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EMANUELE PATTI – Intervista al cantautore milanese

EMANUELE PATTI – Intervista al cantautore milanese

emanuele patti by teresa limongelli

In occasione dell’uscita dell’album di debutto “Quartiere Pop”, ho avuto il piacere di fare una bella chiacchierata con Emanuele Patti, cantautore nato a Milano il 9 novembre del 1984. La periferia di Milano ed in particolare i quartieri Baggio, Quartiere Olmi e San Siro in cui è cresciuto, hanno fin dall’inizio influenzato il suo modo di scrivere. Nelle sue canzoni, quasi sempre scritte di getto, descrive la realtà che lo circonda con immagini esplicite e poetiche, quasi fossero fotografie, riuscendo a creare attenzione nei particolari. I grandi cantautori italiani del passato hanno contribuito a formare la sua identità musicale, mentre la musica rap e quella elettronica dei gruppi degli anni Novanta ne hanno definito in parte lo stile, che tuttavia rimane legato a sonorità pop-rock. Dopo aver collaborato per diversi anni in qualità di autore di testi, ha deciso di intraprendere un nuovo percorso da cantautore.

Ciao Emanuele, benvenuto su Tuttorock!

Ciao Marco, grazie per il tempo e lo spazio che mi dedichi.

Parlami un po’ di questo disco, “Quartiere Pop”, che ho apprezzato molto.

Mi fa piacere! Pensa che è un disco di due anni fa, lo tenevo lì da un po’, le altre canzoni che trovi su Spotify sono più recenti, anche se lo ho pubblicate prima di questo album. È un disco molto intimo, diretto, non ammicca ad un discorso di ciò che piace e va in questo momento, ha questo approccio un pochino grezzo e, secondo me, è questo il momento giusto per pubblicarlo.

Come sono nate le canzoni, sei partito prima dai testi o dalle melodie?

Scrivo sempre prima i testi, li scrivo già con la melodia, me li canticchio nella mia testa poi, in studio, cerco di mantenere quella linea, ovviamente modificando il brano con i cambiamenti del caso. Le canzoni sono nate intorno a due anni fa, alcuni testi sono anche più vecchi, ho fatto l’autore per altri e ho fatto parte di alcune band, diciamo che certe canzoni sono il meglio di quello che ho scritto e che mi portavo dietro, poi ovviamente le ho sistemate un po’. Altri brani sono venuti di getto quando ho iniziato a lavorare al disco, tutto è nato con la canzone “Quartiere Pop”, ero arrivato a un momento in cui avevo deciso di fermarmi, volevo fare un po’ il punto, poi sono andato in studio e registrarle e, lavorandoci, mi sono ributtato completamente nel mondo della musica e alla fine ho ricavato nuove energie. L’idea iniziale era di fare solo una raccolta di canzoni mentre la voglia di farne un vero e proprio disco è aumentata di giorno in giorno mentre lavoravo ai brani.

Ascoltando i brani mi sono fatto un’idea, posso dire che questo tuo album sia come una trasposizione musicale del capolavoro cinematografico di Alfred Hitchcock “La finestra sul cortile”? Vedo te come James Stewart che osserva quello che succede non solo nel suo cortile ma nel suo quartiere.

Mi ci fai pensare tu per la prima volta, è bellissima questa associazione. Il punto di vista è questo, ero un ragazzo non maturo come adesso, un ragazzo che osservava il suo quartiere, poi le mie canzoni non sono mai autobiografiche al 100 %, mischiano un po’ di quello che vedo e di quello che capto dalle storie che mi vengono raccontate. Ero io ancora prima di intraprendere il discorso musicale che mi ha portato a fare il disco, un percorso che mi ha portato ad essere più sicuro di me, ad avere intorno dei professionisti che mi riconoscono come un bravo scrittore e cantautore, e loro sono quelli che mi danno la carica. Allora ero un osservatore che aspettava di ingranare, che aveva perso la speranza ed era circondato da una situazione di pessimismo generale e che non voleva più far parte del mondo della musica. Mi dicevo: “Cosa lo faccio a fare, mi potrei sposare, non dovrei buttare più soldi nella musica”. Una decina di anni fa ammortizzavi i costi vendendo cd alle serate, adesso se non fai migliaia di visualizzazioni su Spotify non ti arriva niente, poi ora la situazione live è ferma e proprio per questo ho pensato che questo potesse il momento giusto per fare uscire questo disco, pensa ad esempio al brano “L’eremita”, con il lockdown è diventato molto attuale per tutti.

Raccontami invece del processo di registrazione.

