EDDA – Scrivo canzoni ma non chiamatemi cantautore
Ho avuto il grande piacere di fare una chiacchierata con un grande artista, Stefano Rampoldi, in arte EDDA.
EDDA nasce artisticamente a fine anni ’80 come cantante dei Ritmo Tribale, storica band seminale nel mondo del rock italiano, con cui ha realizzato cinque dischi e centinaia di concerti.
Poi una lunga pausa dalla musica e dalla vita sociale. Una crisi personale, anni difficili, droga, comunità di recupero. Tutto sviscerato nelle canzoni che comporranno il suo primo album solista.
Nel 2009 esce infatti Semper Biot che viene candidato al Premio Tenco come “Miglior esordio dell’anno”.
Nel 2010 esce l’ep live “In Orbita”, registrato a Radio Capodistria. Il mini-album fotografa la poesia di un suo concerto. Oltre ai brani tratti da Semper Biot, degna di citazione è la cover di un altro eroe della scena indie, Moltheni, intitolata “Suprema”.
Nel 2012 esce “Odio i vivi”, un album più denso e ricco negli arrangiamenti, con ‘sperimentazione orchestrale’ a produzione Taketo Gohara. Il disco ottiene ancora una volta grandi consensi di critica, per molte delle testate è disco del mese. Il mensile Blow Up gli dedica la copertina, il PIMI gli conferisce il premio come miglior artista 2012 ed Edda è nuovamente candidato al Premio Tenco, nella sezione “Miglior disco dell’anno”.
Nel 2014 esce “Stavolta come mi ammazzerai?”, l’album più rock della sua carriera solista. Prodotto da Fabio Capalbo, consacra Edda tra i più significativi cantautori italiani. La critica è unanime nel considerarlo uno dei dischi rock più riusciti del decennio, ma soprattutto è il pubblico a seguirlo numeroso in un tour che mette in fila più di 70 date.
Nel 2017 EDDA torna con “Graziosa Utopia”, un disco maturo, forte e disperato, denso di suggestioni, spiritualità, provocazioni e amore incondizionato. L’album è considerato a tutti gli effetti il suo progetto più riuscito, e gode di un grande riscontro anche nella dimensione live che ne segue la pubblicazione.
Nel 2019, fedele alla sua imprevedibilità, Edda pubblica un disco inconsueto, inaspettato e maturo, diverso dai precedenti. “Fru Fru” è il suo titolo ma è soprattutto l’aggettivo con cui l’artista lo descrive: “I Fru Fru sono i wafer, l’unico biscotto che mi sento di raccomandare in quanto privo di uova. Ma è anche un termine che indica la leggerezza con la quale mi piacerebbe affrontare la vita.” […] Luca Bossi è il produttore artistico e arrangiatore di tutte le canzoni.
Dopo la pubblicazione del disco regalo “Noio; volevam suonar” (2020, Contempo), uscito a nome Edda & Marok, e scritto, registrato e realizzato a distanza e in pieno lockdown insieme a Gianni Maroccolo, i due proseguono la loro collaborazione anche in occasione del nuovo album di Edda, “Illusion” (ɪˈluːʒ(ə)n), in uscita il 23 settembre 2022 su label Al-Kemi Records/Ala Bianca e distribuzione Warner/Fuga. Il disco contiene 11 canzoni ed è prodotto dallo stesso Gianni Maroccolo.
Ciao Stefano, benvenuto su Tuttorock, inizio con il chiederti perché questo titolo, “Illusion”, del tuo nuovo disco che mi è piaciuto moltissimo.
Ciao Marco! Allora, o tu sei scemo o lo siamo in due (ride – ndr), ti è piaciuto davvero? Grazie! Devo dire che stavolta non mi fa cagare!
Riguardo al titolo, Illusion, in inglese, tradotto in sanscrito, che è la mia seconda lingua, diventa Maya. Guarda caso la figlia della mia ragazza si chiama proprio Maya. Alcune persone hanno scritto che ci stiamo facendo questo sogno ad occhi aperti che si chiama vita, realtà (L’artista milanese da anni ha aderito al movimento Hare Krishna – ndr). Io mi addormento la sera e sogno di essere Ronaldo e faccio vincere l’Inter, e questo sogno che faccio di notte è vero, spesso e volentieri non sono Stefano, poi mi risveglio e ritorno ad esserlo. Dicono, poi magari erano ubriachi, che questo sia un sogno che si fa ad occhi aperti ed è un’illusione. Questo è il significato, pensa che ragazzo profondo sono!
