DANGER ZONE – Intervista a Roberto Priori e Matteo Minghetti
In occasione del live al Trident Fest a San Martino Buonalbergo, ho intervistato la band DANGER ZONE.
Decani della scena hard rock bolognese e nazionale – i Danger Zone ritornano on stage dopo un po’ di tempo continuando a presentare i brani dell’ottimo Don’t count on heroes, ormai risalente dal 2019. Il loro ritorno è qui sul palco del The Factory, alle porte di Verona, assieme ai conterranei Crying Steel e Tarchon Fist, pronti a conquistare l’audience veneta con il loro hard rock melodico e potente. In mezzo a tutto il trambusto troviamo il tempo di fare quattro chiacchiere con il chitarrista e leader Roberto Priori ed il bassista Matteo Minghetti, desiderosi di comunicarci quanto grande è la voglia di ritornare a suonare dal vivo e di interagire col proprio pubblico…
Se non sbaglio questa è la prima data dopo il periodo pandemico, come la state vivendo? Con quali emozioni la state affrontando?
Roberto – Sicuramente con la gioia e la liberazione di potere ritornare sul palco!
Matteo – Eh sì, dopo tutto quello che è successo se ci avessero detto che saremmo tornati a suonare, quasi non ci avrei creduto… fino all’ultimo ero un po’ scettico ma grazie alla grande organizzazione è andato tutto alla perfezione. C’è stata un po’ di ansia prima di salire sul palco perché sai, sono passati due anni dall’ultima volta – e il nostro album era fresco di uscita, eravamo solo alla terza data per la sua promozione. Avendo perso tutto il 2020 – e quindi numerose date a supporto dello stesso, siamo stati sollevati di potere tornare a suonare dal vivo. Suonare in sala prove è totalmente diverso, poi con il Giga (Giacomo Gigantelli, cantante della band NdR) non ci siamo più visti in presenza da allora; quindi, ci siamo sentiti giustamente un po’ “spaesati” – almeno inizialmente.
Sono passati quasi due anni dall’uscita del vostro album Don’t count on heroes: al netto dello stop forzato, che risposte avete avuto?
Roberto – La risposta del pubblico durante il live è stata piuttosto buona, abbiamo avuto una partenza a freddo giusto per prendere le “misure” al palco e alla serata – poi ci siamo lasciati andare ed è stato bello, è andato tutto in crescita – o almeno così ci è sembrato. Ci è anche parso che il pubblico abbia gradito le scelte fatte in scaletta, trattandosi di un set di circa 45 minuti era inevitabile fare qualche compromesso e prediligere più brani tratti dall’ultimo disco. Sicuramente c’è stato anche un buon incremento di fan dopo la sua uscita, anche in paesi dove non avevamo una grande presa abbiamo visto con piacere un aumento di vendite, ottimi feedback e recensioni lusinghiere. E’ stato quindi un passo in avanti, purtroppo vanificato dal fatto che con quello che è successo si sia tutto fermato nel momento in cui avremmo dovuto fare un ulteriore passo promuovendolo in sede live… questa cosa ci ha davvero tagliato le gambe.
Matteo – A seguito di Closer to heaven (l’album precedente NdR) avevamo fatto un sacco di date e man mano che andavamo avanti a suonare i brani si consolidavano sempre di più, la band era compatta ed era sempre più bello sentire le vibrazioni del live.
Ci sono mancate molto, in soli tre live non siamo riusciti a dare ciò che volevamo e speriamo che questo sia un nuovo punto di partenza.
Roberto – Beh, poi i brani dell’ultimo album sono un po’ più complicati – direi più “densi” dei precedenti, quindi ci vuole del necessario rodaggio per proporli dal vivo in maniera ottimale… non abbiamo ancora avuto la fortuna di poterlo fare. Un esempio è il brano T’night che non pensavamo di volere proporre dal vivo perché in sala prove non “girava” bene, trovando il giusto compromesso ci siamo accorti che dal vivo funzionava e ad oggi è uno dei brani che ci riesce meglio. Andando avanti ad insistere siamo riusciti a trovare la chiave di lettura di questo brano – che sicuramente sarà fisso nei nostri prossimi live, mentre brani come Destiny o Somewhere out there devono invece ancora raggiungere il giusto “chilometraggio” per potere godere dell’importanza che meritano.
