ALEX HENRY FOSTER – Intervista al cantante e attivista canadese
In occasione del suo primo bellissimo album solista “Windows in the Sky”, in programma per venerdì 1° maggio, ho intervistato il cantante e attivista canadese Alex Henry Foster, frontman della band Your Favorite Enemies. Ne è nata un’intensa chiacchierata.
Ciao Alex, benvenuto sulle pagine di Tuttorock, prima di tutto, come stai?
Grazie mille per il tuo generoso benvenuto Marco, è un vero onore per me essere invitato da Tuttorock, soprattutto in questo momento di profonda confusione e insicurezza. Considero il tuo invito un vero privilegio, che è anche molto speciale, non solo perché è la prima volta che comunico con un media italiano, ma anche perché ho molti cari e preziosi amici italiani che so che saranno molto contenti di questo.
Pensi che questa pandemia potrà essere utile all’uomo per capire che non possiamo più continuare a distruggere il nostro pianeta?
Oh, amico mio, questa è la domanda a cui dovremo rispondere una volta che la situazione sarà sotto controllo, penso. Per me, è sempre una questione di impegno personale… Vogliamo davvero cambiare il nostro modo di fare per vedere cambiamenti radicali? Siamo pronti a trasformare i nostri slogan virtuosi in soluzioni e azioni durature dopo le nostre parate da attivisti? Sarà sufficiente per fare davvero la differenza se solo una frazione del pianeta cambierà il suo stile di vita? Queste sono le domande che dobbiamo porci… e tutti dobbiamo essere onesti l’uno verso l’altro.
Ecco perché, per me, come umanista e feroce sostenitore dei diritti umani, spero che, una volta che questa terribile situazione di pandemia sarà riassorbita, non solo avremo preso coscienza di quanto sia fragile la vita, ma andremo oltre la nostra solita retorica e il nostro mantra per affrontare questioni reali come le disuguaglianze sociali ed economiche, con la speranza che un’oscena porzione della popolazione in condizioni di grave povertà, senza abitazioni adeguate, possa avere accesso anche all’assistenza medica e all’educazione più elementari, pensando anche a coloro che vivono in condizioni terribili e in condizioni di schiavi… a tutte quelle persone che vivono senza il diritto fondamentale di esistere come nient’altro che anonime pile che fanno andare avanti la produzione delle nostre cazzate.
Ecco perché credo sia stato difficile per me abbracciare pienamente il recente messaggio ambientale. Non possiamo fare astrazione degli umani, o dovrei dire della realtà disumana che dobbiamo affrontare in via prioritaria. Dopo aver girato diverse volte in tutta la Cina e aver vissuto in Africa, ho notato che le persone vogliono mangiare e bere acqua pulita prima di pensare ad alberi e bottiglie di plastica. E anche se capisco l’importanza delle questioni ambientali, penso che falliremo come umani nel momento in cui saremo più preoccupati per qualsiasi altra cosa, non importa quanto possa essere bella o sorprendente, rispetto alla disuguaglianza e all’assenza dei diritti umani…
Come puoi sentire, il mio cuore è davvero con coloro che lottano per liberarsi dalla tirannia e dall’oppressione, ma principalmente con quelli che non sanno nemmeno cosa significhi sognare né cosa significhi essere fiduciosi. Tutti abbiamo delle preoccupazioni e quelle sono le mie. Quindi vorrei che dopo questo orribile episodio della nostra vita, l’umanità diventasse un po’ più umana.
Il tuo primo bellissimo album solista, “Windows in the Sky”, uscirà il 1° maggio, cosa significa questo titolo per te?
La visione di quel titolo ha continuato ad evolversi da quando ho deciso di usarlo come titolo del mio album. Originariamente ho scritto “Windows in the Sky” sulla copertina di un quaderno che stava per essere torturato all’infinito con tristezza, dispiacere, rimpianti, poesie, preghiere e lettere, per mesi e poi per i due anni che ho trascorso nella città di Tangeri, in Marocco, dove le parole e i suoni che lentamente sono sbocciati dal mio cuore e dalla mia anima alla fine sono emersi come canzoni. Ora, mi piace vederlo come un invito speranzoso a tendere la mano, a vedere attraverso l’invisibile, a ridefinire la natura echeggiante solitaria delle nostre disperazioni, un riflesso della libertà emancipativa che supera ogni tipo di realtà disorientante o finzione disillusiva .