Ho la grande fortuna di aver conosciuto Sveno, un produttore che lavora al Mobsound Studio di Milano, uno studio dove sono nati dischi che hanno fatto la storia. L’ho conosciuto per caso, sono andato lì allo studio, poi di conseguenza ho conosciuto il bassista, il batterista, altri musicisti che hanno lavorato al disco e ci hanno messo del loro, mi hanno incoraggiato e ho avuto una fortuna incredibile. Le pre-produzioni le abbiamo fatto con Sveno, ci abbiamo messo qualche mese, andavamo in studio di notte perché di giorno lavoro, ero molto sfiduciato, volevo fare questo album con le ultime risorse che avevo, poi da lì è nato tutto grazie i ragazzi mi hanno aiutato moltissimo, sono contento del lavoro finale. Il mix me l’ha fatto Mario Conte, un personaggio molto conosciuto nel mondo della musica. Per me che scrivevo per altri e, a parte qualche concertino, stavo sempre nella mia stanzetta, avere tutti questi professionisti intorno che mi davano consigli e mi raccontavano aneddoti mi hanno fatto rinascere, il Mobsound è stata una parte fondamentale della cosa.

Quando ti è scattata la scintilla di fare il cantautore?

Ho sempre voluto farlo ma, essendo abituato a scrivere per gente che lo faceva da anni, sono molto autocritico, fino a due o tre anni fa non ero pronto, potevo fare dei tentativi ma ho voluto aspettare di sentirmi con in mano canzoni valide e un prodotto interessante. Oggi possiamo pubblicare tutti quello che vogliamo ma volevo fare una cosa che possa rimanere valida negli anni. Devi credere veramente in quello che fai o non ha senso, poi, ho dovuto imparare a stare davanti a un microfono, a esprimere quello che volevo dire, dopo i 30 anni mi è scattata questa maturità, prima ero un po’ grezzo.

Riascoltandoti, qual è il brano del disco che pensi sia il più riuscito? Ti dico i miei preferiti, “L’eremita” e “Non ci sono problemi”.

Anche a me piace tantissimo “Non ci sono problemi”, non lo dico mai perché è una canzone che viene lasciata un pochino da parte, l’ho scritta in 5 minuti, è ironica, mi ci riconosco ed è veramente autobiografica.

Chi è questo “Gesù con gli occhiali da sole” di cui scrivi e di cui si parla anche nel brano finale del disco?

Sì, nel brano finale faccio una ripresa, cosa che amavo nei dischi di Battisti. Il brano è nato per caso, ero in metropolitana e un tizio mi disse: “Lo sai che sembri Gesù con gli occhiali da sole?”. Io rimasi stupito, come fai a dire che somiglio ad un personaggio che nessuno ha mai visto, poi con gli occhiali da sole. Poi avevo 33 anni e la situazione era perfetta per una canzone.

Nei tuoi brani si sentono molte influenze, quali sono gli artisti che più hanno influenzato il tuo modo di scrivere?

Ho consumato gli ultimi dischi di Battisti, quelli più particolari con Panella, poi Battiato, i C.S.I., i Bluvertigo, i Subsonica, Vasco Rossi, però il primo che mi viene in mente è proprio Lucio Battisti. Sono un amante della musica italiana, riguardo a quella internazionale posso dirti che ammiro David Bowie e Red Hot Chili Peppers, però, se devo mettere su un disco metto su “Anima latina” di Battisti.

E oggi c’è qualcuno che ammiri?

Oggi, a dispetto di qualche anno fa, me ne piacciono tanti di artisti, e sono quelli meno conosciuti. Oggi, in generale, i dischi sono più suonati, ci sono meno cose finte, sento cose fatte bene, non sento la canzone che lascia il segno in radio, sento poca attenzione verso i testi, mentre negli artisti sconosciuti sento cose più interessanti, vendono meno ma sono più profondi. Comunque è un bene che un genere come la trap venga proposta in radio, certi generi devono comunque uscire dall’anonimato in modo che i ragazzi possano appassionarsi a nuove correnti musicali.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Ho mandato la mia iscrizione a Musicultura, un concorso molto grosso, spero mi prendano. Poi usciranno un paio di featuring, uno con un ragazzo che fa un genere molto estremo, in stile C.S.I. moderno, che lavora col mio produttore, l’altro con una ragazza che ho contattato tramite Instagram, sto comunque facendo canzoni con un altro mood, non più quello di “Quartiere Pop” ma sono sempre io. Con questo disco ho esorcizzato il mostro e posso scrivere di tutto.

Grazie mille Emanuele, vuoi salutare i lettori dell’intervista?

Grazie a te Marco! Saluto tutti e vi ringrazio sperando che il mio disco possa piacervi, ciao!

MARCO PRITONI