BERG – Intervista al cantante
by Monica Atzei
6 Dicembre 2016
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Il piacere delle interviste è scoprire sempre qualcosa di nuovo:
Oggi con me un artista “differente” che apporterà, a mio parere, una nuova linfa al panorama musicale. Ai lettori di Tuttorock presento Berg.
Ciao Berg! Al secolo Luca Nistler, iniziamo subito dal nome: perchè Berg?
Flistenberg, Unterberger, Berger sono alcuni dei nomi/cognomi/nomignoli che in questi ultimi anni hanno orbitato intorno a persone per me significative. Questa radice, “Berg”, era un po’ nell’aria. Il progetto, a livello di contenuti, è fortemente incentrato sui confini, e “Berg” in tedesco significa proprio “montagna”, che è per l’appunto una forma primordiale di confine creatasi attraverso la frizione tra porzioni di terre.
Il 18 novembre è stato pubblicato il tuo primo lavoro dal titolo Solastalgia, ci vuoi illustrare questo progetto?
Beh al contrario della parola “Berg”, che ha radici antiche, “Solastalgia” è un neologismo coniato dal filosofo e docente di sostenibilità Glenn Albrecht. Significa “nostalgia di casa di quando sei ancora a casa”, in riferimento alle zone deturpate da attività di estrazione e/o deforestazione. Glenn Albrecht estende questa forma di nostalgia a tutti gli abitanti del nostro pianeta in quanto lo sconvolgimento climatico è ormai percepito ad ogni latitudine del globo. Per quanto riguarda il progetto in sè Berg è un progetto basato sull’esclusivo utilizzo della voce nuda. Senza elettronica, senza strumenti musicali, senza filtri. Lavoro solo con una loop station, un pedale delay e la mia voce.
Sì tutto ciò che sentiamo nell’EP è frutto della tua voce: come sei arrivato a concepire questa modalità musicale?
Tutto è nato e si è sviluppato in maniera davvero naturale. Ho sempre avuto una tendenza a creare seconde voci sulle canzoni che ascoltavo. Avere un giocattolo come la loop station tra le mani ha portato all’estremo questa tendenza. Sul palco costruisco castelli di voci ogni volta da zero.
Quali sono i tuoi cantanti o gruppi di riferimento?
Sono stato svezzato da artisti come Bob Dylan, Brassens, James Taylor, Leonard Cohen, Donovan. In Italia ho ascoltato artisti altrettanto validi, da De André a Paolo Benvegnù ad Alessio Lega, ma anche Afterhours, Marlene Kuntz, CCCP, Il Teatro degli Orrori, Tre Allegri Ragazzi Morti, Quintorigo; ho ascoltato e studiato molto anche il primo album di John de Leo. Lui ha sempre lavorato tantissimo sulla sua voce. Sentirlo dal vivo è un’esperienza quasi mistica. Ha un’estensione vocale tremenda. Delle basse che penetrano nelle ossa. Forse a livello vocale è uno degli eredi di Demetrio Stratos.
Il tuo lavoro è incentrato sui confini. Cosa intendi tu per confine? Come mai lo ritroviamo anche in copertina e anche nei testi ?
Diciamo che ci sono due contenuti principali all’interno del disco: da un lato il potenziamento dei confini politici tra Stati, dall’altro il depotenziamento degli ice-berg. I confini dello Stato nazionalista si rafforzano, come se il nemico fosse al di là della frontiera. L’Occidente si chiude in un pericoloso mondo auto-referenziale che prende forse troppo poco in considerazione quello che esiste al di fuori della propria zona di “comfort”. Come per esempio che i ghiacci millenari dell’Artico si stanno sciogliendo. Il terzo confine dell’EP riguarda il queer, il concetto di maschio e femmina, come fossero entità statiche, come fossero di proprietà statale. Perché in fondo chi vuole varcare la propria identità di genere deve tutt’oggi iniziare una specie di guerra civile per ottenere i propri diritti, per l’appunto, civili.
Ora sei in tour, ti piace proporre la tua musica dal vivo?
Suonare dal vivo è sempre una sfida. L’esibizione dev’essere sempre abbastanza impeccabile soprattutto da un punto di vista ritmico e d’intonazione. Se la beat è fuori tempo tutta la canzone, tutti gli strati vocali, crescono storti, la stratificazione della struttura del pezzo si fa obliqua. Sono un po’ un equilibrista sulle mie canzoni. Beh in fondo l’equilibrio risiede all’interno della struttura dell’orecchio, no? E comunque secondo me questa tensione compositiva arriva, soprattutto nei live, c’è una specie di suspense. Siamo un po’ tutti sospesi, sia chi ascolta sia io.
E dopo il tour cosa dobbiamo aspettarci da Berg?
Una montagna di cose.
Grazie mille per la tua gentilezza Berg e in bocca al lupo per questo tuo lavoro!
W il lupo. Grazie a voi.
MONICA ATZEI
Pics by IARA SAVOIA
Oggi con me un artista “differente” che apporterà, a mio parere, una nuova linfa al panorama musicale. Ai lettori di Tuttorock presento Berg.
