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AVI AVITAL – Intervista al re del mandolino

AVI AVITAL – Intervista al re del mandolino

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In occasione dei concerti che terrà in Italia nel 2020, l’8 gennaio all’Auditorium Parco della Musica di Roma, il 27 gennaio al Teatro Manzoni di Bologna e il 2 febbraio al Teatro Manzoni di Pistoia con l’Orchestra degli Archi di Santa Cecilia e il 28 marzo al Teatro Bibiena di Mantova e il 31 marzo a La Spezia, in coppia con il grande violoncellista Giovanni Sollima, senza dimenticare il concerto del 30 gennaio con l’Orchestra Sinfonica della RAI all’Auditorium Arturo Toscanini di Torino, ho intervistato il re del mandolino, l’israeliano Avi Avital, candidato ai Grammy Awards nel 2010 e primo mandolinista nella storia ad ottenere un tale riconoscimento, colui che ha cambiato positivamente le sorti di quello strumento. In un italiano praticamente perfetto, mi ha raccontato molte cose interessanti.

Ciao Avi, benvenuto sulle pagine di Tuttorock, prima di tutto, ti chiedo come va in generale, so che sei in tour in Germania con la Venice Baroque Orchestra.
Ciao Marco, grazie per questa occasione, in questo mese sono impegnato quasi tutte le sere in vari progetti, viaggio molto e si vede nelle sale che le Feste Natalizie sono vicine, tanta gente esce di casa e viene a vedermi. Dopo questo tour andrò un pò in vacanza anch’io.

Ti rendi conto di essere stato ed essere tuttora fondamentale per l’evoluzione del mandolino, prima considerato solamente strumento popolare, trascrivendo partiture scritte per altri strumenti? Ti senti una sorta di pioniere?
È una cosa che mi fa sempre piacere ma non ci penso molto. Quando ho iniziato a suonare, non avevo in mente nessuna di queste cose, ho sempre pensato a suonare per la gente e non di diventare un ambasciatore o un pioniere. Non ho mai avuto un esempio da seguire tra i mandolinisti, mi son detto, quando avevo 23 anni: “accetto il fatto di essere un mandolinista professionale, devo far per forza dare il meglio per intraprendere questa carriera”. Il risultato, di cui sono molto contento, è che ho avuto riconoscimenti come la candidatura ai Grammy Awards, ma l’input che ho avuto è sempre stato quello di suonare, il mio obiettivo non è mai stato il successo. Il mandolino, nell’ambiente della musica, è sempre stato considerato uno strumento amatoriale legato al folk, soprattutto da voi in Italia, molto legato alla città di Napoli. Venendo da fuori non avevo questa concezione dello strumento, quindi facevo musica senza pensare a cosa avessi in mano. Volevo riportare il mandolino nelle sale, per questo ho dovuto abbattere molte barriere e sono riuscito ad aiutare il mondo classico a scoprire questo strumento.

E i maestri classici come hanno accolto questa innovazione? Ti hanno aiutato o sono stati scettici?
Tutti i miei maestri, buoni e cattivi, sono stati molto utili per me. Ho avuto la fortuna di averne molti buoni, per me un buon maestro è uno che ti accompagna nella tua strada e non ti impone le sue idee. Ho sempre voluto fare le cose a modo mio, senza seguire un canone specifico e loro mi hanno illuminato la strada da me creata.

Quand’è stato il primo avvicinamento al tuo strumento?
Da bambino avevo un vicino di casa che suonava il mandolino, è stato il primo strumento che ho toccato con mano ed è stato il primo legame che ho avuto con uno strumento musicale. All’età di 8 anni ho chiesto ai miei genitori di poter suonare in un’orchestra mandolinistica giovanile che c’era nella mia città in Israele, Be’er Sheva. Poi sono andato al conservatorio della mia città e lì ho avuto la fortuna di incontrare un maestro carismatico, un musicista enorme che mi ha aperto le porte verso la mia carriera.

Che mandolino usi quando ti esibisci?
Ho avuto anche in questo caso molta fortuna. Ho sempre voluto suonare pezzi molto più complessi di quelli già scritti per il mandolino, partiture scritte per violino o strumenti più adatti a musicisti virtuosi, il mandolino tradizionale non rispondeva all’enorme forza cui lo sottoponevo, per fortuna ho conosciuto un liutaio che oggi ha 80 anni e che ha sempre avuto il mio scopo, quello di reinventare il mandolino e dargli più qualità, con volumi e colori che potevano essere paragonati ad un violino. Lui è un genio, si chiama Arik Kerman, ha sviluppato questi strumenti negli ultimi 25 anni anche grazie ai miei consigli, ho suonato per 20 anni un bellissimo mandolino costruito da lui, l’anno scorso è nato questo, ancora più bello, l’ho preso ed ora è quello che porto con me in tournée.

Tu sei nato in Israele ma hai vissuto e studiato anche in Italia, al Conservatorio Cesare Pollini di Padova, dove vivi ora?

Vivo a Berlino ormai da 10 anni. Nel 2008, dopo 7 bellissimi anni in Italia, ho visto che stava succedendo qualcosa di molto interessante a Berlino e sono stato attratto da quella città, dove c’è molto spazio per la creatività e l’innovazione. Questo mi faceva venire in mente la Parigi di inizio ‘900, dove tutti gli artisti vivevano nello stesso quartiere di Montmartre e c’era una grande energia creativa. È stata una mossa buona anche se è stato difficile lasciare l’Italia, che considero la mia seconda casa. Ho trovato un’esplosione di energia e di gente che pensa differentemente e cerca sempre innovazioni nelle forme artistiche.

