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ANTONIO PIGNATIELLO – Intervista su P.A.O Electric Session in the wood

ANTONIO PIGNATIELLO – Intervista su P.A.O Electric Session in the wood

Antonio Pignatiello è un cantautore italiano. Nel 2010, ha vinto il Premio per il miglior brano inedito al Solarolo Festival con la canzone Folle, segnando l’inizio del suo percorso discografico con l’album Ricomincio da qui. A questo hanno fatto seguito gli album A sud di nessun nord e Se ci credi.

Ciao e benvenuto ad Antonio Pignatiello su TUTTOROCK. Per iniziare, chi è Antonio Pignatiello?
Antonio Pignatiello è una voce in cerca di un’eco, un viaggiatore tra musica, parole e immagini. Sono un cantautore, ma anche un narratore che ama intrecciare melodie e storie. Insegno letteratura e storia, e forse questo mi porta a guardare il mondo con uno sguardo che cerca di cogliere il non detto, il dettaglio che sfugge. La mia musica è un diario intimo, ma aperto: ogni canzone è una finestra su frammenti di vita che, spero, possano trovare casa anche negli altri. 

E’ appena uscito “P.A.O. Electric session in the wood”. Come è stato concepito questo album, sia a livello creativo che video-grafico?
“Electric session in the wood” è una performance live di quattro brani, registrati in modo crudo e diretto nel cuore di un bosco. È stato un ritorno alla verità, alla musica suonata senza filtri o artifici, come un dialogo con la natura. La scelta del bosco non è casuale: è un luogo che respira e custodisce il tempo, un testimone silenzioso dell’eternità e della fragilità della vita. A livello visivo, abbiamo deciso di girare in piano-sequenza, senza montaggio, per sottolineare l’autenticità del momento. Come scrive Byung-Chul Han, viviamo in un mondo che ci spinge a ottimizzare ogni gesto; qui, invece, c’è il respiro dell’imperfezione, della musica che vive anche nel suo errore.

Il singolo estratto con video di lancio è “Statica danza”. Di che tematica vuoi parlare in questo brano e quale vorresti fosse il feedback dell’ascoltatore?
Come scriveva Proust: “Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi.” “Statica danza” è un viaggio nella dualità del nostro tempo: il movimento incessante e l’apparente immobilità. La donna ferma sotto la pioggia che danza è un’immagine quasi onirica, ma anche profondamente reale. Richiama la figura della donna-angelo dantesca, capace di fermare il tempo con la sua presenza, elevando il cuore. Al tempo stesso, la canzone narra di mancanze e desideri inappagati. È un’ode a ciò che sfugge, al bisogno di autenticità in un secolo dove l’equilibrio tra forma e sostanza sembra spezzato. Viviamo in un mondo che privilegia l’apparenza, dove “ciò che appare” sembra essere più importante di ciò che è. 

Per la scrittura di tutti i tuoi pezzi prendi ispirazione in che modo?
L’ispirazione è un vento sottile che arriva nei momenti più impensati. A volte è una parola sussurrata, altre volte un’immagine che si fissa nella mente, come una vecchia fotografia. Amo osservare le persone, i piccoli gesti quotidiani, e spesso trovo storie più nei silenzi che nelle parole. Mi lascio guidare dai miei ascolti e dalle letture: da Dylan a De André, da Fante a Tabucchi, da Pavese a Bukowski. Scrivere è un atto di ascolto, un dialogo continuo tra la memoria e il presente, tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere.

Ci parli un attimo dei precedenti album e in cosa si differenziano da “Electric session in the wood”?
I miei album precedenti nascono da una ricerca personale e sonora: “A Sud di nessun Nord” era un viaggio tra sogni e radici, mentre “Se ci credi” racconta storie di resilienza e speranza. “Electric session in the wood”, invece, è un ritorno all’essenziale, alla musica che respira senza artifici. Le quattro canzoni live registrate nel bosco fanno parte del nuovo album in uscita in primavera, prodotto da Filippo Gatti. Questo progetto si nutre di semplicità, di un’urgenza emotiva che vuole riportare al centro la musica vera, suonata, senza autotune, come un vecchio vinile che scricchiola: imperfetto, ma autentico.

Dove registri abitualmente i tuoi brani? Ti avvali di qualche musicista in studio o live e se puoi presentarceli.
Amo registrare in luoghi che abbiano un’anima, spazi che respirano con la musica e amplificano l’autenticità di ogni nota. “Electric session in the wood” ne è un esempio vivido: un bosco che, con i suoi silenzi e i suoi suoni, è diventato il nostro palco. Per il nuovo album, invece, ho scelto un rifugio immerso nella natura della Maremma Toscana, uno studio che sembra scolpito fuori dal tempo, dove il silenzio diventa parte integrante della creazione. Questo sarà un disco molto diverso da tutto ciò che ho fatto in passato. Sentivo il bisogno di cambiare, di percorrere strade nuove, con tutti i rischi che questo comporta. È una scelta che nasce dalla voglia di non fermarmi, di cercare sempre un significato più profondo nella musica. La produzione artistica è stata affidata a Filippo Gatti, che con la sua visione ha saputo guidare questo cambiamento con sensibilità e intuizione. Alla batteria, Gianfilippo Invincibile, la cui energia ha dato un ritmo pulsante e viscerale ai brani. E per le riprese audio, Griffin Alan Rodriguez, ingegnere del suono di Chicago e bassista della band Beirut, che ha catturato ogni sfumatura con maestria, aggiungendo profondità e carattere al suono. Ogni canzone è un pezzo di questo puzzle che unisce verità, emozione e ricerca. Questo disco è una danza fragile tra il reale e il desiderato, un passo verso chi sa riconoscersi nei silenzi e nelle ombre. È un atto di coraggio, un rifiuto dell’apatia: non vuole piacere, ma scuotere, ferire, abbracciare. Perché la musica vera è sempre un invito a fermarsi, a guardare dentro, dove risiedono le risposte che il frastuono del mondo ci nasconde. Non vedo l’ora di portare queste canzoni dal vivo, dove possono davvero respirare e incontrare le persone. Con loro la musica diventa una conversazione, un racconto a più voci.

C’è qualche artista o band di oggi che ammiri ed eventualmente può avere influito nella tua carriera artistica?
Ho un profondo rispetto per chi crea musica che dura nel tempo. Nick Cave, Bob Dylan, Bruce Springsteen, Lou Reed, sono fari che illuminano il mio percorso, così come i Radiohead, capaci di innovare senza mai perdere profondità. In Italia, Battiato, De André, Conte restano riferimenti imprescindibili: poeti in musica, capaci di trasformare una melodia in un universo.

Nel tuo futuro cosa hai in programma? Più spazio per i live o preparazione di nuovo materiale in sala d’incisione?
Il futuro è un viaggio aperto. Amo i live perché sono un dialogo diretto con il pubblico, un momento irripetibile dove la musica diventa esperienza condivisa. Al tempo stesso, sto lavorando al nuovo album, che uscirà in primavera. È un progetto che unisce la ricerca musicale e un messaggio: tornare all’essenza, alla verità di ciò che siamo, senza compromessi. Anche perché, come scrive Orwell: «In un’epoca di inganni universali, dire la verità è un atto rivoluzionario».

Grazie mille per il tempo dedicato. Buona musica e buon tutto!
Grazie a te e a Tuttorock.

FILIPPO MAZZINI

Band:
Antonio Pignatiello

www.antoniopignatiello.it
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