FEDE POGGIPOLLINI – Intervista al chitarrista e cantautore bolognese
In occasione dell’uscita del nuovo disco “Canzoni rubate”, che uscirà venerdì 26 marzo su etichetta Django Dischi e che contiene 17 tracce suddivise tra un inedito, 9 cover e 7 collanti strumentali, ho avuto il piacere di fare una bella chiacchierata telefonica con Federico Poggipollini, per tutti Capitan Fede, cantautore bolognese e chitarrista prima dei Litfiba e poi di Ligabue, senza dimenticare le tantissime altre collaborazioni. Per questo nuovo lavoro Fede ha selezionato, riarrangiato ed interpretato alcuni brani risalenti soprattutto al decennio tra fine anni ’70 e fine anni ’80, con un occhio di riguardo verso la scena progressive.
Ciao Fede, bentornato su Tuttorock e bentornato dal Festival di Sanremo, innanzitutto parliamo di questo tuo nuovo disco che uscirà il prossimo 26 marzo su etichetta Django Dischi. “Canzoni rubate”, 17 tracce di cui un inedito, 7 collanti strumentali e 9 cover. Un disco che uscirà il giorno del tuo compleanno, ti sei voluto fare un regalo?
Ciao Marco, grazie! Di solito gli album vengono pubblicati di venerdì, la data di uscita di “Canzoni rubate” coincide con il mio compleanno ma non l’ho decisa io, abbiamo purtroppo dovuto spostarla più volte perché il mio è un album che deve prevedere che io possa fare alcuni concerti perché quello è l’unico modo per promuoverlo. È stato un lavoro molto faticoso ma sono felicissimo di aver fatto quei sacrifici, c’è un investimento molto grosso dietro e devo assolutamente farlo funzionare. Il lavoro non è stato per niente trascurato, anzi, durante il lockdown l’ho messo ancora più a punto andando in studio, parlando con gli altri attraverso Skype, cercando di portare avanti un progetto che sempre più ha preso forma. Essendo un album di cover non percepisco nulla da SIAE quindi, dicendolo in maniera molto schietta, ho bisogno di venderlo e la cosa più bella sarà presentarlo dal vivo con la mia band.
Quanto tempo hai impiegato nella ricerca dei brani che ritenevi giusti da inserire nel disco?
Ho iniziato a lavorare a questo progetto cercando cose nascoste degli anni ’70 e ’80, non sono andato a cercare negli anni ’60 perché erano già stati molto sfruttati, l’ho fatto inizialmente con Michael Urbano, l’ex batterista americano di Ligabue, io gli facevo ascoltare i brani italiani di cui ovviamente non capiva i testi e lui mi diceva: “Great sound!”, gli piaceva la composizione e da lì non ho più mirato a brani famosi ma ho cercato di fare una ricerca di cose per me importanti di cui alcune le conoscevo già. Con Michael abbiamo provato varie cose, poi lui ha smesso di suonare con Ligabue, l’ho perso un po’ di vista e l’album l’ho portato avanti io e l’ho terminato mettendoci anche altri brani che lui non aveva selezionato. Ho curato io stesso anche la produzione artistica, volevo un suono che valorizzasse l’Italia ma che fosse anche internazionale perché vengo da quel tipo di musica lì.
Parliamo di queste canzoni, mi dici qualcosa su “Varietà”?
“Varietà” è forse la più famosa che trovi nel disco, l’ho fatta uscire da poco sottoforma di videoclip con il featuring di Gianni Morandi, è legata ad un ricordo indelebile per me. Nel 1989/1990 feci un tour promozionale con Gianni e, venendo io da band da cantina come Tribal Noise e Radio City, capii da quell’esperienza che con la musica potevo anche guadagnarmi da vivere. Un bel giorno, prima di una trasmissione televisiva, venne a trovarci il compositore Mario Lavezzi, me lo ricordo come se fosse ora, suonò davanti a tutti con voce e chitarra “Varietà” in questa versione, io dovevo impararla e suonarla per Morandi, mi innamorai perdutamente di questo brano che ritengo, a livello compositivo, un brano meraviglioso, il testo è di Mogol quindi non si può sbagliare. Penso di aver creato almeno 15 versioni diverse prima di riuscire a regalare quel qualcosa di più che senti nella mia versione finale. L’importanza che ho dato a “Varietà” l’ho data a tutti i brani.