Praticamente il supporto a questo album ricomincia da qui, riparliamo quindi della band e in particolare di Don’t count on heroes come se fosse uscito ieri…
Roberto – Ahimé il disco è uscito ad ottobre 2019, subito prima del lockdown abbiamo tentato di promuoverlo il più possibile… E’ stato la naturale prosecuzione del precedente Closer To Heaven, ma con la differenza che in questo caso il ruolo del tastierista è stato più centrale, essendo entrato prima della stesura definitiva dei brani – cosa che precedentemente non era successa. Prima non avevamo un tastierista fisso, Pier Mazzini è ufficialmente entrato a far parte della band subito dopo l’uscita di Closer to heaven a cui aveva comunque collaborato, ma aggiungendo tastiere a brani già pronti. Ci siamo trovati talmente bene che la collaborazione è stata inevitabile, per cui l’album successivo è stato pensato considerando un elemento in più, non indifferente – tanto che un brano come Destiny sarebbe stato impossibile farlo poiché molto tastieristico, stessa cosa per quanto riguarda Eternity, una ballad per piano e voce non l’avremmo mai pensata senza Pier, che ha un po’ cambiato le carte in tavola. Insomma, abbiamo preso quello che avevamo fatto su Closer to heaven ed abbiamo allargato il punto di vista compositivo: la stessa Destiny, pur nel suo hard rock ha suoni e momenti che si riaffacciano quasi al pop o band più particolari come ad esempio i Marillion, cose che non avremmo mai avuto il coraggio di fare precedentemente. Non ci siamo sentiti costretti a comporre dei brani da riprodurre dal vivo, ci siamo invece sentiti liberi di fare cose diverse e di impostare l’album successivo senza urgenze, senza limiti e senza sovrastrutture.
Quindi si può dire che l’ingresso di Pier Mazzini alle tastiere in pianta stabile ha influito sul suono della band e sulla composizione dei brani?
Matteo – La sua presenza dal vivo è sicuramente un problema in più per il fonico (ride)! Pur non essendo abituati ad un tastierista la sua presenza è stata un vero arricchimento perché non è solo un bravissimo pianista/tastierista ma ci aiuta molto anche con i cori, essendo un ottimo cantante.
Roberto – Beh, molto è già stato detto prima riguardo all’apporto importante che Pier ha avuto nei riguardi della band – e non è un caso che a seguito del suo ingresso abbiamo deciso di pubblicare Undying – Reloaded (versione aggiornata del secondo disco dei Danger Zone, Undying – NdR), abbiamo visto quanto il suo apporto giovasse anche ai brani più vecchi e vi si incastrasse perfettamente. Canzoni come Half a chance che non avevano tastiere sono state oltremodo arricchite successivamente; quindi, anche dal vivo non ci siamo troppo preoccupati o meravigliati dalla presenza di Pier.
Matteo – Anche brani precedenti, tipo Line of fire prendono più corpo quando li suoniamo dal vivo, devo dire.
Cosa è cambiato nel mondo musicale da quando i Danger Zone sono tornati in pista? Vi sentite cambiati anche voi di conseguenza?
Roberto – Il mondo musicale è cambiato in maniera mostruosa – purtroppo per molte cose in peggio, ma non spetta a me giudicare il music business attuale. Noi siamo cambiati tanto, tantissimo: la “mark 1” dei Danger Zone era formata da un gruppo di giovani ragazzi che si stavano giocando in una mano tutte le loro carte, pronti per fare un “all-in” – o la va o la spacca. Era il momento giusto, nel posto giusto, avevamo l’età giusta e c’era il contesto storico che giustificava questo tipo di approccio… ma come molti sanno le cose non sono andate bene; quindi, non potevamo resistere più di tanto e perciò abbiamo dovuto interrompere il percorso della band. A seguito ci siamo ritrovati ed il primo obiettivo è stato quello di fare uscire Line of Fire, il disco sospeso che avevamo in tasca da anni: ormai eravamo adulti, con una diversa formazione e in un diverso contesto… quindi abbiamo affrontato tutto in maniera assolutamente serena, senza le aspettative e gli “obblighi” che potevamo avere o sentivamo di avere negli anni 80. Volevamo giusto divertirci e fare le cose al meglio delle nostre possibilità, poi con l’innesto di nuovi elementi quale il nostro Teo (o Roberto Galli, che ha sempre collaborato con la band) l’approccio è diventato meno nevrotico, più sano e con meno pressione.
State già pensando al prossimo lavoro, avete qualche anticipazione da dare?
Roberto – Attualmente abbiamo buttato giù alcune idee, ma questo periodo non ci ha consentito molto di fare prove e concentrarci – anche a livello morale è stato un periodo complicato e giocoforza c’è stato un stop.
Il primo obiettivo è quello di ricominciare a suonare dal vivo il più possibile, poi vediamo cosa succederà – sperando vi saranno le condizioni ottimali per tornare.
Matteo – Speriamo ricomincino a programmare i festival per la prossima primavera/estate… quelle date ci sono mancate molto. Ricordo alcune nostre partecipazioni a festival di due o tre giorni ed è stato davvero molto bello.
Imprevisti permettendo, avete altre date in programma per i prossimi mesi? Ricordo di una probabile partecipazione ad un interessante festival in Germania…
Roberto – Anche quello slittato al 2022, purtroppo… il festival si tiene al chiuso e con le attuali restrizioni la capienza si sarebbe ridotta a tal punto che i promoter non sarebbero più riusciti a sostenere le spese. Le aspettative da parte di tutti sono altissime ma per poterlo fare al meglio e spesare le band hanno ben pensato di spostare tutto a dicembre 2022… dovremo aspettare un altro anno; quindi, stiamo cercando di capire cosa succederà nei prossimi mesi e come saranno le normative riguardo ai locali al chiuso.
