didio – Intervista al chitarrista e cantautore
Ho avuto il piacere di fare due chiacchiere con Osvaldo Di Dio, musicista napoletano di nascita e milanese di adozione classe 1980, a proposito del suo nuovo progetto chiamato “didio” (scoprirete nell’intervista il perchè). Osvaldo è un chitarrista che ha collaborato col grande Franco Battiato, con Eros Ramazzotti e con Cristiano De André, oltre che con con Francesco Cameli (Ed Sheeran, Adele, Queen, Duran Duran), Craig Bauer (Ed Sheeran, Justin Timberlake, Kanye West) e Chris Kimsey (The Rolling Stones, Led Zeppelin, Peter Frampton, B.B.King, Marillion, ELP). Ora si cimenta in un nuovo ruolo, il cantautorato, e, a sentire dai primi due singoli “Mi gira la testa” e “Naufraghi”, che precedono la regostrazione di un album, la cosa gli riesce davvero molto bene.
Ciao Osvaldo, benvenuto su Tuttorock, come va in generale?
Ciao Marco, per me è un piacere! Sono chiuso in casa a Milano per questa emergenza “Coronavirus”, speriamo che si risolva tutto al meglio e al più presto. Comunque approfitto di questo tempo per scrivere, produrre, insomma, sto facendo tutto quello che avrei fatto anche in una situazione più normale.
Prima di tutto, una curiosità, hai chiamato questo tuo nuovo progetto “didio”, ovvero il tuo cognome scritto per esteso e in minuscolo, come mai?
Avevo pubblicato altri dischi a nome Osvaldo Di Dio, erano strumentali, più legati alla chitarra, oppure avevano all’interno canzoni in inglese. Ho voluto creare un nuovo percorso facendo musica italiana che, in prima persona, non avevo mai fatto. “didio” è il nomignolo con cui mi ha sempre chiamato Franco Battiato. Addirittura, prima di andare in tour con lui, sembra che abbia detto “si chiama Di Dio, non possiamo non prenderlo”. È un omaggio alla mia amicizia con Franco e lo ringrazio per tutti i consigli che mi ha dato.
Parlami un pò di questo nuovo singolo, “Naufraghi”, che considero molto bello. Com’è nato, come sta andando?
“Naufraghi” è legato al precedente singolo “Mi gira la testa” uscito ad ottobre e al prossimo “Inevitabile” che uscirà il 12 marzo. Tutte queste canzoni hanno come elemento comune i rapporti umani. “Mi gira la testa” parla dell’iperconnessione all’interno della quale siamo immersi, dove tutti cercano di dettare i loro tempi agli altri. C’è una parte del testo dove il protagonista si addormenta e, al risveglio, trova mille messaggi dove gli viene chiesto il perchè lui non abbia risposto. “Naufraghi” parla delle convivenze, di quando si chiude la porta di casa e ci si trova come naufraghi. Volevo sottolineare un aspetto della violenza sulle donne, specificatamente la violenza psicologica, molto subdola e difficile da riconoscere. Nel prossimo singolo “Inevitabile” racconto la mia generazione, quella di mezzo, quella tra i trenta e i quarant’anni, di come siamo stati influenzati tantissimo dalle culture passate e ci siamo ritrovati oggi in un’epoca totalmente differente. C’è un verso in cui dico “Ti svegli e hai 40 anni, non ti sembra vero, chissà se era giusto ascoltare i cantautori che non ci sono più o era meglio fare un figlio”. Scrivo sempre la canzone che vorrei ascoltare e, per fortuna, sto scoprendo che anche altre persone si ritrovano nei miei brani.
Tre singoli, a quando l’album?
Uscirà un altro singolo in estate e l’album vedrà la luce in autunno.
In entrambi i brani c’è molta elettronica che rimanda agli anni 80, vuoi omaggiare quegli anni?
Anche qui c’è lo zampino di Battiato. Mi sono trovato ad essere un teenager negli anni 90, il sound era drasticamente cambiato, gli anni 80 erano considerati come il vecchio da evitare. Poi, lavorando con Franco, ho scoperto quel decennio e sono riuscito a carpire quel tipo di architettura musicale e a mettermi un vestito che non mi sono più tolto di dosso.
A proposito di elettronica, apprezzo molto l’uso che ne fate tu ed altri artisti. Non apprezzo invece l’abuso di esso, ad esempio come viene fatto con l’autotune, tu cosa ne pensi?