Io ho ascoltato il disco più volte in questi giorni e gli arrangiamenti che hai creato per i brani di circa 40 anni fa mi sono piaciuti tantissimo, se devo dirti quelli che più mi hanno colpito sono “Malamore” di Enzo Carella, al quale hai aggiunto un bellissimo clavicembalo, e “Il chiodo” degli Skiantos in chiave acustica. Tu, riascoltando il tuo lavoro finito, ti sei detto di un brano in particolare “oh, questa mi è riuscita proprio bene”?
Dai, davvero hai ascoltato l’album? Ma che bello! Sei il primo! Un brano che mi piace tantissimo e so che è molto difficile è “È l’aurora” di Ivano Fossati e Oscar Prudente, lì ho suonato tutto, a parte la batteria. Mi piace da morire perché ho copiato un po’ l’arrangiamento originale ma l’ho sviluppato in maniera diversa, anche il giro di basso che è molto caratteristico l’ho modificato per dargli ancora più groove. Quel brano l’ho mixato in fretta e furia e non l’ho mai ritoccato.
E “Vincent Pryce” di Faust’O?
Quello è un brano complicatissimo, con un testo è molto fitto. Ho trovato una canzone degli anni ’80, “A Big Surprise” degli Sparks, band inglese, che assomiglia molto a “Vincent Pryce” e ho capito che la produzione dell’epoca si era ispirata a quel brano. Ho voluto quindi prendere io stesso ispirazione dalla canzone degli Sparks e ho fatto un incrocio con il brano di Faist’O che solo un maniaco come me poteva fare.
Tornando a “È l’aurora”, ho sentito un arrangiamento in chiave The Police.
È pazzesco perché quel brano ha tempi dispari, i Police hanno scritto pezzi clamorosi ma non hanno mai fatto nulla di simile e io ho citato la chitarra di Andy Summers per riuscire a imitare quel suono. La canzone è un po’ reggae, sì, ma la chitarra è l’unica fonte di ispirazione che ho preso dai Police.
Dimmi qualcosa delle 7 brevi tracce strumentali che hai scritto in pieno lockdown.
Sono dei veri e propri collanti, come dicevi tu, mi sono servite tantissimo per mantenere un’idea di concept. Le ho scelte in maniera molto accurata, non volevo mettere un pezzo diverso dopo l’altro, a livello di composizione facendo questa cosa sento che c’è qualcosa che unisce una canzone all’altra.
Ce n’è una il cui titolo mi incuriosisce parecchio, “Bobcat”, immagino te con la chitarra in mano in pieno lockdown che osservi dalla finestra gli operai che lavorano in strada, è nata così?
In realtà è dedicata ad un modello di una chitarra anni ’60 della Silvertone che ho usato in quella traccia. È una chitarra comprata in America durante il lockdown, me l’ha spedita Michael Urbano. Che bella però la tua intuizione!
Il brano inedito “Delay” invece quando e com’è nato?
È un brano che, più che deciderlo io, è stato Michael che mi ha chiesto in maniera spinta di arrangiarlo perché lo riteneva bellissimo. Una volta che lui ha abbandonato il progetto ho proseguito con la sua idea e ha un sound compreso tra gli Eagles e Neil Young, mi piaceva, ho cambiato alcune parti di testo, non so se sia un brano adatto da utilizzare lì dentro ma lo ritenevo talmente importante che l’ho tenuto. Tu cosa ne pensi?
Per me ci sta benissimo, il testo segue la base musicale in maniera perfetta.
Perfetto!
Il brano rimasto più simile all’originale è “Città in fiamme” dei tuoi Tribal Noise, quanto sei legato a quel brano e a quel periodo?
Il brano è un omaggio che io ho fatto ai Tribal Noise. Un paio di anni fa è uscita una raccolta di demo tape di questa band anni ’80 di cui facevo parte. Ho voluto fare una versione di “Città in fiamme” tenendo il 99% delle parti originali, ho fatto tutto da solo in casa, ho solo ottimizzato quelle parti tagliuzzando qualcosa ma lo spirito è rimasto inedito, era importantissimo avere quel tiro di quell’epoca. Sono molto felice del risultato finale, ho anche fatto uscire il videoclip, è una fotografia di questo periodo.
Oltre a quello con Gianni Morandi ci sono altri due featuring, con Eugenio Finardi che canta con te la sua “Trappole” e con Cimini, un bravo cantautore che però è ancora poco conosciuto, che ha prestato la sua voce in “Monna Lisa”.
