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BUNNA – Intervista al cantante degli AFRICA UNITE

BUNNA – Intervista al cantante degli AFRICA UNITE

Africa Unite Architorti 2

In coccasione del concerto degli Africa Unite del 25 gennaio al Centro Sociale Rivolta di Marghera, ho fatto una bella chiacchierata con il cantante Bunna, che, insieme a Madaski, ha fondato la band nel 1981.

Ciao Bunna, benvenuto su Tuttorock, nel maggio dello scorso anno è uscito il vostro album “In tempo reale”, registrato con gli Architorti, in cui sembrate aver dato una versione futuristica al reggae, una sorta di elettro-reggae, mi concedi questo termine?

Ciao Marco, è un piacere per me. È un’operazione sicuramente coraggiosa, mentre la musica tende ad andare in una direzione pop, dove per pop si intende un qualcosa che possa andare in onda nelle stazioni radio, qualcosa che accontenti la gente. Noi siamo contrari a questa cosa, pensiamo che la buona musica possa essere non quella che passa continuamente in rotazione nelle radio, dove non è che poi ci sia una gran qualità. Oggi poi contano più le visualizzazioni sui social che la musica stessa e, in questo momento in cui si ha popolarità grazie a degli algoritimi di Facebook, Instagram e Youtube, pensavamo di dare un segnale di disappunto per manifestare come questa modalità non ci trovi d’accordo. Comunque sia, se uno ha successo, ha ragione, qualunque cosa proponga, però noi veniamo da un’altra generazione dove la musica doveva avere certi requisiti che oggi purtroppo mancano.

Com’è stata accolta questa innovazione da pubblico e critica?

Mah, guarda, devo dirti che temevo fosse più traumatica la cosa, invece il pubblico ha apprezzato, ha riconosciuto lo stile musicale degli Africa Unite anche se dirottato verso un sound insolito. Parlando con la gente che è venuta a vedere i nostri concerti, la nostra idea è stata apprezzata molto. Il pubblico del reggae è molto ortodosso e, appena metti un piede un pò fuori dal genere, c’è il rischio che non apprezzi, invece è accaduto il contrario.

Una curiosità sul singolo “Nuove Intrusioni Notevoli”, abbreviato con NIN, acronimo che ci porta a pensare ad un omaggio ai Nine Inch Nails, la band di Trent Reznor, è così?

È stata una cosa casuale ma potrebbe anche avere a che fare con loro, che consideriamo una grande band innovativa. Il nostro brano parla di come le nuove rockstar ottengano il successo in modo un pò strano e non così legittimo, secondo il nostro parere.

La scelta dell’autoproduzione e del lancio dell’album in download gratuito è stata efficace?

Devo dire che, già con il nostro disco precedente “Il punto di partenza”, uscito nel 2015, questa cosa di mettere il disco in free download è stata una bella idea per mettere a disposizione del pubblico la nostra musica per far sì che venga conosciuta, con la finalità di far venire più gente possibile ai nostri concerti, che per noi è la cosa più importante. Ci piace molto suonare dal vivo e comunque sono i concerti quelli che ci consentono di mantenerci economicamente. Quel disco ebbe 60000 download, un risultato pazzesco in questa epoca in cui tu premi il tasto play ed ascolti un brano su Spotify. Il fatto che la gente abbia scaricato l’album in maniera così numerosa, ci ha fatto un enorme piacere e così abbiamo ripetuto l’operazione.

Tu e Mada avete fondato gli Africa Unite nel 1981, quindi quasi 40 anni fa, ti senti di fare un bilancio di questi anni? Nel senso, hai ottenuto quello che volevi dal mondo della musica o hai qualche rimpianto?

Sì, abbiamo iniziato per gioco nel 1981, devo dire che, guardandomi indietro sono assolutamente contento di come sono andate le cose, abbiamo ottenuto molto dalla nostra musica. Ci siamo, negli anni, creati un pubblico partecipativo e numeroso e dalla metà negli anni ’90 fino al 2003/2004 abbiamo avuto momenti molto emozionanti con tanti concerti sold out. Devo dire che, facendo un bilancio, siamo contenti di essere ancora qua a fare questa cosa che ci piace e ci diverte, e continuiamo ad avere un buon pubblico anche quando facciamo cose meno popolari come nel caso di quest’ultimo disco. Gli Africa Unite per qualcuno rappresentano ancora qualcosa di interessante. Abbiamo affrontato tutti gli step, iniziando facendo dischi in maniera casalinga, incollando a mano le copertine, e portandoli fisicamente nei negozi per cercare di venderli, poi siamo passati all’etichetta indipendente Vox Pop e da lì abbiamo cominciato ad ottenere anche un riconoscimento economico, potendoci permettere un ufficio stampa. Poi abbiamo firmato con una major, la Polygram, diventata poi Universal,  che aveva una struttura molto importante che ci supportava notevolmente. Con loro siamo riusciti a girare video e ad arrivare alle radio e alle tv. È stato un bel viaggio, poi, una volta finito, siamo tornati a fare le cose per conto nostro. Ora siamo passati oltre, in un momento in cui il mercato dei dischi è, per certi versi, in crisi, facciamo sì che più gente possa accedere ai nostri brani. Siamo fiduciosi sul fatto che faremo ancora cose interessanti.

