En Roco – Intervista alla band
In occasione dell’uscita del sesto disco, intitolato “Per riconoscersi”, abbiamo avuto l’occasione di intervistare gli En Roco, storica band genovese in attività da 20 anni nel mondo del pop-cantautorale.
Si intitola “Per riconoscersi” ed è il sesto album degli En Roco. Per la prima volta nella storia della band genovese, si tratta di un disco politico, nel senso più alto del termine, che dà spazio al concetto di cittadinanza come partecipazione e responsabilità. La cittadinanza come parte rilevante della vita di ciascuno, all’interno del proprio Io, della comunità e del mondo.
In tempi di grande difficoltà nel mantenere vivi i valori democratici – dati in precedenza per acquisiti – si è resa necessaria una presa di posizione sui principi che possano garantire l’armonia e la condivisione nella società.
Tuttavia, all’interno dell’album, si possono percepire tutte quelle contraddizioni umane e sociali che impediscono il raggiungimento di quell’obiettivo politico.
Il suono – nonostante una storia lunga vent’anni – rimane fedele a se stesso ma con un’apertura maggiore alle influenze dei componenti del gruppo. I gusti di ognuno si fanno sentire ma, senza espliciti accostamenti ad un genere, riescono armoniosamente a confluire nello stile En Roco.
Registrato live in 3 momenti distinti dell’ultimo anno e mezzo, l’album guarda tanto al periodo 90/2000 quanto a certe venature funk della fine degli anni ‘70, facendo emergere una sfumatura psichedelica di tanto in tanto.
Si tratta di un disco che condensa molto bene diversi aspetti e che risente in maniera molto naturale degli ultimi 20 anni di storia e di musica.
Ecco l’intervista alla band.
Ciao ragazzi e benvenuti sulle pagine di Tuttorock! Chi sono gli En Roco? So che è una storia lunga 20 anni: raccontatemela in breve.
“Gli En Roco sono un quintetto nato a cavallo tra il 99 e il 2000. All’attivo ci sono 6 LP un paio di EP, una manciata di brani inseriti in raccolte di vario genere, 20 anni di concerti, prove, viaggi, incontri, collaborazioni, scambi. Dalla timidezza dei primi periodi, si è passati ad un’evoluzione sia nella scrittura che nel lavoro di costruzione e arrangiamento dei brani, pur rimanendo capaci di mantenere un suono che sentiamo nostro, ora come allora.
In tutto questo tempo non sono mancate le occasioni di incrociare il nostro percorso con tante band con le quali talvolta sono nate amicizie e frequentazioni; in particolare oggi è curioso pensare alle diverse generazioni con cui abbiamo avuto a che fare. Il confronto, magari dividendo lo stesso palco, con ragazzi nati quando noi già avevamo messo fuori i primi lavori, ci porge un punto di vista privilegiato nella percezione del tempo che passa.
Altro privilegio dato dalla nostra esperienza come band è quello di avere ospitato in alcuni dischi musicisti che hanno caratterizzato i nostri ascolti musicali, fin da ragazzini; su tutti direi Lori Goldston (violoncello di Earth, Nirvana, e una miriade di altre band) ne L’ultimo sguardo del 2016, Richard Colburn (batterista di Belle and Sebastian e Snow Patrol) in Spigoli del 2012, Amerigo Verardi dei Lula (anche lui nell’album del 2016), tanto per citarne alcuni.
Per riconoscersi è l’ultimo tassello di questo percorso che speriamo essere ancora denso di occasioni per metterci alla prova.”
Da cosa deriva il nome En Roco?
“Il nome En Roco nasce da un’intuizione nonsense del papà di Enrico che era solito svegliarlo al mattino chiamandolo così.”
Quali sono i vostri riferimenti musicali (e non)?
“Tantissime cose diverse. Dal cantautorato brit (Nick Drake, Donovan) a quello usa (Elliott Smith), ai Beatles, alla musica leggera italiana fra ’60 e ’70, all’indie dei’90 (Pavement, Deus, Folk Implosion etc), al jazz, afro funk anni ’70, Pixies, Gvsb e chi più ne ha più ne metta.”
Che cosa significa fare il musicista oggi?
“Dipende molto da cosa intendi per “fare il musicista”. “Suonare in una band” e “fare il musicista” sono due cose diverse. Viviamo tutti di altro e abbiamo la fortuna di poter frequentare la musica esclusivamente per alcuni suoi aspetti a noi congeniali. É per noi sia valvola di sfogo che occasione per incanalare le emozioni. Manca, nella nostra esperienza attuale di musicisti, la responsabilità di dover far quadrare il pranzo con la cena grazie alla musica.
