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APICE – Intervista al cantautore che presenta il suo “Rumore Bianco”

APICE – Intervista al cantautore che presenta il suo “Rumore Bianco”

In occasione dell’uscita del nuovo album “Rumore Bianco”, ho avuto il piacere di intervistare Apice, cantautore nato a La Spezia e cresciuto in giro per l’Italia.

Ha pubblicato tre dischi (“Beltempo”, 2019; “Attimi di sole”, 2022; “Rumore Bianco”, 2024), suonato su tanti palchi di club e festival nazionali e internazionali, vinto due premi dedicati alla musica d’autore (Premio Fabrizio De André, 2019; Premio Bindi, 2022) ed è sopravvissuto fin qui a sé stesso e alle sue domande senza risposta – che il più delle volte sono diventate canzoni.

Nel tempo libero fa altro che non sia scrivere o suonare, altrimenti non saprebbe cosa raccontare con la sua musica.

“Rumore Bianco” (La Clinica Dischi/Sony Music) è il suo terzo disco in studio, una narrazione corale di un sentimento condiviso – o almeno, così lui crede: dieci canzoni per raccontare il rumore di fondo che accompagna ogni momento del nostro incessante e disorientato progredire.

Ciao e benvenuto sulle pagine di Tuttorock, parliamo subito del tuo nuovo album “Rumore Bianco”, che riscontri stai avendo?

Direi buoni, è uscito un disco che aspettavo da tanto e mi sembra che le canzoni stiano arrivando nel modo giusto. Non ho necessità di grandi allori, mi basta sapere che qualcuno stia dando fiducia ad un disco che comunque presenta una complessità forse maggiore rispetto ai miei precedenti. È già un buon risultato.

Brani nati quando e ispirati da cosa?

Brani nati nel tempo di un paio d’anni e ispirati dai piccoli grandi problemi della mia quotidianità, che credo sia un po’ la quotidianità di tutti: il tempo, la violenza, l’amore, il lavoro, la morte. Domande che ho cominciato a farmi da qualche anno in modo diverso. Sto invecchiando.

Ho apprezzato molto l’intero album e ad ogni ascolto è cambiato il mio brano preferito. Immaginiamo un attimo che tu ti sia trasformato in un semplice fruitore di musica che non conosce Apice, che impressioni coglieresti al termine dell’ascolto?

Scusami, mi sento ancora troppo dentro a questo lavoro per riuscire ad immaginarlo dal “di fuori”. Sono molto innamorato, al momento, del disco, quindi rischierei di essere comunque estremamente autoreferenziale. Formalmente, credo sia un disco che suona bene. La forma si può commentare più facilmente del contenuto, perché rimane tendenzialmente (tendenzialmente) qualcosa di esteriore… Il contenuto, invece, sono io e dimenticarmi di me non mi riesce ancora troppo bene.

Mi ha incuriosito molto la copertina, mi puoi raccontare di chi è stata l’idea e chi l’ha realizzata?

Grazie per questa domanda, che mi permette di ringraziare Carlotta Amanzi: è un’artista dalla sensibilità rara, una pittrice con visioni speciali, e la nostra è un’amicizia particolare, nata sotto il segno della canzone d’autore. Volevamo realizzare una copertina dinamica, performativa, che fosse espressione di un divenire più che la scelta selezionata di un momento; ne è nato un processo che è durato mesi, durante i quali Carlotta ha periodicamente manomesso e manipolato la tela, il colore, il gesto, a seconda del “rumore bianco” che in quell’istante stava ronzando nella sua vita. Non c’è selezione, non c’è scelta, come (spesso) accade nella vita: la copertina è il risultato di un sommarsi di gesti e colori e momenti diversi, un vaso di Pandora che porta la memoria di ogni step. Nel percorso discografico che ha portato alla pubblicazione del disco, i singoli estratti hanno avuto come “copertine” vari momenti del processo di lavorazione, che era ancora in atto… non sapevamo cosa ne sarebbe venuto fuori, e questo è l’aspetto che continua ad affascinarmi di più del lavoro che Carlotta ha compiuto. In piena assonanza con il significato del disco.

In due brani troviamo prima Ibisco poi Rares, li hai scelti per amicizia, per stima o per cosa?

Per amicizia, per stima, perché amo le loro persone e la loro musica. In casa nostra vogliamo solo persone e cose belle.

La tua proposta musicale sembra raccogliere in un’unica entità anni ed anni di cantautorato italiano, da Battisti a Samuele Bersani, senza dimenticare Giovanni Truppi e Daniele Silvestri, giusto per citarne alcuni. Quali sono i tuoi artisti di riferimento del passato e del presente?

Sono cresciuto ascoltando Mina, Mia Martini, Renato Zero, Loredana Berté… mia madre ne era e ne è una grande appassionata, e la musica leggera italiana ha lasciato un segno preponderante nel mio modo di “sentire” la canzone. Poi nell’età del dissidio ho scoperto la canzone d’autore più impegnata e da lì è cambiato tutto. Ho macinato tutto il cantautorato italiano, o in gran parte almeno: abbiamo perle poetiche nascoste sotto i materassi… che non dovrebbero farci dormire sonni tranquilli nell’accettare tutto lo svilimento del concetto di autorialità che oggi stiamo vivendo. Con buona pace di tutti.

Quando e come ti sei avvicinato alla musica?

Da piccolo, in macchina con mia mamma come ti dicevo sopra. Poi per i fatti miei, poi con amici del cuore con i quali ho condiviso tanti anni di palchi adolescenziali in una band che è stata una vera e propria famiglia. Infine da solo, ma mai da solo: gli amici, per fortuna, ci sono sempre.

C’è un tuo concerto che ricordi particolarmente?

Non ne ricordo nessuno, nello specifico. Forse perché me li ricordo tutti come speciali. Tranne qualcuno, in effetti, magari per qualche disastro imprevedibile (o forse semplicemente imprevisto): a Torino, qualche anno fa, mi è crollata addosso la tastiera mentre stavo suonando ed è stato in effetti un momento piuttosto tragico. Sfido chiunque a sopravvivere emotivamente al crollo di una tastiera.

A proposito, hai già qualche data in programma?

Sì: in primavera gireremo un po’ l’Italia. Poche date, ma intense!

Grazie mille per il tuo tempo, ti lascio piena libertà per chiudere questa intervista come vuoi.

Ciao! Ascoltate più dischi! Che i singoli non hanno mai detto niente…

MARCO PRITONI