Ciao Berg! Al secolo Luca Nistler, iniziamo subito dal nome: perchè Berg?
Flistenberg, Unterberger, Berger sono alcuni dei nomi/cognomi/nomignoli che in questi ultimi anni hanno orbitato intorno a persone per me significative. Questa radice, “Berg”, era un po’ nell’aria. Il progetto, a livello di contenuti, è fortemente incentrato sui confini, e “Berg” in tedesco significa proprio “montagna”, che è per l’appunto una forma primordiale di confine creatasi attraverso la frizione tra porzioni di terre.
Il 18 novembre è stato pubblicato il tuo primo lavoro dal titolo Solastalgia, ci vuoi illustrare questo progetto?
Beh al contrario della parola “Berg”, che ha radici antiche, “Solastalgia” è un neologismo coniato dal filosofo e docente di sostenibilità Glenn Albrecht. Significa “nostalgia di casa di quando sei ancora a casa”, in riferimento alle zone deturpate da attività di estrazione e/o deforestazione. Glenn Albrecht estende questa forma di nostalgia a tutti gli abitanti del nostro pianeta in quanto lo sconvolgimento climatico è ormai percepito ad ogni latitudine del globo. Per quanto riguarda il progetto in sè Berg è un progetto basato sull’esclusivo utilizzo della voce nuda. Senza elettronica, senza strumenti musicali, senza filtri. Lavoro solo con una loop station, un pedale delay e la mia voce.
Sì tutto ciò che sentiamo nell’EP è frutto della tua voce: come sei arrivato a concepire questa modalità musicale?
Tutto è nato e si è sviluppato in maniera davvero naturale. Ho sempre avuto una tendenza a creare seconde voci sulle canzoni che ascoltavo. Avere un giocattolo come la loop station tra le mani ha portato all’estremo questa tendenza. Sul palco costruisco castelli di voci ogni volta da zero.
Quali sono i tuoi cantanti o gruppi di riferimento?
Sono stato svezzato da artisti come Bob Dylan, Brassens, James Taylor, Leonard Cohen, Donovan. In Italia ho ascoltato artisti altrettanto validi, da De André a Paolo Benvegnù ad Alessio Lega, ma anche Afterhours, Marlene Kuntz, CCCP, Il Teatro degli Orrori, Tre Allegri Ragazzi Morti, Quintorigo; ho ascoltato e studiato molto anche il primo album di John de Leo. Lui ha sempre lavorato tantissimo sulla sua voce. Sentirlo dal vivo è un’esperienza quasi mistica. Ha un’estensione vocale tremenda. Delle basse che penetrano nelle ossa. Forse a livello vocale è uno degli eredi di Demetrio Stratos.
Il tuo lavoro è incentrato sui confini. Cosa intendi tu per confine? Come mai lo ritroviamo anche in copertina e anche nei testi ?
Diciamo che ci sono due contenuti principali all’interno del disco: da un lato il potenziamento dei confini politici tra Stati, dall’altro il depotenziamento degli ice-berg. I confini dello Stato nazionalista si rafforzano, come se il nemico fosse al di là della frontiera. L’Occidente si chiude in un pericoloso mondo auto-referenziale che prende forse troppo poco in considerazione quello che esiste al di fuori della propria zona di “comfort”. Come per esempio che i ghiacci millenari dell’Artico si stanno sciogliendo. Il terzo confine dell’EP riguarda il queer, il concetto di maschio e femmina, come fossero entità statiche, come fossero di proprietà statale. Perché in fondo chi vuole varcare la propria identità di genere deve tutt’oggi iniziare una specie di guerra civile per ottenere i propri diritti, per l’appunto, civili.
Ora sei in tour, ti piace proporre la tua musica dal vivo?
Suonare dal vivo è sempre una sfida. L’esibizione dev’essere sempre abbastanza impeccabile soprattutto da un punto di vista ritmico e d’intonazione. Se la beat è fuori tempo tutta la canzone, tutti gli strati vocali, crescono storti, la stratificazione della struttura del pezzo si fa obliqua. Sono un po’ un equilibrista sulle mie canzoni. Beh in fondo l’equilibrio risiede all’interno della struttura dell’orecchio, no? E comunque secondo me questa tensione compositiva arriva, soprattutto nei live, c’è una specie di suspense. Siamo un po’ tutti sospesi, sia chi ascolta sia io.
E dopo il tour cosa dobbiamo aspettarci da Berg?
Una montagna di cose.
Grazie mille per la tua gentilezza Berg e in bocca al lupo per questo tuo lavoro!
W il lupo. Grazie a voi.
MONICA ATZEI
Pics by IARA SAVOIA
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http://www.dlso.it/site/2016/11/14/berg-solastalgia
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Monica Atzei
Insegnante, classe 1975, medioevista ed immersa nella musica sin da bambina. Si occupa per Tuttorock soprattutto di interviste, sue le rubriche "MommyMetalStories" e "Tuttorock_HappyBirthday". Scrive per altri magazine e blog; collabora come ufficio stampa di band, locali, booking e con una label.