ENEMYNSIDE – Intervista al chitarrista Matteo Bellezza
Sono entrati nella storia dell’heavy metal italiano gli Enemynside, thrash metal band romana attiva da metà degli anni novanta. Abbiamo parlato con il chitarrista Matteo Bellezza, dei loro piani futuri, ma anche del passato e del presente.
Ciao e benvenuti su Tuttorock. Avete un’attività di circa 25 anni, vogliamo ripercorrere i primi passi della band?
Ciao! Allora, senza annoiare il lettore con un elenco sterile di eventi posso dirti che il gruppo nasce per volere di Francesco a metà anni ’90 con il nome SCAPEGOAT. Le line-up dell’epoca erano sempre un po’ precarie ma hanno permesso al gruppo di fare le prime esperienze live in scuole, locali e centri sociali riuscendo anche a registrare (in maniera casalinga con un vecchio ma utilissimo multitraccia) un paio di cassette demo. Più volte proprio in questi eventi mi è capitato di condividere il palco con la band che avevo allora (sempre thrash, gli OVERMASTER) e grazie a questa “frequentazione” nel 1997 sono entrato nel gruppo per sostituire Giuliano (il chitarrista che avevano al tempo). Nel 1999 con l’uscita del demo.cd “From The Cradle To The Way” decidiamo poi di cambiare nome in ENEMYNSIDE.
Quanto è difficile per una band come voi, che parte da Roma e segue un certo percorso musicale, non adatto alle masse, cercare di emergere nel panorama musicale italiano e internazionale?
Credo che in questo genere il discorso si adatti un po’ a tutte le bands che hanno base in Italia. Il livello qualitativo medio dei gruppi si è alzato tantissimo rispetto a 10/15 anni fa ma purtroppo l’Italia rimane dal punto di vista delle strutture un territorio sempre un po’ ai margini. In Europa in generale c’è possibilità di agganciarsi a realtà professionali (mi riferisco a promoter, gruppi con cui condividere live e anche pubblico presente e ricettivo). In Italia spesso quello che una band riesce a fare rimane fine a se stesso perché non c’è lo stesso fermento e la stessa cultura musicale che è possibile trovare fuori. Basti pensare ai gruppi italiani che si sono imposti al di là dei nostri confini, lo hanno fatto investendo risorse e sforzi direttamente all’estero. Anche a livello logistico chi risiede in Europa centrale è meglio collegato rispetto a chi deve organizzarsi per pianificare delle date all’estero partendo dal centro Italia (o peggio ancora dal sud!). Devi sempre prima “raggiungere” il cuore del movimento e poi da lì muoverti. Chi è già in loco (in Germania, Belgio, UK, Danimarca, ecc) è già al centro di tutto.
Cosa è cambiato in questi anni nel vostro modo di comporre musica?
Le idee sono sempre partite da Francesco e me, il grosso dei pezzi lo scriviamo e strutturiamo noi, poi con tutto il gruppo lavoriamo agli arrangiamenti (le cui modifiche a volte possono risultare anche sostanziali). Diciamo che è un metodo ormai consolidato anche perché scrivere in sala è una cosa che non siamo mai riusciti a fare. A volte ci abbiamo provato ma quello che ne usciva fuori sembrava una figata pazzesca in sala prove solo per via della botta degli ampli a manetta, poi riascoltato a casa suonava prevedibile o scontato.
Invece il vostro sound?
Beh sicuramente ha sempre avuto una chiara connotazione thrash, nel corso degli anni abbiamo cercato di arricchire il sound con influenze musicali “nuove” ma questo dipendeva anche dal contesto in cui sono stati scritti e prodotti certi album. Con il primo disco volevamo affermare la nostra appartenenza al genere con cui siamo cresciuti e il disco suona coerente e focalizzato. Nel secondo abbiamo voluto dimostrare che potevamo arricchire il sound anche con altri elementi non tipicamente “classici”. Con il terzo, “Whatever Comes”, abbiamo spinto ulteriormente nella direzione del cambiamento ma lo abbiamo fatto influenzati da un contesto che non funzionava più e da dinamiche di gruppo che si erano logorate portando poi la band a sciogliersi. Quando siamo tornati con l’EP “Dead Nation Army” ci siamo riappropriati di quello che era nostro riscoprendo anche il gusto di suonare thrash come i padri del genere ci hanno insegnato!
Avete suonato molto dal vivo, non solo in Italia, ma anche in Europa e negli States. Cosa ricordate di quei momenti?
E’ la parte più bella del nostro percorso musicale. Suonare fuori ci ha insegnato molto, soprattutto che la musica viene trattata in maniera diversa e che i gruppi come noi sono cmq considerati in maniera professionale, molto più che in Italia dove a volte sembra di essere “abusivi” o imbucati. All’estero abbiamo avuto la possibilità di conoscere tanti artisti internazionali condividendo con loro palco e camerini senza però mai sentirci di troppo o fuori contesto, anzi. Il pubblico poi ha sempre reagito molto bene accogliendoci praticamente ovunque in maniera calorosa e partecipe.
Dell’esperienza USA, precisamente del NAMM? Ricordi?
Fu un’esperienza eccitante ritrovarsi in un contesto del genere, purtroppo l’organizzazione aveva più di qualche falla, ma alla fine ci siamo goduti una fiera magnifica e abbiamo suonato a San Diego in un locale davvero figo.
