CRYING STEEL – Intervista sui 40 anni di carriera
In occasione del live al Trident Fest a San Martino Buonalbergo, ho intervistato la band CRYING STEEL.
In Italia ogni metallaro che si rispetti sa che deve qualcosa a una band bolognese che tra le prime ha portato l’heavy metal nel Bel Paese: i Crying Steel. Attivi dal 1981, hanno affrontato diverse vicissitudini e cambi di formazione – senza però snaturarsi e offrendo sempre colate di metallo pesante senza alcun compromesso ogni volta che si sono presentati sia in studio di registrazione che sul palco. Ed è sul palco del The Factory di San Martino Buon Albergo (Verona) che il combo bolognese fa ritorno dopo quasi due anni di stop, lo fa aprendo il Trident Fest che li vede protagonisti assieme ad altre due eccellenze nate all’ombra del Nettuno: Tarchon Fist e Danger Zone. Al termine della loro esibizione ci concedono un’intervista che in realtà si è rivelata una piacevole chiacchierata tra amici, dimostrando quanto entusiasmo e voglia di musica abbiano ancora dopo 40 anni di carriera i Judas Priest di casa nostra…
Come ci si sente a ritornare su un palco dopo una pausa così lunga? È un poco come una seconda – prima volta?
Mirko – Eh sì, è stata dura però in fondo è come se fosse passato poco tempo– faccio fatica proprio a pensare che sia davvero trascorso così tanto dall’ultima volta che siamo saliti sul palco.
JJ – Diciamo che la cosa che ci fa capire quanto tempo è passato è il numero di saltelli che facciamo sul palco durante i concerti… dopo un po’ si perde l’abitudine e si comincia ad aver male alla schiena!
Mirko – Si, è vero – poi è un po’ come andare in bicicletta, ci si toglie un po’ di ruggine ma fondamentalmente è proprio come se il tempo non sia passato affatto. Da questo punto di vista aiuta molto il fatto di avere davvero tanta voglia di ricominciare.
La band compie quarant’anni quest’anno, un traguardo eccezionale per una band – specie se fa heavy metal, specie se italiana: quanto siete soddisfatti per questo traguardo e quanto vi sentite cambiati?
Angelo – E’ una domanda impegnativa… sicuramente sono cambiate tantissime cose, io sono nella band dalla sua prima incarnazione, i Vurdalak e di cose ne ho viste passare tante. Posso dire che negli anni tutte le persone che si sono succedute hanno portato entusiasmo e voglia di fare con un spirito diverso, magari più giovane ma allo stesso tempo molto complementare – tutte hanno contribuito a dare qualcosa in più, nuovo entusiasmo e nuove idee. Sicuramente è stato un percorso molto positivo.
Franco – Beh, infatti, uno dei complimenti più belli che ci hanno fatto è che nonostante vari cambi di formazione – soprattutto dei cantanti – siamo riusciti sempre a mantenere un suono personale, di marchio Crying Steel ed una nostra identità, da sempre.
Angelo – E’ una sorta di fonte che continua ad alimentarsi di volta in volta partendo dal nocciolo della band, i suoi fondatori. E’ bello che la gente se ne renda conto.
Imprevisti permettendo, state pensando a qualche celebrazione in particolare per il vostro quarantennale?
Luca – Beh, per il momento no… (scherzando) c’è rimasto un tour mondiale in sospeso, fermato dalla pandemia… poi volevamo provare il viaggio spaziale inaugurale della Virgin ma anche lì siamo stati fermati… abbiamo anche provato a seguire Elon Musk, ma non è andata.
Franco – Cavolate a parte, stiamo cercando ancora di capire cosa fare e come farlo … qualche idea, comunque, c’è.
Luca – Ma come? I progetti di cui parlavo prima erano serissimi! (continua a scherzare) Se non fosse perché Gene Simmons e Paul Stanley hanno contratto il virus avremmo già vagliato il tour con i Kiss – insomma noi ci proviamo ma ci fermano dappertutto, per fortuna noi siamo come l’acqua e ci infiliamo ovunque, non ci fermerà nessuno! Seriamente, ci stiamo lavorando ma noi non siamo molto una band che vuole celebrare ricordi ma che i ricordi li vuole fabbricare, andando sempre avanti.
Avete presentato un nuovo brano questa sera, “Hell is not a bad place”: è una anticipazione per un nuovo album o solo un singolo “di passaggio”? Come è nato?