Ho letto poco fa un post di Gianni Maroccolo, produttore dell’album, in cui era riportato che, in 48 ore, hai scritto il singolo “Lia” e gliel’hai mandato, mi racconti com’è andata?
Eravamo in piena pandemia, durante il lockdown. Eravamo chiusi in casa, tutti in pieno panico, anche se la mia vita mi sembrava uguale perché, comunque, io sto sempre chiuso in casa. Una cosa però è se voglio io chiudermi in casa, un’altra lo è se mi costringono a farlo. Morì la mamma di Gianni, tutta l’Italia era in uno stato emotivo molto particolare, io non scrivo mai a comando ma venne fuori questa canzone, che reputo una delle più belle che abbia mai scritto nella mia vita. La pandemia, quindi, a me non ha portato del tutto sfiga anche se sarebbe stato meglio che non fosse arrivata.
Una volta ascoltato il prodotto finale, è quindi “Lia” il brano che ti ha fatto dire: “questo mi è venuto proprio bene”? Io, dopo vari ascolti, cito “Mio Capitano”, “La croce viva”, “Gurudeva” e la stessa “Lia”.
Hai citato“Gurudeva” e “La croce viva”, che sarebbero le papabili in caso di un secondo singolo. Avevo fatto veramente schifo nella registrazione di “La croce viva”, mi telefonò Gianni dicendomi che aveva bisogno di un altro paio di canzoni e, non fosse stato lui, avrei detto: “Vai a cagare te e le tue canzoni”. Lui è una persona dolcissima ma è anche un tipo molto concreto, io, come ti ho detto prima, a comando non riesco a scrivere, questa volta ci ho provato e sono venute fuori due canzoni e una di esse è proprio “La croce viva”. La registrai e lui mi disse: “non toccare niente, tieni le tracce così come sono”, quando andai in studio lui mi disse: “devi rifarmi le stesse cose che avevi fatto nei provini”, io, invece, avevo pasticciato tutto e lui in quel momento mi avrebbe voluto mettere le mani addosso. Devo tutto veramente alla capacità di vedere le cose di Gianni, io ho fatto soltanto le melodie.
Beh, dici poco?
Eh, una canzone la puoi uccidere, le canzoni sono come dei malati terminali, nascono che stanno già morendo, o le salvi o dai loro il colpo di grazia. Io ho scritto una canzone, “Brunello”, mi ricordo il primo arrangiamento e mi parve uno schifo. Da solo, quando me la cantavo, mi sembrava carina, poi con gli arrangiamenti finali divenne davvero molto bella.
Ringrazio davvero tantissimo Gianni di avermi scelto come artista, mi ha chiamato lui, a noi il disco piace, metto anche te a questo punto, a noi tre piace (ride -ndr).
A proposito di Lia, è stata tua l’idea di utilizzare un formato vintage come il Super 8?
Qui entra in gioco un altro psicopatico che forse conosci, Moltheni. Il regista di “Lia” è quello che ha girato anche alcuni suoi video. Nicola Santoro è il suo nome, lo conobbi ad un concerto di Moltheni e gli dissi che l’avrei chiamato in caso di un mio video. Stimo moltissimo Umberto (Moltheni – ndr), è uno dei cantanti più bravi in Italia secondo me, quello che dice lui lo dico anch’io, lui fa un post e io gli do sempre ragione, faccio fare praticamente tutto a lui, gli dico: “fai tu e io ti seguo”. Tra l’altro dovremmo condividere il palco nei miei primi tre concerti.
Quindi ci sarà lui anche al concerto al Locomotiv Club di Bologna del prossimo 20 ottobre?
Se non ci dovesse essere anche lui a Bologna, meglio che io non parli, ma finirebbe lì il mio tour.
Tu sei mancato tantissimo al mondo della musica del nostro paese, è mancato altrettanto a te quel mondo durante i 12 anni della tua assenza?
Mah, che io sia mancato al mondo della musica non penso, però la musica è mancata molto a me, in quel periodo ho fatto le peggiori cose che potessi fare. Come direbbero sempre quelle persone un po’ strane che frequento io è il mio “Dharma”. Uno dice, Beethoven o Steven Tyler, se non ci fossero, mancherebbero ma, Stefano Rampoldi, potrebbe anche non essere nato. Però, per me è importante, ahimè e soprattutto ahivoi devo fare il musicista e quindi mi è mancato molto quel mondo.