Sei il cantante della band canadese Your Favorite Enemies, perché hai deciso di registrare un album solista?
Vorrei poter dire che ho deliberatamente deciso di fare un album solista, ma sarebbe troppo lontano dalla verità. Diciamo solo che stavo cercando di trovare un modo per dare un senso alla mia vita più che scrivere parole e cercare nuovi rumori per trasformarli in canzoni. All’epoca ero un disastro emotivamente parlando, ma un disastro altamente funzionale. Continuavo a negare il fatto che fossi completamente esaurito e probabilmente avevo a che fare con una grave depressione. Continuavo a negare tutto saltando da un progetto della mia band a un altro, motivo per cui ho finito per esiliarmi a Tangeri. Una volta laggiù mi resi conto di quanto mi fossi perso e di quanto la realtà mi avesse colpito molto duramente, probabilmente molto più di quanto io avessi capito fino a quel momento. Immagino che questo sia ciò che spiega perché dal fare un viaggio di 2 mesi io sia finito col vivere a Tangeri per ben 2 anni. Sono stato in grado di affrontare alcune questioni intime e personali come la morte di mio padre, motivi che mi hanno portato al disagio emotivo e alla necessità di apportare cambiamenti radicali agli elementi tossici della nostra squadra una volta tornato a casa. L’album è venuto più tardi, organicamente, come se fossi guarito da tutto, in un certo senso.
E come hanno accolto la tua scelta gli altri ragazzi della band?
Non credo che fossero sorpresi, nel senso che era ovvio per loro che io non mi sentissi bene quando sono partito per Tangeri. Il fatto che io abbia continuato a posticipare la mia data di ritorno lo ha reso ancora più ovvio. Ma poiché siamo innanzitutto come fratelli e sorelle, erano tutti più preoccupati della mia salute che di ogni altra cosa.
Abbiamo riacceso i motori circa 18 mesi dopo il mio arrivo là, quando i membri della band sono venuti a trovarmi a Tangeri. È diventato un vero punto determinante e fondamentale nella nostra relazione, hanno finito per rimanere 6 mesi invece dei 7 giorni previsti, il che racconta molto della forte connessione che abbiamo tra di noi.
Abbiamo parlato del futuro dei Your Favorite Enemies e, avendo io scritto molto nel corso del mio isolamento, Ben, il bassista della band, nonchè il mio complice creativo, mi ha invitato a prendere in considerazione la registrazione di alcune delle mie idee e dei miei testi, affinché io esprimessi quei sentimenti intimi per fare pace con loro. Tutti erano straordinariamente favorevoli all’idea di vedermi registrare un album solista, quindi la cosa si è svolta in modo piuttosto organico. I membri della band hanno contribuito in diversi modi anche all’album.
Il Marocco, perchè hai scelto quel Paese? Dove vivi adesso?
Sì, ho vissuto per circa 2 anni a Tangeri. Inizialmente dovevo andare a Barcellona, dove ho molti amici e ho avuto la gioia di andare diverse volte. Ma per qualche motivo che non posso davvero spiegare, ho deciso di annullare tutto; volo, appartamento e tutto il resto, per andare a Tangeri istintivamente. I miei amici erano preoccupati perché non conoscevo nessuno a Tangeri e avevo trascorso 2-3 giorni in quella città solo quando abbiamo fatto un viaggio di 3 settimane in Marocco. Non avevo legami laggiù, niente, solo storie della Beat Generation che avevano vissuto lì negli anni ’60, come i pittori che mi piacciono e diversi altri musicisti e artisti. Volevo solo perdermi in un posto dove potevo ritrovare la strada nella luce dopo aver affrontato le ragioni della mia oscurità perenne. Tangeri sembrava essere un luogo dove potevo non essere nessuno, solo un’altra faccia tra la folla.
I membri della band pensarono che sarei tornato dopo una settimana o due al massimo. Ma contro ogni previsione, ho praticamente iniziato una nuova vita laggiù. Ho scoperto una città così affascinante e stimolante. Mi sono sentito a casa a Tangeri molto rapidamente, per tanti motivi diversi. Le persone sono state l’elemento principale per me, il secondo è stato il fatto che il tempo ha un’essenza diversa laggiù. Non ha il tipo di natura implacabile in cui viviamo tutti in Nord America. La città ha un’atmosfera propria, un suo spirito, in un certo senso. Sarei potuto rimanere lì se il mio viaggio non mi avesse chiamato altrove.