Mirko – E’ un brano nato durante la pandemia, su cui abbiamo lavorato con entusiasmo e che abbiamo finito di sistemare pochissimo tempo fa.
Franco – Si infatti – e inoltre stiamo lavorando su brani nuovi e prevediamo di potere sfornare qualcosa nel 2022, non abbiamo una scadenza precisa quindi non abbiamo troppa fretta e chiuderemo solo quando saremo pienamente soddisfatti di ciò che abbiamo.
Stasera suonerete assieme ad altre due band bolognesi, come giudicate l’attuale scena felsinea?
Franco – Guarda, ci sono un sacco di gruppi molto validi anche se noi siamo sentimentalmente legati a quelli della “vecchia scuola” come i Tarchon Fist e i Danger Zone con cui divideremo il palco stasera, ma ce ne sono tantissimi altri come, ad esempio, i Rain. Ci sono anche un sacco di band giovani dall’indubbia qualità di cui però non sempre comprendiamo il messaggio musicale e non sempre riusciamo a sintonizzarci con loro, forse anche per una questione anagrafica.
Mirko – Di qualità ce n’è parecchia, a Bologna ma anche poco fuori da questa zona… purtroppo il problema si pone quando devi andarti a scontrare con la realtà. E quindi la possibilità di potere suonare in giro, essere notati e quindi promossi. Quando abbiamo cominciato c’era una netta differenza tra chi era davvero bravo e gli amatori, ma adesso c’è un livello molto alto dappertutto, partendo anche dalla produzione di un demo. Una volta si usavano le cassettine, adesso puoi fare tutto in casa e comunque il livello tecnico dei musicisti è nettamente più alto rispetto ad una volta, soprattutto negli ultimi anni e ciò ha un po’ “appiattito” la scena, rendendola faticosa da inquadrare. Ci sono band che – se fossero nate dieci anni prima – avrebbero certamente fatto un tour mondiale ma che ora suonano dove possono perché si è tutto ridimensionato. Prendi una band come i Minraud o gli Speed Stroke… vent’anni fa questi ultimi avrebbero potuto tranquillamente partecipare al Monsters of Rock.
Il vostro ultimo lavoro è Stay steel, risalente al 2018 e vede alla voce il compianto singer Tony Mills: che ricordi avete di questa collaborazione? Come è nata?
Luca – Eravamo senza cantante ma con il disco già composto, quindi si poneva il dubbio su come fare per completarlo – e soprattutto con chi. L’idea di arruolarne uno che fosse magari straniero ci stuzzicava, abbiamo così stilato una lista con diversi nomi, tra i quali è saltato fuori quello di Tony Mills. Provare a contattarlo non mi costava nulla, gli ho chiesto l’amicizia su Facebook e quando l’ha accettata gli ho proposto la collaborazione. Con mia grande sorpresa ha risposto chiedendomi di mandargli i pezzi – e già io ero felicissimo così, non pensavo che ci avrebbe preso in grande considerazione. Invece ce li ha rimandati dandoci diversi suggerimenti: questa canzone funziona, questa la farò funzionare, qui c’è da lavorare, questa va bene così… Ci siamo quindi accordati ed è stata una collaborazione davvero spaziale, quando mi sono trovato in web conference con lui per decidere alcuni dettagli non potevo credere di avere lì Tony Mills pronto a lavorare sul nostro album… E quando ne ho parlato agli altri, non potevano crederci nemmeno loro, pensavano fosse uno dei miei soliti scherzi! Il passo successivo lo abbiamo fatto tutti assieme: Angelo gli ha inviato le melodie, io gli ho inviato i testi – che sono stati bocciati perché li avrebbe poi scritti lui, ma non è stato affatto un problema.
JJ – Mi ricordo di Born in the fire, gli abbiamo mandato un demo scarno con 4/5 tracce e ce ne ha restituito uno con 24 tracce rifatte da lui e con il testo già pronto: era già tutto perfetto; infatti, sono le tracce che abbiamo messo direttamente sul disco. Roba da pelle d’oca.
Angelo – E’ stato anche molto umile, in altri brani ha recepito quelle che erano le nostre intenzioni ed è rimasto fedele alle melodie che gli abbiamo proposto anche perché non voleva che questo suonasse come un disco di Tony Mills accompagnato da altri, ma ha voluto che mantenessimo la nostra identità.