L’esperienza in India cosa ti ha fatto capire?
In India ho capito che ero più alto di tutti gli altri (ride – ndr).
Perché non ami essere definito un cantautore?
Perché io in realtà sono un cantante, mi piace la melodia e non penso tanto ai testi. Qualsiasi testo di un rapper, cito ad esempio Bello Figo, quando scrive un pezzo ha in testa un messaggio. Quando Bello Figo scrive “Spaghetti allo scoglio” ha in testa un messaggio, io, invece, quando scrivo un testo, non penso alle parole ma al loro suono, in quel momento non parto con un messaggio, ci metto però parole che hanno un significato. Ti do una grave incombenza, ascolta bene la seconda traccia del disco, “Alibaba”, parla della strage di Novi Ligure, quella in cui Erika e Omar ammazzano la famiglia. Non stavo pensando propriamente a loro ma, dopo che l’ho scritta, ho capito che avrebbe potuto riguardare la storia di una persona che fa fuori la propria famiglia.
Se venisse da te un ragazzo a chiederti: “ne vale la pena intraprendere una carriera musicale?” cosa gli risponderesti?
Sicuramente se una persona sente una cosa vuol dire che ce l’ha dentro e la deve coltivare. Io, da bambino, cantavo e mi piaceva la musica, se quella cosa ce l’hai dentro non devi porti il problema se di essa potrai farne una professione, magari non ci riuscirai, non ci sono riuscito neanch’io in fondo, però devi essere quello che sei. La musica è una grande ricchezza e lo dimostrano tutti questi ragazzi che si sono messi a fare rap, siccome per suonare uno strumento ci vogliono anche i soldi, loro hanno usato la voce e vengono fuori dei testi eccelsi. Quando i testi sono veri, non parlo di quelli in cui alcuni dicono: “ti ammazzo”, eccetera, se non hai mai ammazzato qualcuno lascia perdere… Dicevo, quando i testi sono veri, questi ragazzi del rap riescono a scrivere testi pazzeschi con metriche pazzesche. Un tempo i ragazzi imparavano poesie a memoria, adesso sanno a memoria le canzoni, parlo anche del pubblico. Ad esempio io non riesco a rappare, mi viene da vomitare, è difficilissimo. Sono diventati tutti dei Demetrio Stratos delle parole e mettono nei testi delle grandi cose, loro sono davvero dei cantautori, io sono più un fonico del testo.
Ti vedo molto informato sulla situazione attuale della musica, c’è qualche artista o band di oggi che ti ha particolarmente colpito?
Quasi tutte le novità le trovo su TikTok, mi sono fatto scaricare l’app perché per me era troppo complicato. Ho sentito l’ultima canzone di Andrea Laszlo De Simone ed è bellissima, mi piace molto anche Giorgio Poi, mi piacciono tutte queste voci eteree, femminili, che ricordano un po’ la mia. Fondamentalmente mi piace il fatto che si continui a far musica, una cosa che si fa da sempre e ben venga chiunque la crei. Anche i vari Fedez e Madame rappano ma ad un certo punto parte la melodia, ben vengano queste innovazioni.
Presentaci un po’ che tipo di spettacoli saranno quelli che vedremo il 19 ottobre al Monk di Roma, il 20 ottobre al Locomotiv di Bologna e il 19 novembre all’Arci Bellezza di Milano.
Volevo San Siro a Milano ma non me l’hanno dato, anzi, se avessi pagato l’affitto me l’avrebbero dato in realtà (ride – ndr). Per fortuna tornano i Pappagallones, il gruppo con cui ho sempre suonato. Loro mi portano davvero a casa un bel concerto, spero che si aggiungano altre date, dovessero rimanere solo quelle tre mi ammazzerei, a breve dovrebbero uscire quelle invernali.
Grazie mille per il tuo tempo, vuoi aggiungere qualcosa per chiudere l’intervista?
Grazie a te Marco! Ascoltate il mio disco così mi direte se vi è piaciuto o no.
MARCO PRITONI
Sono nato ad Imola nel 1979, la musica ha iniziato a far parte della mia vita da subito, grazie ai miei genitori che ascoltavano veramente di tutto. Appassionato anche di sport (da spettatore, non da praticante), suono il piano, il basso e la chitarra, scrivo report e recensioni e faccio interviste ad artisti italiani ed internazionali per Tuttorock per cui ho iniziato a collaborare grazie ad un incontro fortuito con Maurizio Donini durante un concerto.