Come mai hai scelto proprio l’Italia per studiare musica?
Tutti gli studi che ho fatto in Israele, sia al Conservatorio di Be’er Sheva che all’Accademia Musicale di Gerusalemme, si sono svolti tutti avendo insegnanti di violino, nessuno sapeva come tenere in mano un mandolino e questa è stata una fortuna per me, perchè tutto era concentrato sulla musica e non sulle tecniche, così ho inventato una mia tecnica per poter suonare i pezzi che volevo suonare. Poi ho deciso che, per potermi chiamare mandolinista, mi mancava una parte importante, ho cercato un maestro in Italia, nel Paese di nascita di questo strumento, ho trovato Ugo Orlandi a Padova, lui ha dedicato tutta la vita a cercare pezzi sconosciuti per riportare alla luce il mandolino. Da lui ho imparato la tecnica tradizionale, ho suonato uno strumento italiano e con lui ho studiato la tecnica tradizionale italiana, dopo due anni ho mischiato la sua tecnica con la mia ed ho dato origine ad una tecnica ibrida. Mi è servita molto questa esperienza, per un artista, vivere in Italia, essere circondato sempre dalla bellezza, dai centri storici bellissimi di ogni città, è molto bello. Tutto è bello da voi, il cibo, il modo di vivere, la moda, voi che siete nati lì spesso non ve ne rendete conto. È molto importante per un artista vivere in mezzo alla bellezza. Berlino è interessante ma se devo dirti una città che mi piace perchè è bella ti dico Firenze.

Nel tempo in cui non studi il mandolino, cosa ti piace fare?
Ho un hobby vecchio e nuovo, ha sempre a che fare con la musica. Quando avevo 14 anni ero ossessionato dal grunge e dal rock, avevo i capelli lunghi, la maglietta dei Nirvana, gli anfibi, suonavo la batteria e la tastiera, facevo parte di un gruppo di cui sono l’unico che poi ha cambiato genere musicale. Vivevo con i miei genitori in un appartamento che non consentiva il suono della batteria, allora ho lasciato da parte quel sogno ma l’anno scorso ho comprato una batteria elettronica e, quando torno da una tournée, do un bacio a mio figlio e corro a suonarla. Suonare una batteria mi diverte molto e lo faccio senza alcun scopo, solo per il mio piacere, questo era il punto di partenza per me, poi la musica è diventata la mia carriera.

Farai alcune date in Italia a gennaio e febbraio a Bologna, a Roma e a Pistoia con gli Archi di Santa Cecilia, che programma eseguirete?
Faremo un programma barocco che mi piace molto, con brani di Bach e Vivaldi, sono contento di portarlo per la prima volta in quelle città.

A marzo invece sarai impegnato in due date, a Mantova e La Spezia, con il grande violoncellista Giovanni Sollima, con il quale hai già suonato. Com’è nata la vostra collaborazione?
L’ho conosciuto alla Notte della Taranta in Puglia, nel 2014. Lui era direttore artistico e mi invitò a suonare a quel concertone che andava anche in diretta tv, tutto incentrato sulla pizzica e musiche folk simili, è stata un’esperienza fantastica, condivido con lui l’atteggiamento verso la musica, è eccezionale, si lascia influenzare da vari generi musicali, come me. Siccome siamo entrambi legati al Mar Mediterraneo, essendo lui siciliano e io israeliano con radici marocchine, il Mediterraneo è diventato il tema comune. Abbiamo preso melodie di quelle terre e le abbiamo riarrangiate.

Dopo quei concerti quali sono i tuoi progetti futuri?
Tornerò a suonare a maggio a Milano e in estate in Toscana, poi continuerò a girare il mondo, tra cui Berlino, Londra, Stati Uniti, Giappone, Cina, Hong Kong, sarà un anno di bei viaggi e tanta musica.

C’è qualche artista nell’intero panorama musicale internazionale con cui ti piacerebbe collaborare?
Sì, tanti. Ho realizzato un sogno recentemente, la settimana scorsa è uscito l’album postumo di Leonard Cohen e nella seconda traccia ho suonato io. È stata una cosa molto emozionante, lui è stato un cantautore che ho sempre ammirato molto, ho conosciuto Adam, suo figlio, che ha prodotto il suo ultimo album quando lui era ancora in vita. Nel 2018 ero a pranzo con lui a Los Angeles e mi disse che Leonard, già malato, gli aveva lasciato 10 tracce vocali da completare per creare un album dopo la sua morte. Mi ricordo che, quando venni invitato nello studio, sentii per la prima volta la traccia contenente solamente la voce di Leonard e un pianoforte in sottofondo, è stato uno dei momenti musicali più belli della mia vita. Suonare il mandolino sulla voce di Leonard Cohen è stata una cosa che ricorderò per tutta la vita, sono anche molto fiero del risultato, l’album, di cui ho fatto una piccolissima parte, è incredibile.

Grazie mille Avi, ci vediamo a Bologna. Vuoi dire qualcosa ai lettori di questa intervista e a quelli che verranno a vedere un tuo concerto?
Bologna mi piace molto come città, dico a tutti di uscire di casa, ovunque, regalatevi l’opportunità di godervi un concerto con altra gente, senza rimanere a guardare un telefono, io stesso non mi pento di nessun concerto visto nella mia vita, la musica dal vivo è la cosa più bella che ci sia.

MARCO PRITONI