Stasera suonerete in compagnia di altre due grandi band del panorama bolognese: come giudicate la scena – sempre piuttosto florida – della vostra città?
Roberto – E’ sempre stata una scena che ha fornito musicisti e gruppi molto rispettati nel panorama musicale, non solo per quanto riguarda l’Heavy Metal. Bologna ha una grossa tradizione, basta pensare agli anni ottanta in cui la città ricopriva un ruolo da protagonista in ambito musicale; nel nostro genere noi siamo – assieme proprio ai Crying Steel e ai Tarchon Fist – gruppi di una certa generazione, che ha per fortuna visto susseguirsi altre band più giovani che sono subentrate e che stanno subentrando. In quanto “vecchie leve” siamo felici di rappresentare la storia di Bologna, sperando di vedere gruppi di quindicenni rientrare in sala prove con nuovi impulsi e voglia di suonare.
Matteo – Io sono un po’ titubante riguardo le nuove generazioni, in pochi si cimentano con gli strumenti… io ho la fortuna di avere un nipote appassionato di chitarra e grande fan di Richie Kotzen, però lui si ritrova a suonare a casa da solo perché i suoi amici ascoltano tutt’altro e non trova nessuno con cui mettere su una band, e questo è un po’ triste.
Roberto – C’è da sperare che il fenomeno Måneskin possa dare un nuovo impulso e far tornare la voglia degli strumenti suonati, c’è sempre molta ciclicità nelle cosa: per un lungo periodo magari la chitarra è stata ignorata, può darsi che adesso torni la voglia di avere uno strumento in mano. Noi andremo avanti a suonare finché ne avremo la forza ma sarebbe molto bello vedere band di ragazzini andare avanti con entusiasmo e voglia di spaccare il mondo.
Quale tra i vostri brani secondo voi rappresenta meglio i Danger Zone?
Roberto – Difficile dirlo, è un po’ una questione d’umore… di come ti svegli la mattina. Un brano che ci fa divertire tantissimo in questo periodo è senza dubbio Faster than love, brano più facile d ascoltare che da suonare.
Matteo – Sono d’accordo, è lui.
Roberto – Ne parliamo sempre, è molto divertente ed al contempo è una sfida –quando lo suoniamo dobbiamo dare sempre quel 5% in più e stare molto attenti, quindi ti direi che è sicuramente Faster than love.
Matteo – Si, ma io aggiungerei anche Breakaway che come finale dà sfogo a tanta energia ed anche Demon or saint, tutti brani da non prendere sotto gamba, complicati e divertenti allo stesso tempo.
È il momento dei saluti – e non solo: qualunque cosa vogliate aggiungere o comunicare ai lettori di Tuttorock potete esprimerla adesso!
Roberto – Salutando tutti vogliamo dirvi che abbiamo più voglia di prima di suonare dal vivo, di arrivare al nostro pubblico – sperando di vedervi tutti presto e pronti a fare del rock, vivendo tutto ciò con grande spirito di aggregazione, divertendoci e facendo divertire: solo così andremo a letto sereni! Speriamo che tutto vada per il meglio, magari ciò sfocerà in un nuovo disco – ma la nostra priorità adesso è il pubblico, la musica live.
Matteo – Speriamo quindi che ci siano sempre più locali che possano promuovere la musica dal vivo, tutto ciò è sano e fa bene alla gente… non mi ricordo di avere mai visto gente partecipare a concerti o anche festival senza un sorriso. Ho il ricordo di una nostra partecipazione ad un festival a Clusone (vicino a Bergamo) con i Bonfire come headliner: abbiamo suonato durante la partita dell’Italia (quarti di finale degli europei 2016, contro la Germania – NdR), ma nonostante questo tutti i partecipanti e tutto il paese è venuto a sentirci con grande energia e con tanti sorrisi… speriamo che si possano vivere ancora momenti del genere!
SANTI LIBRA
Band:
Giacomo Gigantelli – voce
Roberto Priori – chitarra
Danilo Faggiolino – chitarra
Pier Mazzini – tastiere
Matteo Minghetti – basso
Paolo Palmieri – batteria
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Bolognese, classe 1978 – appassionato scrittore sin da piccolo e devoto alla musica al 100% Cresciuto con i grandi classici della musica italiana ed internazionale, scopre sonorità più pesanti durante la gioventù e non se ne separa più, maturando nel contempo il sogno di formare una rock band. Si approccia inizialmente al pianoforte e poi al basso elettrico – ma sarà la sua voce a dargli il giusto ruolo, facendosi le ossa in diverse band e all’interno di spettacoli che coprono vari generi musicali, fino a fondare i Saints Trade – band hard rock con cui sforna diversi album e si toglie più di una soddisfazione in Italia e all’estero, fino a realizzare un altro piccolo sogno – quello di scrivere di musica entrando a far parte della grande famiglia di TuttoRock.