Io penso che il tutto debba essere un mezzo per fare musica. Prendi l’esempio della chitarra, da subito l’ho considerato un mezzo per valorizzare un brano, non per fare milioni di note inutili. Anche l’autotune, se viene usato come effetto, per me va bene, se diventa invece indispensabile per coprire le stonature di chi non sa cantare allora non ci siamo.
Tornando ad un mostro sacro della musica come Battiato, che appare sempre nelle tue risposte, c’è qualche altro aneddoto che mi vuoi raccontare?
Sicuramente una cosa fondamentale che ho imparato di lui è che ci sarà sempre spazio per chi è capace di scrivere belle canzoni. Spesso non si ha il coraggio di partire, per arrivare al successo si pensa che ci sia bisogno chissà di quali meccanismi. Lui mi ha insegnato che, se fai belle canzoni, da qualche parte arrivi, vedi Diodato che ha vinto il Festival di Sanremo quest’anno. Battiato faceva sperimentazione negli anni 70, si sedeva al piano e scriveva “Prospettiva Nevski”, ci ha messo anni a capire che era facile per lui ma non per tutti. Secondo me è fondamentale che, chiunque abbia questa dote, si siede al piano o si mette a suonare una chitarra e scrive una bella canzone, ha il dovere di metterci la faccia e di farla uscire nel mondo.
Non possiamo dimenticare la tua collaborazione con Eros Ramazzotti e il sodalizio con Cristiano De André, che sta continuando, vero?
Sì sì, da più di dieci anni lavoriamo insieme soprattutto per riarrangiare i brani di suo padre Fabrizio. La musica di Fabrizio mi ha influenzato, ho suonato in mille concerti i suoi brani, mi è entrato dentro quel modo di lavorare sulle metafore e sulle rime. Inoltre sono legato a lui perchè Paolo Iafelice, che produce i brani insieme a me, ha mixato Anime Salve, che considero uno dei più grandi capolavori del ‘900, poi ha curato il remix del concerto di Fabrizio con la PFM. Diciamo che il mondo De André è sempre stato molto presente nella mia vita.
Hai diviso la tua vita tra Napoli, dove sei nato, e Milano, dove ti sei trasferito a 20 anni, vuoi bene ad entrambe le città?
Sì, entrambe mi hanno dato tanto. Napoli è stata fondamentale nel mio approccio alla musica, è una città che esplode di musica. A Napoli c’è la base militare americana e c’è stato questo connubio tra musica popolare napoletana e blues, jazz, rock, soul, c’è stata quindi un’esplosione di creatività e, essere un adolescente in quel contesto musicale, è stata per me una fortuna. Però, ad un certo punto, nel 1999, ho deciso di andare nella città dove il music business è più radicato per fare il cantautore, non il chitarrista. Sono arrivato con una manciata di canzoni, era un periodo storico diverso e mi sono trovato a fare il chitarrista per vent’anni. Ora ricomincio da quell’anno.
Rifaresti la scelta di trasferirti a Milano?
Certo. Io adoro Milano, negli ultimi anni è diventata ancora più bella di com’era quando sono arrivato.
Raccontami un po’ delle emozioni che hai provato suonando al concerto “Pino è”, omaggio al grande Pino Daniele, allo stadio San Paolo di Napoli davanti a 60000 persone.
Quella è stata una cosa stupenda. È stato l’ultimo treno disponibile da prendere per entrare in qualche modo nella storia di Pino, mi sono trovato su quel palco con tutti i suoi collaboratori storici, nella nostra città, nello stadio di Maradona. C’è un aneddoto legato alla mia storia cantautorale. Ho conosciuto Rosario Jermano che è stato colui che ha spronato Pino a fare il cantautore quando era un chitarrista, un turnista che è stato in tour con Bobby Solo nel Nord dell’Europa ad Amburgo. Rosario gli disse di provarci come cantautore e lo chiamò a fare i primi provini a casa sua e la stessa cosa l’ha poi fatta con me. Mi ha detto: “dai, perchè non ricominci a scrivere”, da lì è partito tutto, mi ha incoraggiato molto ed è stato uno dei motivi principali per cui ho ricominciato.
Tu sei uno che ha fatto molta gavetta e ti sei laureato al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano con una tesi su Jimi Hendrix. In questo momento in cui la maggior parte dei ragazzi punta ai talent dove c’è subito il successo, c’è ancora qualcuno che può farcela studiando musica per anni?