Cosa farete in futuro? Ci dobbiamo aspettare qualcosa in vista dei vostri primi 40 anni di carriera?

A breve faremo uscire un disco live registrato durante i concerti con gli Architorti, sempre scaricabile gratuitamente dal nostro sito su tutte le piattaforme digitali e su vinili a tiratura limitata e un video live di un concerto fatto a settembre, poi stiamo lavorando anche ad un disco tradizionale in pieno stile Africa Unite, reggae, che uscirà nel 2021 per festeggiare questi 40 anni di carriera. Sarà un disco celebrativo, non tanti gruppi riescono ad arrivare a questa età, parlando di carriera musicale, avremo sicuramente anche alcuni ospiti.

Voi che potete essere considerati gli inventori del reggae italiano, come vedete questo genere musicale nel 2020 sia nel nostro Paese che nel resto del mondo?

Mah, più che inventori direi pionieri, abbiamo iniziato quando i gruppi reggae erano molto pochi, siamo stati sicuramente i primi a cantare reggae in italiano, non in inglese e nemmeno in dialetto, volevamo che la gente capisse i nostri testi. Abbiamo sempre cercato di essere coerenti con noi stessi, non siamo Giamaicani cresciuti in un ghetto, quindi abbiamo sempre cercato di parlare della realtà che ci circonda. Il reggae in questi anni ha perso un pò di seguaci e la scena italiana si è un po’ ridotta, al momento per fortuna c’è ancora un pubblico che segue il genere anche se è un po’ diminuito rispetto al passato. Ci sono gruppi molto giovani che propongono ottima musica, Mellow Mood, Forelock & Arawak, Paolo Baldini che è stato anche un nostro bassista, Mama Marjas, i Rebel Rootz, The Young Tree.

Non ti è mai venuta la voglia di scappare da un Paese contradditorio come il nostro, dove si chiudono le case chiuse ma le prostitute sono in strada, dove il percorso verso la vendita legale della cannabis viene continuamente riempito di ostacoli?

Devo dire di aver sempre avuto la consapevolezza del fatto che viviamo in un Paese in cui ci sono dei paradossi allucinanti, ma non ho mai avuto la voglia di scappare perchè sono sempre stato legato a chi mi circonda, la famiglia, gli amici, anche se ci sarebbero tutti i presupposti per farlo. Viviamo in un Paese dove è complicato vivere onestamente, con un sistema che spinge ad agire illegalmente, non c’è meritocrazia, gli italiani hanno sempre avuto questa caratteristica di questa solidarietà che sfiora l’atteggiamento mafioso, tipo “io se ti conosco ti do una mano ad avere quel posto”, in Italia manca la cultura del “se sei più bravo vai avanti tu”. Ci sono un sacco di cose che fanno pensare ad andarsene ma ci sono anche altri motivi, per quanto mi riguarda, per rimanere ed usare la musica per esprimere opinioni e per cercare di illustrare le cose che non vanno.

Perchè, nel 2020, il razzismo e l’omofobia, invece che essere in calo, sembrano acquisire sempre più proseliti?

Purtroppo io penso che tutto derivi dall’ignoranza, più si è ignoranti e più si tende a vedere nel diverso il nemico, quello che può rubarti il lavoro o altre cose. Ci sono movimenti di destra che si basano molto sul fatto che le persone ignorino, e cercano di convincere loro con politiche populiste che sono quasi solamente chiacchiere. Se la gente si informasse di più si potrebbe avere una coscienza diversa e capire che certe cose non dovrebbero esistere.

Sabato 25 gennaio vi esibirete al Centro Sociale Rivolta di Marghera, terra di Skardy dei Pitura Freska, ci sarà qualche sorpresa?

Faremo il nostro concerto con gli Architorti, un concerto particolare che al suo interno ha i pezzi di questo disco ma ha anche brani evergreen degli Africa Unite rivisitati con i suoni utilizzati in “In tempo reale”. Sarà un concerto degli Africa diverso da quello che il Rivolta è abituato a vedere ma credo che la curiosità del pubblico faccia sì che la gente venga. Sarà un concerto meno danzereccio, molto più visionario ed emozionante. Sono convinto che lo faremo funzionare bene come abbiamo fatto finora.

Finisco con una domanda leggera, mi racconti la storia dei tuoi famosi dread? Qual’è il segreto per conservarli per così tanto tempo?

Purtroppo non c’è un segreto, si tratta di fortuna, se uno ha la fortuna di non perdere i capelli non li perde. Si può comunque vivere anche senza capelli, essi sono l’ultimo dei problemi, si può essere amanti del reggae anche senza dread, io sono stato fortunato e riesco a continuare a farli crescere, almeno per ora (ride, ndr).

Grazie mille per il tempo che mi hai dedicato, vuoi dire qualcosa ai lettori di questa intervista e ai fan degli Africa Unite?

Grazie a te Marco, è stato un piacere, quando vedete che gli Africa Unite suonano vicino a voi venite al concerto, vedrete che vi divertirete! Ciao!

MARCO PRITONI