Luca – E’ stato bello anche perché questo è in assoluto il disco più heavy che Tony abbia mai fatto ed è stata una grande soddisfazione sentire quanto in alto potesse andare la sua voce sui nostri brani.
Quali brani rappresentano meglio gli attuali Crying Steel secondo voi?
JJ – Sicuramente “The killer inside”: è un brano che ci viene molto bene dal vivo e in cui Mirko è riuscito ad inserirsi perfettamente… peccato solo che sia fondamentalmente un Hully Gully (ride)!
In tanti anni di carriera avete accumulato un sacco di esperienza, compreso calcare un palco straordinario come quello del Wacken: che ricordi avete di quella esperienza e quali soddisfazioni volete ancora togliervi?
Franco – Riguardo al Wacken, è stata una esperienza straordinaria con un’organizzazione tale da non sembrare nemmeno di essere in un ambiente rock – forse perché noi siamo abituati diversamente, in Italia si va spesso “un tanto al chilo”… Ecco perché vorremmo proprio toglierci la soddisfazione di riuscire a fare qualche data in giro per l’Europa: Scandinavia, Germania, Austria o comunque paesi maggiormente ricettivi nei confronti della nostra musica. Avevamo in ballo alcune cose, ma a causa della pandemia ci siamo dovuti fermare – vedremo adesso di rimetterle in moto.
Siete passati attraverso molti cambi di frontman, ma con l’ingresso di Mirko avete trovato stabilità: cosa è cambiato nella band – se è cambiato qualcosa – con il suo ingresso?
Angelo – Mirko non ascolta solo metal, ha un gusto molto ampio e questo è stato un vantaggio soprattutto dovendosi approcciare ai brani cantati da Tony Mills. E’ più adatto quindi rispetto ad un cantante puramente metal perché riesce a tirare fuori atmosfere e vibrazioni differenti, varie, e – anche se è riduttivo dirlo – melodiche.
JJ – Ciò che influisce molto secondo me è anche il fatto che lui sia un bravissimo batterista nonché polistrumentista: questo fornisce un approccio completamente diverso ai brani, anche in fase di scrittura.
E per finire, i saluti: c’è qualcosa che volete aggiungere per i lettori di Tuttorock?
Luca – Beh, che siamo bravi lo abbiamo detto… che scriviamo pezzi belli lo abbiamo detto… che abbiamo successo lo abbiamo detto…
JJ – Che diciamo tante cavolate…
Luca – Si, ma sarà meglio salutare anche chi ci segue, no?
Franco – Si, è sempre bello dare valore ai propri fans: ad esempio è stato commovente vedere stasera dei ragazzi farsi chilometri e chilometri per poterci venire a vedere dopo così tanto tempo! A volte sembra di essere tornati agli anni 80 considerando l’audience che c’è adesso, anche se per motivi di età questa va man mano riducendosi…
Speriamo però nelle nuove leve, che possano interessarsi anche a questo genere e alla nostra musica.
Luca – E questo anche grazie a te e Tuttorock che ci aiuta a diffondere il “verbo”, quindi grazie mille per il supporto… E’ stato un vero piacere!
SANTI LIBRA
Band:
Mirco Bacchilega – voce
Franco Nipoti – chitarre
Luigi “JJ” Frati – chitarre
Angelo Franchini – basso
Luca Ferri – batteria
Website: https://cryingsteel.org
Facebook: www.facebook.com/CryingSteel
Twitter: www.twitter.com/cryingsteel
Soundcloud:www.soundcloud.com/cryingsteel
Bolognese, classe 1978 – appassionato scrittore sin da piccolo e devoto alla musica al 100% Cresciuto con i grandi classici della musica italiana ed internazionale, scopre sonorità più pesanti durante la gioventù e non se ne separa più, maturando nel contempo il sogno di formare una rock band. Si approccia inizialmente al pianoforte e poi al basso elettrico – ma sarà la sua voce a dargli il giusto ruolo, facendosi le ossa in diverse band e all’interno di spettacoli che coprono vari generi musicali, fino a fondare i Saints Trade – band hard rock con cui sforna diversi album e si toglie più di una soddisfazione in Italia e all’estero, fino a realizzare un altro piccolo sogno – quello di scrivere di musica entrando a far parte della grande famiglia di TuttoRock.