F.O.O.S. – Intervista a SImone Seminatore frontman della band
Grazie! Allora, F.O.O.S sta originariamente per Four Out Of Seven, che era la cadenza settimanale delle prove della band. Avevamo pensato di renderlo un po’ più tagliente e accattivante, ma ogni volta che volevamo modificarlo quelle iniziali tornavano, ci venivano in mente una serie di nomi composti dalle stesse lettere….e così alla fine ci siamo detti: perché non teniamo solo le iniziali?
E quindi è un caso che nel nome della band ci siano le vostre iniziali (Fabrizio e Simone)?
Ma guarda noi non ce n’eravamo nemmeno accorti, finchè qualcuno non ce l’ha fatto notare! (ride) Qualcuno dei nostri conoscenti ci ha anche detto “ah certo, vuol dire Fabri e Simo incatenati per sempre, perché c’è il segno dell’infinito fra le vostre iniziali”…che giri si fa la gente!
Durante i live tu e Fabrizio riuscite a tenere perfettamente il palco e a eseguire tutti i vostri brani in studio, strumentalmente complessi, pur essendo soltanto in due: qual è il vostro segreto?
Abbiamo cominciato a farlo per necessità, da quando siamo rimasti in 2 nella band; all’inizio abbiam cercato un terzo componente per il basso, ma l’intesa fra me e Fabri era tale per cui un terzo elemento non riusciva mai davvero ad entrare nel gruppo. Dal punto di vista dei live siamo sempre stati abituati a suonare in un modo un po’ particolare: ci mandavamo in cuffia il metronomo e suonavamo su quello. Sembra una cazzata, ma per farlo devi conoscere il pezzo alla perfezione, ed essere sempre perfettamente a tempo. Così quando siamo rimasti in due abbiamo pensato di inciderci anche le linee di basso. All’inizio avevamo un po’ timore di fare un effetto “karaoke” o che sembrasse che suonassimo in playback….ma in realtà facciamo tutto noi! Ci siamo detti che la resa finale, dal punto di vista dell’impatto del concerto, è quella che conta. Essendo in due diventava un live più asciutto, però è vero che meno strumenti suoni più è forte come botta, come impatto. Non siamo contrari in generale ad avere un terzo membro ma attualmente non ne sentiamo il bisogno. Suonando in due si crea una intesa particolare.
Eppure sul palco sembra quasi che voi non interagiate molto fra di voi, non vi guardate molto spesso…
Si, questo perché suoniamo cerchiamo di essere veramente molto precisi. Se mi giro verso Fabri non è mai per darci un cenno, non ne abbiamo più bisogno, semmai è per fargli facce brutte o per sputargli addosso! (ride) Anche lui d’altro canto mi sputa sempre sulla schiena!
E da dove nasce la vostra coppia, ora così ben affiatata?
Ci siamo beccati in un modo davvero assurdo: una sera siamo stati ingaggiati entrambi per suonare… la pizzica! Io a quell’epoca ero già in un gruppo, Fabri no, ma lui aveva già sentito qualcosa di mio. Noi eravamo in crisi con il nostro batterista, e cosi gli ho chiesto di fare una prova. Quando l’abbiamo fatto è cambiato tutto! Fabri è un batterista spettacolare, sa andare a tempo in modo preciso, il che ti cambia tutto come professionalità, è fondamentale.
Come funziona il vostro processo di songwriting? Contribuite entrambi alla realizzazione dei pezzi nuovi?
È cambiato abbastanza fra il primo e il secondo disco, il primo è stato molto più mio, ho scritto i testi e quasi tutta la musica, sul secondo invece Fabri è stato più partecipe come scrittura e come “mood” del disco. Ha interamente scritto uno dei brani, Shitty, che credo sia uno dei pezzi più concettuali dell’album. Non lo suoniamo dal vivo attualmente perché è troppo cattivo e triste!
Ascoltano i vostri testi, per l’appunto, mi è parso di notare un elemento ricorrente, come se vi riferiste spesso a qualcosa di “cattivo” che vorreste tirare fuori o, a seconda delle situazioni, da non fare uscire fuori assolutamente. Cosa ne pensi?
In parte è così. I brani del primo disco sono connessi al desiderio di non trasformarsi in una persona cattiva, ma spesso nella vita sei costretto a essere “cattivo” o almeno ad essere considerato tale dagli altri. A volte devi prendere decisioni dure, che è il tema di The Monster…il secondo disco è invece legato al karma, il nodo senza fine (Endless Knot) è un simbolo buddista del concatenamento di causa ed effetto. Da questo nodo non si esce: tutto ciò che fai ha conseguenze. Quando l’abbiamo scritto eravamo molto incazzati con il mondo della musica underground in generale, c’è molta mancanza di professionalità in giro. Certo non tutti sono così, ma prima di trovare alcune brave persone abbiamo avuto a che fare con molti ciarlatani! Ci guardavamo in faccia e ci chiedevamo come avremmo fatto ad andare avanti dopo l’ennesima batosta…e invece ci siamo alzati ogni volta!
Questa frase mi ricorda il titolo di una vostra canzone, Never back down: come mai è un po’ che non la eseguite nei live?
E’ un pezzo che abbiamo scritto a cavallo fra i 2 dischi, un po’ anche per tenere vivo l’interesse verso la band, ma in un certo senso ci siamo sentiti in parte costretti a scriverlo…ci piace, ma in una scelta live preferiamo canzoni che per noi abbiano un significato maggiore.
Immagino quindi che anche la scelta delle vostre cover sia importante per voi.
Sì, decisamente! Per noi Nine inch nails, Muse e Prodigy rappresentano il top, i Muse per la perfezione tecnica, i Nine per la rabbia che esprimono dal vivo, anche se adesso sono mostri anche loro tecnicamente, e i Prodigy… perché sono i Prodigy! Ci piacciono un sacco e ci ispiriamo a loro soprattutto dal punto di vista elettronico. E poi ovviamente i Rammstein!
In mezzo a tanti “cavalli di battaglia” veloci e potenti, avete però in repertorio anche dei brani più lenti e introspettivi.
Sì, i nostri pezzi lenti significano tanto per noi, specie dal punto di vista emotivo. Suonando Showcase io spesso piango, anche se non si vede! Ci sono canzoni, come quella, che parlano di capitoli della vita che si sono chiusi…quando ti accorgi che puoi finalmente chiamare passato alcune esperienze da cui sembrava non saresti mai uscito…è una vera gioia.
Quali sono i vostri prossimi progetti in cantiere?
Dopo la pausa estiva ci rimetteremo sotto a scrivere, abbiamo in programma un terzo disco. Con questo live abbiamo testato la longevità dei pezzi vecchi, anche per capire cosa funziona ancora bene dal vivo e cosa modificare…a noi piace comunque cambiare abbastanza stile fra un disco e l’altro. Forse ci sarà una piccola tourneè in Belgio, e poi chissà, per ora ci metteremo al lavoro per scrivere i pezzi nuovi.
IRENE DOGLIOTTI
Photo by Andrea Boschetti