Nel nostro modo di viverla c’è forse molta più libertà di quanta non sarebbe, se fosse il nostro mestiere. Questo è un vantaggio per certi aspetti e uno svantaggio per altri.
Oggi come ieri uno dei punti cardine sta nel confronto con gli altri; negli anni sono molto cambiati gli strumenti del confronto; se l’approccio fisico alle persone continua ad essere lo stesso di sempre (ci sentiamo a nostro agio nell’incontrare e conoscere), per alcuni di noi è più faticoso trovarsi a interagire con i linguaggi degli strumenti della comunicazione contemporanea.
Ci sta tutto. Ad esempio, buona parte del lavoro social, così fondamentale oggi, lo svolge Francesca, che essendo parecchio più giovane di alcuni di noi è decisamente più sul pezzo.”
Qual è l’aspetto che più vi emoziona del far musica?
“La condivisione di un percorso, costruire qualcosa insieme in cui riconoscersi.”
Venerdì 6 marzo è uscito il vostro sesto album “Per Riconoscersi”: quanto ci avete lavorato e qual è il fil rouge che lega i brani?
“Ci abbiamo lavorato per circa un paio d’anni, alternando fasi compositive a sessioni di registrazione live presso il Greenfog Studio. Il motivo unificante dell’album è legato al senso di frustrazione generato dal paradosso di un’esistenza sempre più slegata dal contesto, la solitudine che cozza con la volontà di cambiare le cose, tutto il senso d’impotenza che deriva dal non trovare condivisione reale dei propri intenti, non vedere una comunità che possa parlare anche per noi.”
In che senso “riconoscersi”?
“Riconoscere chi siamo, da dove veniamo, quali siano i valori davvero importanti per i quali valga la pena spendersi. Per riconoscersi è necessario uscire da omologazione di pensiero e di espressione, non rimanere nascosti, ma orgogliosamente mostrarci prendendo posizione. La speranza è riconoscersi anche nelle persone che ci stanno attorno o che si trovano distanti geograficamente da noi.”
Qual è il brano a cui siete più legati del vostro ultimo disco?
“Indolenza è forse quello che meglio racchiude il significato dell’album e che mostra quanto il testo a livello ritmico comandi nettamente sulla musica.”
I titoli dei brani riportano spesso elementi della natura: Monte, Sassi, Il sole è una pietra… E anche la copertina del disco riporta un’immagine bucolica. Qual è il vostro rapporto con la natura? E che ruolo gioca nel disco? E la vostra città, Genova, quanto vi influenza?
“La natura è sicuramente rifugio necessario, dove il senso di solitudine evapora. Ci si sente pertinenti al contesto, parte di qualcosa, cosa che nella vita quotidiana si fa fatica a vedere. Genova è città contraddittoria, insostituibile, paradossale e piena di natura a due passi dal cemento. Mare e monti. Salite. Sicuramente il contesto ci aiuta e ci impone di ragionare sulle nostre vite.”
Quanto è importante – in un momento artistico-musicale come questo – ritornare ad una dimensione live della musica?
“Sarebbe fondamentale, ma si ha la sensazione che ciò sia destinato al declino. Speriamo di poter contribuire a rallentare questo fenomeno.”
Quali sono i vostri progetti futuri?
“Promuovere quanto più possibile questo lavoro e avvicinarci magari un pochino di più a contesti che ci hanno sempre affascinato ma che non abbiamo come band ancora frequentato; sarebbe ad esempio molto stimolante lavorare alla colonna sonora di un film o di uno spettacolo teatrale.”
Studente di Ingegneria delle Telecomunicazioni presso l'università La Sapienza di Roma, da sempre animato dalla passione per la musica. Nel 2012 entra nel mondo dell'informazione musicale dove lavora alla nascita e all'affermazione del portale Warning Rock. Dal 2016 entra a far parte di TuttoRock del quale ne è attualmente il Direttore Editoriale, con all'attivo innumerevoli articoli tra recensioni, live-report, interviste e varie rubriche. Nel 2018, insieme al socio e amico Cristian Orlandi, crea Undone Project, rassegna di musica sperimentale che rappresenta in pieno la sua concezione artistica. Una musica libera, senza barriere né etichette, infiammata dall'amore di chi la crea e dalle emozioni di chi la ascolta.