Per ora, la mia casa è nell’altopiano della Virginia in America, tra le montagne e la lussureggiante foresta, vicino a laghi e parchi. È qui che vivo con i miei 2 cuccioli Leonard e MacKaye da quando sono tornato da Tangeri, quando non sono in viaggio o nel mio studio di registrazione (dove sono ora), a circa 60 minuti da Montreal.
Hai scritto prima i testi o la musica?
I testi arrivano quasi sempre per primi. In realtà, è il titolo della canzone che viene prima, quindi i testi, seguiti dalla musica. Di solito faccio impazzire i miei amici con il mio fascino per le parole quando sono alla ricerca di rumori e suoni. E poiché il modo in cui lavoro è molto organico e istintivo, le canzoni si evolvono durante l’intero processo di scrittura prima di essere registrate. Continuano anche a cambiare da un concerto all’altro. Credo che l’arte onesta si evolva sempre oltre i suoi creatori e, quando lo fa, quell’opera d’arte è libera da me e diventa quindi eterna.
Il disco inizia con “The Pain That Bonds (The Beginning Is the End)” e termina con “The Love That Moves (The End Is Beginning)”, volevi giocare un po’ con le parole inizio e fine, cosa significano per te?
Dato che l’album parla di mio padre e della sua scomparsa, ho voluto esplorare i temi dell’impermanenza e dell’eternità. Mio padre ha visto la sua vita totalmente trasformata diversi decenni prima della sua morte, quando divenne un cristiano rinato. E fino all’ultimo respiro, era magnificamente in pace con la sua morte imminente. Che tu possa essere un credente o no, ho pensato che fosse qualcosa di incredibilmente puro e magnificamente autentico, anche se una tale onesta misura di fede mi ha lasciato perplesso.
L’inizio è il momento della nostra iniziale coscienza esistenziale, che spesso emerge la prima volta che sentiamo qualcosa che fa male, come se il dolore trascendesse in qualche modo la nozione di mortalità nel nostro spirito, mentre trova un amore così vero da trasformarci completamente, che è ciò che ci rende liberi dalla morte stessa… Questo è quello che ho scoperto mentre mi immergevo nella vita di mio padre e il profondo impatto che la sua morte ha avuto su di me…
“Winter is coming”, “Snowflakes in July”, “Summertime Departures”, preferisci l’inverno o l’estate, e perché?
È vero che le stagioni e la loro essenza hanno avuto un posto importante nell’album. Le immagini si basano sui momenti che circondano la morte di mio padre all’inizio di luglio, in una notte sorprendentemente fredda per quel periodo. Ricordo che mia madre diceva: “Sembra che l’inverno stia arrivando”, mentre il vento soffiava nell’aria minuscoli pezzetti di fiori lilla, reminescenza del bellissimo spettacolo dei primissimi fiocchi di neve che di solito compaiono alla fine di novembre a Montreal. Ho semplicemente lasciato che quelle forti immagini poetiche mi catturassero in quel momento molto angosciante e disorientante.
E, per rispondere alla tua domanda, direi che preferisco l’inizio e la fine dell’estate, per la luce, i fiori, il profumo di nuove possibilità e tutti i colori abbaglianti che brillano dagli occhi delle persone dopo essere “sopravvissuti” ad un altro infinito inverno canadese, che è anche uno dei motivi per cui mi sono trasferito in Virginia, uno stato dve esistono 3 stagioni in cui la neve è sempre una benedizione quando arriva lentamente e quasi immediatamente scompare…!
Anche se mi piace l’intero disco, forse “Shadows of Our Evening Tides” è il mio brano preferito, come è nato?
Il testo è nato da un saggio che ho scritto poco dopo il mio arrivo a Tangeri. Si tratta della scelta ineluttabile che dobbiamo continuare a perseguire una forma genuina e appagante di felicità superiore irraggiungibile oppure diventare la proiezione speculare di un’euforia creata da sé. È stata la mia riflessione sulla città in un certo senso… è facile fingere di essere qualcun altro mentre l’invito è semplicemente quello di essere te stesso mentre cerchi un posto che potresti già avere o non hai capito bene il significato di quando lo lasci. Ero un po’ distante quando l’ho scritto inizialmente, come osservatore, ma con il passare del tempo sarebbe diventato sempre più personale e intimo. Ho visto il mio riflesso negli sconosciuti che stavo guardando. Il testo si è evoluto fino a quando ho registrato l’album in una piccola stanza della mia casa in Virginia. La musica è cresciuta fino all’ultimo momento. L’aggiunta di una parte dell’affascinante poesia “Song” di Allen Ginsberg è stata una decisione dell’ultimo minuto, che credo abbia catturato la natura delle emozioni presenti mentre incanalava i loro fragili paradossi.