Se hai quel tipo di mentalità puoi sempre farcela. La macchina talent ha prodotto poco, sono pochi coloro che sono riusciti a crearsi una carriera solida, molti sono scomparsi. Ho lavorato con qualcuno di loro ed è brutto che vengano prima messi sotto i riflettori come delle star e si ritrovino poi abbandonati a se stessi e nessuno gli risponde nemmeno più al telefono, questa cosa crea molti danni anche psicologici a questi ragazzi. Si usa la parola gavetta per delineare un percorso ma secondo me è l’unica strada per fare il cantautore, devi avere delle storie da raccontare e, se non hai avuto certe esperienze, se non hai sudato tanto, cosa puoi raccontare? Fortunatamente oggi c’è un ricambio generazionale, per anni ci siamo guardati indietro dicendoci che un periodo d’oro non sarebbe mai più tornato, adesso ci sono persone che hanno qualcosa da dire con un linguaggio attuale e sono un punto di riferimento per quelli che ascoltavano ad esempio Paolo Conte, Francesco de Gregori e altri.
Quando hai preso in mano una chitarra per la prima volta?
Avevo circa 15 anni, suonavo qualsiasi cosa producesse un suono, pianoforte, strumenti a fiato. Ho preso in mano una chitarra classica per cercare di suonare i brani di Pino Daniele ma, per la loro complessità, ho dovuto studiare perchè non sono i classici brani con il giro di do. Pino era un grande studioso, passava tutto il giorno a sulla chitarra.
Hai suonato tutto tu nei singoli?
Sì, ho suonato tutto io, compresa la programmazione dell’elettronica, prendendo spunto anche in questo caso da Franco Battiato che fa le cose nello stesso modo. Pochi sanno che la maggior parte delle chitarre presenti nel disco Gommalacca, che lui considera forse il suo disco più forte, le ha suonate lui. Se tu riesci a suonare tutto, non per velleità ma come fanno Stevie Wonder o Lenny Kravitz, togli tutti i filtri e il risultato è quello che vuoi tu. Ovviamente devi avere i mezzi tecnici e le capacità per farlo altrimenti si rischia di ottenere il risultato contrario a quello voluto.
E in sede live come presenterai i brani?
Al momento sto pensando a due formazioni, una allargata con band completa e una in concerto da solo, molto intimo, con tutti gli strumenti possibili, a seconda del contesto in cui andrò ad esibirmi.
Cosa vorresti che ti portasse il disco che pubblicherai?
Non ho fretta, conosco il mio obiettivo, ovvero di fare quello che ho sempre fatto al fianco di grandi artisti in autonomia, camminando sulle mie gambe. Ci vorrà del tempo, non ho l’ambizione di pensare che con un disco possa cambiare tutto, devi fare il meglio che puoi senza aver fretta. Cito una frase di Barack Obama che mi ha colpito: “Non mi esalto per le vittorie e non mi deprimo per le sconfitte”. Bisogna andare avanti a testa bassa senza esaltarsi, so cosa mi piacerebbe che accadesse ma so anche aspettare.
Hai già qualche data in programma?
Stiamo lavorando ad un tour promozionale che partirà dopo l’uscita del disco, a fine 2020 o all’inizio del 2021, al momento non abbiamo fissato ancora le date.
Per finire, grazie del tempo che mi hai dedicato, vuoi dire qualcosa a chi leggerà questa intervista?
Grazie a te Marco. Saluto i lettori di Tuttorock, penso che il rock sia un’attitudine, non solo una sonorità. Per me anche Battisti e Battiato sono musicisti rock. Il musicista rock è colui che scrive per se stesso. Durante un pranzo, il compositore e direttore d’orchestra Roberto Molinelli mi ha parlato di come anche Chopin e Paganini fossero musicisti rock.
MARCO PRITONI
Sono nato ad Imola nel 1979, la musica ha iniziato a far parte della mia vita da subito, grazie ai miei genitori che ascoltavano veramente di tutto. Appassionato anche di sport (da spettatore, non da praticante), suono il piano, il basso e la chitarra, scrivo report e recensioni e faccio interviste ad artisti italiani ed internazionali per Tuttorock per cui ho iniziato a collaborare grazie ad un incontro fortuito con Maurizio Donini durante un concerto.