Cimini è un amico, mi ha un po’ incastrato, in realtà lo volevo nell’inedito ma non gliel’ho chiesto, gli ho fatto ascoltare tutto il progetto e lui mi ha chiesto di fare una piccola parte in “Monna Lisa”. Finardi è stato incredibilmente disponibile, gli ho mandato il brano su WhatsApp, dopo un paio d’ore mi ha risposto: “Che figa questa versione, dai vengo a Bologna!”. Bologna in quel periodo era un po’ incasinata allora l’ho fatto andare con un fonico nel mio studio di Milano. Eugenio ha una voce devastante e mi è piaciuto tantissimo lo stacco che c’è tra la mia parte cantata e la sua.
L’ultima traccia è un brano molto tradizionale nella canzone americana, “Impossible Dream”, cantata da Andy Williams e anche da Frank Sinatra.
“Impossible Dream”, in realtà, viene da una pubblicità di una grossa azienda che mi ha chiesto di fare una mia versione di quella canzone. È talmente bella e forte che l’ho suonata dal vivo più volte e al pubblico è sempre piaciuta tantissimo, l’ho quindi sviluppata per intero e l’ho inserita nel disco mantenendo quella base. È la bonus track dell’album, infatti, se ci fai caso, arriva dopo due tracce strumentali, inizialmente era un omaggio da lasciare in fondo poi l’ho tenuta, ha un sapore di suono leggermente diverso rispetto agli altri brani, ha quel tocco anni ’60 che si distacca dal suono new wave anni ’80 delle altre tracce.
Quindi ti sembra un bell’album?
Assolutamente sì!
L’esperienza con Annalisa al Festival di Sanremo, dove avete eseguito la cover di “La musica è finita” di Ornella Vanoni in un teatro senza pubblico, che sensazioni hai avuto appena hai visto le poltrone vuote?
È stato un po’ rimediato con il fatto che l’orchestra è stata spostata in avanti rispetto al passato. L’orchestra era composta da 70/80 persone quindi ho pensato che fosse il nostro pubblico, non si è avvertita quindi più di tanto l’assenza delle persone sedute in sala, è stato un bell’escamotage da parte dell’architetto che ha progettato questa idea. Non ero solo davanti al nulla ma ero solo davanti ad un pubblico di musicisti. La cover che abbiamo portato io e Annalisa era molto bella, quel palcoscenico è molto importante e carica di ansia chi lo calca, io non avevo neanche fatto le prove, mi hanno chiamato all’ultimo, mi ero solamente sentito con il direttore d’orchestra, quindi mi sono buttato dal quinto piano senza paracadute. L’intesa con Annalisa è stata ottima e il risultato è stato perfetto, senza errori, cosa che, durante la serata, non era scontata perché ci sono stati moltissimi problemi tecnici che ti possono far perdere la concentrazione. Essendo valida per la classifica finale era giusto che l’esibizione di Annalisa fosse perfetta.
Cosa ne pensi della vittoria dei Maneskin?
Ti devo dire che mi aspettavo qualsiasi vincitore ma non loro, è stata una sorpresa. Ho fatto più volte delle chat notturne sul Festival e ho sempre detto che la canzone dei Maneskin era una canzone molto riuscita, respiravo quest’anima rock che in Inghilterra si sente già almeno da 3 o 4 anni. Si rifanno ad un marchio anni ’70 e loro sono una via di mezzo tra un gruppo glam e un gruppo punk. Li ho filmati la sera prima chiedendogli di farmi un saluto e non ho filmato nessun altro, è come se io avessi un po’ visto quello che poteva succedere senza mai pensarci. Mi hanno anche ringraziato.
Io la vedo così: uno può anche pensare che non siano originalissimi, però, se le radio iniziano a passare brani di questo tipo, magari a qualche ragazzino viene voglia di prendere in mano una chitarra, un basso, di suonare una batteria piuttosto che mettersi davanti ad un computer.
Giusto, sono d’accordissimo con te.
Grazie mille per il tuo tempo, vuoi aggiungere qualcosa per chiudere la chiacchierata?
Grazie a te, mi hai chiesto praticamente tutto. Mi piace che tu mi abbia detto che ritieni “Delay”, il mio inedito, un bel brano, per me sei il primo test ed è una cosa molto importante, ciao!
MARCO PRITONI
Sono nato ad Imola nel 1979, la musica ha iniziato a far parte della mia vita da subito, grazie ai miei genitori che ascoltavano veramente di tutto. Appassionato anche di sport (da spettatore, non da praticante), suono il piano, il basso e la chitarra, scrivo report e recensioni e faccio interviste ad artisti italiani ed internazionali per Tuttorock per cui ho iniziato a collaborare grazie ad un incontro fortuito con Maurizio Donini durante un concerto.