Sono felice che ti piaccia. È una canzone speciale. Suono quella canzone dal vivo solo quando sento che c’è un momento singolare in comune con il pubblico, che di solito porta a una versione molto più lunga della canzone originale.
Raccontami un po’ della canzone “The Hunter (By the Seaside Window)”, presente sul disco nella versione lunga quasi 15 minuti. Come è nata la canzone e chi è “The Hunter”?
La canzone ha preso vita durante le prove con la mia band. Inizialmente era una versione di 30 minuti, ma ho deciso di modificare le parti in cui pensavo che si stesse dilungando troppo musicalmente, dopo che gli straordinari musicisti che mi sostenevano sono diventati troppo autocoscienti del momento in cui eravamo tutti. È molto importante per me che tutto rimanga organico e totalmente privo di ambizioni. Questa è la natura di ciò che mi interessa artisticamente adesso; un momento, non uno spettacolo. La linea è sempre molto sfocata, ma se sei onesto con te stesso, sai quando non si tratta più della connessione e dello spirito della canzone, ma delle tue parti e della loro esecuzione. Per me, questo è del tutto dannoso per la canzone, per quanto buono o geniale potremmo pensare che quelle parti lo siano.
I testi fanno parte di una serie di cose che ho scritto quando mi sono trasferito per la prima volta a casa mia in Virginia. Gli elementi simbolici sono numerosi, ma sono fondamentalmente i più onesti che sono stato in grado di scrivere riguardo alle mie lotte per tutta la vita con la depressione e l’ansia, con la negazione e l’accettazione, con il lasciar andare e resistere. Ecco perché, per me, il cacciatore sta alla preda tanto quanto la preda sta al cacciatore, poiché entrambi sono seguiti dalle ombre della loro stessa disperazione e dalle proprie disillusioni, poiché entrambi cercano di sfuggire alla realtà e catturare miraggi, tanto quanto entrambi sono esposti alla natura della vita e della morte che tutti portiamo dentro di noi.
Volevo sentire il conflitto fondamentale tra negazione e ammissione, sia nella musica che nei testi, senza fingere di avere tutte le risposte o di aver capito tutto. Ecco perché per me era essenziale che la canzone rimanesse totalmente organica, quindi puoi vedere le tracce della vita seguendo alcuni echi lunghi a occhi aperti, riflessi quasi compensati di immagini simili che contrappongono la disperazione affettiva e una riluttanza ad abitare nelle loro creazioni ingannevoli.
Il cacciatore è la luce, la preda è l’oscurità che cade nelle mani di una nuova mattina. Ti senti lo stesso, ma in qualche modo tutto è diverso. Alzati. Senti il suono di uno sparo di una pistola. È stato un suono… I fantasmi che ti perseguitavano aspettano che inizi l’angoscia quotidiana. È difficile respirare. La lotta contro te stesso è intensa come l’alba. Stai inspirando, stai espirando … e, proprio così, tutto ricomincia. Fino a quando non decidi diversamente …
Posso dire che la tua musica crea un incontro virtuale tra Nick Cave e i Sonic Youth passando per i Radiohead?
Wow, grazie mille Marco. È davvero esaltante questa cosa che dici per me. Ciò che mi piace di quegli artisti rimane la libertà di essere quello che vogliono essere, da una canzone all’altra, da un album all’altro. Le uniche leggi sembrano rimanere quelle di cui abbiamo bisogno per essere emancipate, quelle stesse che si astengono dai motivi per cui continuiamo a nutrire la nostra illusoria autoconservazione. Questa è sempre la vera sfida per me, lasciare che parole e suoni siano il più incontaminati delle mie pretese zelanti…
Ora che il mondo dei concerti è praticamente fermo, come stai organizzando il tour? So che a giugno ti saresti dovuto esibire anche in Italia…
Sono un po’ al buio, proprio come il resto del mondo in questo momento. La mia situazione non è drammatica rispetto a ciò che le persone attualmente affrontano e ciò che dovranno affrontare in un futuro molto prossimo, quindi sono molto grato che io e i miei cari siamo al sicuro e in salute. Ho tanti amici che vorrebbero avere questa fortuna, specialmente in Italia …
Quindi penso che quando ci vedremo, Marco, entro la fine del 2020 o all’inizio del 2021, sapremo non solo quanto siamo fortunati, ma qual è il prezzo che alcuni di noi hanno dovuto pagare per stare insieme. E quel momento comune sarà per sempre singolare, mio caro amico. Soprattutto non vedevo l’ora di vedere come sarebbe stata la mia prima volta in Italia. È solo una questione di tempo e venire da voi. Fino ad allora, continuiamo ad alimentare la vita e la speranza!
