare musica?
Io ho cominciato a suonare a 8-9 anni in Danimarca, perché mio padre era diplomatico e quindi eravamo a Copenaghen. Ecco perché  io canto in inglese, mia madre era americana, una cantante, così conobbe mio padre. Poi mi innamorai di un pezzo dei Beatles, Don’t let me down, che era poi la facciata B di Get back, avevo 8 anni, lo portai a casa e poi mi comprai una chitarra, era il periodo di Bob Dylan e dei Beatles. Poi passai ai Deep Purple, sentivo Blackmore e pensai che non fosse umano, poi un giorno un mio amico mi fece sentire Selling England by the pound dei Genesis, ed era un disco pazzesco. Non c’erano apparenti virtuosismi, ma un immenso mondo di fantasia, dove c’era da entrare in questa fiaba di testi e musica.
 
Tutti ti identificano con la disco music e tu invece amavi il prog?
Assolutamente sì!! Poi sono passato a quello che all’epoca si chiama jazz-rock ed oggi fusion, da Chick Corea a Frank Zappa, poi sono saltato alla classica da Varese a Bartok, mia madre pensava fossi impazzivo, a 17 anni ascoltavo Bartok, poi Miles Davis, studiai con la bravissima pianista Patrizia Scascitelli armonia. Poi a 18 anni mi sono catapultato a Londra nei club dove nascevano i Clash, i Sex Pistols, i primi gruppi del punk, poi i primi Ultravox con John Foxx, poi Midge Ure gli portò la melodia celtica meravigliosa che hanno loro. Poi andai al The Blitz, questo club londinese gestito da Steve Strange, il cantante dei Visage, e lì incontrai quelli che poi diventarono famosi negli anni ’90, Spandau Ballet, Duran Duran, Boy George, Human League, tutto questo mondo nasceva lì. Tornai a Roma nel 1981 e volevo fare quella musica, la new wave, io ascolto tutto, da Bach ai Clash, anche se mia figlia mi fa ascoltare Franz Ferdinand ed Arctic Monkeys. Il mio primo singolo, Masterpiece, è nato così, new wave, volli farne una versione melodica invece che celtica, poi nessuno lo voleva pubblicare questo pezzo. L’unico fu Paolo Miccioni, che faceva poi il DJ, mi disse “io produco questo disco, ma facciamolo ballabile”. In studio per caso trovammo una batteria elettronica, non trascuriamo i problemi tecnici, in Inghilterra erano molto più avanti a quel tempo, qui molto alla buona. Quando uscì Masterpiece nessuno capì che era un brano italiano, c’era molto diffidenza verso i prodotti italiani, allora decidemmo di fare una white label, se mettevamo Paul Mazzolini si capiva subito che era italiano, allora Paolo disse “mettiamoci Gazebo” che era una parola presente nel testo. A quel tempo i DJ andavano nei negozi di dischi dove c’erano questi white label, complici i negozianti, lui ti metteva una pila di white label e loro dicevano ascoltandolo “fighissimo”, non capivano che era italiano perché io parlo inglese meglio dell’italiano. Poi entrai nella Baby Records, che era una etichetta primaria allora, il responsabile della Baby Records sentì il pezzo per radio in auto e si fermò in un autogrill, non c’erano i cellulari, per telefonare alla segretaria dicendole “Trova chi canta Masterpiece che lo voglio”. Poi nacque una grande simpatia personale, mi diceva “come ti metti davanti alla telecamera? Balla”, “no, io non ballo”, “come non balli?”, “no, io come nel punk al massimo zompetto”, mi misi in smoking per cantare. Li convinsi a fare un video come avevo visto fare agli Ultravox, andai a Londra a girarlo in 16mm. con un costo allucinante, ma ad oggi quel video ha avuto 17 milioni di visualizzazioni.
 
In seguito?
Ho fatto un pezzo elettronico che non fu capito, era avanti 5 anni rispetto ai tempi, poi altri 4-5 album, ripresi Dolce Vita che aveva cantato Ryan Paris.  Ma negli anni ’90 c’era un totale rifiuto del decennio precedente, non c’era possibilità di avere passaggi in tv, airplay in radio e quindi visibilità. Nel frattempo quello che avevo guadagno l’avevo investito nel mio studio di registrazione, quindi iniziai a fare l’arrangiatore, il fonico, con Oltre l’Eden di Patty Pravo e poi tanti altri anche di musica etnica, soprattutto balcanica. Poi nel nuovo millennio è ricominciata un poco la moda anni ’80 ed ho visto degli spiragli per ritornare a fare Gazebo, ed andai a registrare The Syndrone, dove ebbi a suonare con me molti idoli dei miei anni ed anche David Boosta dei Subsonica. Ed ancora in seguito I like live, un disco dal vivo, ed ora questo Reset, dove sono tornato ad usare i sintetizzatori e così via.
 
Il titolo Reset ha quindi un significato ben preciso? E con testi molto forti ed impegnati, ed anche partecipazioni importanti.
Sì, un ricominciare, ma con le sonorità di oggi, ed i testi sono molto diversi, allora si era molto più spensierati no? Il brano The Secrets che parla di outing, ho visto molti che soffrivano non perché fossero gay, ma perché dovevano nascondere la loro vera vita, e quando facevano outing erano felici perché tornavano a vivere la loro vita. Poi temi scuri in Evil, quasi horror, o dedicati alle Ninfee di Monet come in Reverie. Poi sì, ho avuto Dimitris Korgialas che mi ha mandato questo demo, Blindness, dove si parla dell’ottusità della gente rispetto alla diversità, Poi Mario Manzani, chitarrista degli O.R.O. straordinario che ha fatto Vivo per Lei cantata da Bocelli, ed ancora la mia prima ballad Wet WIngs. Ed ancora il mio vecchio amico, danzarolo felpato, Roberto Russo, insomma tutto fatto in maniera leggera per il piacere di farlo.
 
Progetti futuri?
Se mi rimane un poco di voce canto stasera (risate)
 
Cosa ascolti adesso?
Moltissima anni ’70, ed i nomi nuovi della new wave di oggi, tipo Arctic Monkeys, i Muse, queste cose qua.
 
MAURIZIO DONINI
http://www.tuttorock.net/recensioni/gazebo-reset
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Album:
1983 – Gazebo (Baby Records)(#6 Italia, #16 Svizzera, #4 Germania)
1984 – Telephone Mama (Baby Records)
1986 – Univision (Carosello)
1988 – The Rainbow Tales (Carosello)
1989 – Sweet Life (Carosello)
1991 – Scenes From The News Broadcast (Lunatic)
1994 – Portrait (Giungla-BMG Italy)
1997 – Viewpoint (Softworks)
2000 – Portrait & Viewpoint (Softworks)
2007 – Ladies! The Art Of Remixage (Softworks)
2008 – The Syndrone (Softworks)
2013 – I Like … Live! (Softworks)
2015 – Reset (Softworks)