Oggi per questa emergenza invece i live sono fermi, quanto vi manca suonare dal vivo e quando tutto tornerà alla normalità, quale sarà la vostra reazione?
Ci manca tantissimo sia perché per questa primavera avevamo pianificato una fitta attività live con 4/5 date in Italia e 3 in Spagna (+ altre da confermare) e sia perché, essendo uscito il nuovo disco “Chaos Machine” lo scorso ottobre, eravamo in piena fase promozionale. Non vediamo l’ora di riprendere ma non sappiamo a cosa andremo incontro perché non abbiamo idea di come tutta questa situazione potrà aver influito sul settore live in chiave futura……
La vostra ultima release risale allo scorso anno, l’album “Chaos Machine”, in questo periodo avete raccolto idee per un nuovo album?
La pandemia e il relativo lock down ci hanno permesso di concentrarci sulla stesura di nuovo materiale ottimizzando il tanto tempo libero che ci siamo ritrovati ad avere non potendo uscire di casa! Ci siamo sentiti un po’ come quando eravamo adolescenti e dovevamo pensare solo alla musica (e alla scuola….cosa che spesso trascuravamo presi dal sacro fuoco musicale). Ora quello che dobbiamo fare è provare i pezzi in sala e lavorare sugli arrangiamenti.
Puoi anticiparci qualcosa?
I pezzi estremizzano quelle che sono le componenti del nostro sound: potenza e melodia. Quindi alcune cose saranno più nervose e d’impatto e altre saranno più “musicali” e accattivanti. Il tutto sempre rimanendo in territori thrash metal si intende!
Come nasce un vostro brano, dalla musica ai testi o viceversa, o vi lasciate andare alla casualità e a ciò che vi ispira al momento?
L’importanza principale per noi è la parte strumentale. Quindi quando attraverso le chitarre riusciamo a dar forma alla “visione” che abbiamo di un’idea, poi segue la parte relativa alle lyrics. Diciamo che sono due elementi che procedono distaccati ma paralleli perché poi l’idea di un testo può nascere a prescindere da una canzone. Nel caso dei testi che ho scritto io per alcuni pezzi su “Chaos Machine” per esempio ho seguito l’ispirazione del momento: attraverso alcune letture stavo approfondendo delle tematiche relative in particolare alla dittatura in URSS e mi è venuto spontaneo scrivere di quello senza sapere però in anticipo su quali canzoni sarebbero poi stati adattati i testi.
Le vostre influenze musicali?
I classici del thrash sono un caposaldo per tutti noi, quindi i Big4 + i vari Testament, Exodus, Death Angel, ecc. Poi ognuno di noi ha delle preferenze specifiche: c’è chi come Andrea ha anche un background di ascolti punk oltre ad un amore viscerale per i Pantera, Fabio ama anche gruppi più moderni come i Killswitch Engage per esempio, nonostante “Symbolic” dei Death sia il suo album preferito di sempre (e come dargli torto?). Io e Francesco spaziamo abbastanza curiosando anche fra cose più moderne tipo Gojira, Jiinjer (lui), Trivium (io). Su Machine Head e The Haunted però siamo sempre stati d’accordo.
Cosa cambiereste del vostro percorso musicale?
La risolutezza nel fare alcuni passi: troppe volte abbiamo lasciato che elementi esterni rallentassero il nostro cammino. Purtroppo a volte ci siamo messi nelle mani sbagliate e questo ha contribuito a farci perdere tempo, cambieremmo quindi alcune collaborazioni inconcludenti, quello si. Probabilmente anche la gestione del periodo relativo a “Whatever Comes” (2010/2012), album che probabilmente sarebbe stato meglio far uscire non come Enemynside ma con un monicker diverso.
Chiudete l’intervista a vostro piacimento, un messaggio per entrare nel vostro percorso musicale.
Beh che dire, se vi piace il songwriting dei classici, di gruppi come Testament, Metallica e Megadeth che oltre a picchiar duro scrivevano anche canzoni vere capaci di rimanere in testa e di essere apprezzate anche oggi a distanza di più di 30 anni, beh allora gli Enemynside fanno per voi! Ascoltate il nostro nuovo disco su Spotify e seguiteci su Bandcamp (https://enemynside.bandcamp.com/) e Fb (https://www.facebook.com/Enemynside/!
FABIO LOFFREDO
Band:
Francesco Cremisini: Voce e chitarra
Matteo Bellezza: Chitarra
Andrea Pistone: Basso
Fabio Migliori: Batteria
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Appassionato di musica sin da piccolo, ho cercato di esplorare vari generi musicali, ma è il metal, l'hard rock ed il rock progressivo, i generi musicali che più mi appassionano da molti anni. Chitarrista mancato, l'ho appesa al chiodo molto tempo fa. Ho mosso i primi passi nello scrivere di musica ad inizio anni 90, scrivendo per riviste come Flash (3 anni) e Metal Shock (ben 15 anni), qualche apparizione su MusikBox e poi il web, siti come Extramusic, Paperlate, Sdangher, Brutal Crush e Artists & Bands. I capelli mi si sono imbiancati, ma la passione per la musica è rimasta per me inalterata nel tempo, anzi molti mi dicono che non ho più speranze!!!!