Grazie mille per il tuo tempo, vuoi dire qualcosa ai lettori di questa intervista?
Ancora una volta, voglio ringraziare te, Marco, e tutti quelli di Tuttorock, per questo meraviglioso invito a condividere i miei pensieri con tutti voi. E per quanto riguarda il dire qualcos’altro ai lettori, immagino che l’unica cosa che conti davvero in questo momento sia prendersi cura di voi e amare coloro che amate. È l’unica cosa che significa veramente qualcosa a fine giornata, pandemia o no. E se avete perso qualcuno, vorrei offrirvi le mie più sincere condoglianze. Ogni vita è unica e significativa, e so che ci sarà tempo per ognuno di noi di onorare i ricordi di coloro che abbiamo perso e che stiamo perdendo. Condividiamo questa speranza in modo da poter alimentare quel coraggio di cui abbiamo un disperato bisogno in tempi come questi, miei cari amici. Prometto che ci vedremo molto presto!
MARCO PRITONI
** ENGLISH VERSION **
On the occasion of his amazing first solo album “Windows in the Sky”, scheduled for Friday 1 May, I interviewed the Canadian singer and activist Alex Henry Foster, frontman of the band Your Favorite Enemies. An intense chat was born.
Hi Alex, welcome on the pages of Tuttorock, first of all, how are you?
Thank you so much for your generous welcome, Marco, it’s a real honor for me to be invited to share on Tuttorock, especially in this time of profound confusion and insecurity. I consider your invitation a true privilege, which is also very special, not only since it’s the very first time for me to commune on an Italian media outlet, but also because I have quite a lot of dear and precious Italian friends whom I know will be very happy about it.
Do you think this pandemic can be useful to man to understand that we can no longer continue to destroy our planet?
Oh, my friend, that’s the question we’ll all have to answer once the situation will be under control, I think. For me, it’s always a matter of personal engagement… Do we really want to change our ways to see radical changes taking place? Are we ready to transform our virtuous slogans into durable solutions and actions following our activist parade? Will it be enough if only a fraction of the planet changes its lifestyle to make a real difference? Those are the questions we need to ask ourselves… and we all need to be honest towards each other.
That’s why, for me, as a humanist and a fierce human rights advocate, I hope that after this terrible pandemic situation is resorbed, we will not only have taken conscience of how fragile life is, but that we will go beyond our usual rhetoric and mantras to address real issues such as the social and economic inequalities that an obscene portion of the population under severe poverty, without proper homes, access to even the most basic medical assistance and education, as much as those who live in terrible and abject modern-slave conditions… All those people who live without the fundamental right to exist as something else than an anonymous battery keeping the production of our bullshit needs going.
That’s why I guess it’s been difficult for me to fully embrace the recent environmental message. We can’t make abstraction of the humans – or should I say the inhuman reality that we need to address in priority. After touring several times all over China and living in Africa, I’ve noticed that people want to eat and drink clear water before thinking about trees and plastic bottles. And even if I understand the importance of the environmental issues, I think we fail as humans the moment we are more concerned about anything else, no matter how good or amazing it might be, than inequality and the absence of human rights…
As you can see, my heart is really with those who fight to free themselves from tyranny and oppression, but mainly with those who don’t even know what it means to dream nor what being hopeful means. We all have preoccupations and those are mine. So I do wish that after this horrific episode of our lives, humanity will become a little more humane.
Your first amazing solo album, “Windows in the Sky” will be released on May 1st, what does this title mean to you?
The vision of that title kept on evolving ever since I decided to use it as my album title. I originally wrote “Windows in the Sky” on the cover of a notebook about to be endlessly tortured with sadness, sorrows, regrets, poems, prayers and letters, for months and then for the two years I finally spent in the city of Tangier, where the words and sounds that slowly bloomed from my heart and soul eventually emerged as songs. Now, I like to see it as an hopeful invitation to reach out, to see through the invisible, to redefine the lone echoing nature of our desperations, a reflection of the emancipative freedom that stands beyond any kind of disorienting reality or disillusive make-believe.
You are the singer of the Canadian band Your Favorite Enemies, why did you decide to record a solo album?
I wish I could say that I purposely decided to do a solo album, but it would be too far from the truth. Let’s just say that I was trying to find a way to make sense of my life more than writing words and looking for new noises to turn them into songs. I was an emotional mess at the time, but a highly functional one. I kept denying the fact that I was totally burned out and probably dealing with severe depression. I just kept denying it all by jumping from a YFE project to another, which is the reason I ended up exiling myself to Tangier. It’s once over there that I would realize just how lost I was and that undeniable reality hit me very hard, probably way harder than I understood at the time. I guess this is what explains why I went from a 2-month trip to living in Tangier for 2 years. I have been able to address some intimate and personal issues such as my father’s passing, the reasons that led to my emotional distress and the need to make radical changes with toxic elements in our team back home. The album came later, organically, as I was healing from it all, in a way.
And how did the other guys in the band welcome your choice?
I don’t think they were surprised in the sense that it was obvious for them that I wasn’t feeling well when I left for Tangier. The fact that I kept on pushing back my return date made it even more obvious. But since we are first and foremost brothers and sisters, they were all more concerned about my health than anything else.
We rekindled about 18 months after I had initially arrived there when the band members came to visit me in Tangier. It would become a real defining and pivotal point in our relationship. They ended up staying 6 months instead of the planned 7 days, which also tells a lot about the strong connection we have between each other.
We talked about the future of Your Favorite Enemies and since I had written a lot over the course of my isolation, Ben, YFE’s bassist and my creative accomplice, invited me to consider recording some of my ideas and lyrics, for me to express those intimate feelings and to make peace with them. Everyone was extraordinarily supportive about the idea of seeing me record a solo album, so it took place pretty organically. The band members contributed in different ways to the album as well.
Morocco, why did you choose that land? Where do you live now?
Yes, I lived for about 2 years in Tangier. I was initially supposed to go to Barcelona where I have many friends and had the joy to go several times before. But for some reason I can’t really explain to this day, I decided to cancel everything; flight, apartment and all the rest, in order to go to Tangier on an instinctive hunch. It worried my friends because I didn’t know anyone in Tangier and had only spent 2-3 days in the city when we did a 3-week trip across Morocco. I had no connections over there, nothing, only stories from the Beat Generation who had lived there in the ’60s, as much as painters that I like and different other musicians and artists. I just wanted to lose myself in a place where I could find my way back into the light after addressing the reasons for my everlasting darkness. Tangier seemed to be where I could be no one, just another face in the crowd.
The band members thought I would come back after a week or 2 at best. But against all odds, I basically started a new life over there. I discovered such a fascinating and inspiring city. I felt home in Tangier very rapidly, for so many different reasons. The people are the main element for me, the second one the fact that time has a different essence over there. It doesn’t have the type of implacable nature we all live under in North America. The city has a vibe of its own, its own spirit, in a way. I could have stayed there if my journey hadn’t called me elsewhere.
As for now, home is the highlands of Virginia in America, in the mountains and the luxuriant forest, close to lakes and parks. This is where I live with my 2 pups Leonard and MacKaye ever since I have moved back from Tangier. Well, when I’m not on the road or at my recording studio (where I am now), located about 60 minutes away from Montreal.
Have you written the lyrics or the music before?
The lyrics almost always come first. Actually, it’s the song title that comes first, and then the lyrics, followed by the music. I usually make my friends crazy with my fascination for words when I’m looking for bits of noises and sounds. And since the way I work is very organic and instinctive, the songs evolve throughout the whole writing process before they are recorded. They also keep changing from a concert to another. I believe honest art always evolves beyond its creators, and when it does, that piece of art is free from me and therefore eternal.
The disc starts with “The Pain That Bonds (The Beginning Is the End)” and ends with “The Love That Moves (The End Is Beginning)”, you wanted to play a bit with the words beginning and end, what they mean to you?
Since the album is about my father and his passing, I wanted to explore the themes of impermanence and everlastingness. My father saw his life totally transformed several decades before his death when he became a born-again Christian. And up to his very last breath, he was magnificently at peace with his imminent death. May you be a believer or not, I thought it was something incredibly pure and magnificently authentic, even though such an honest measure of faith puzzled me.
The beginning is the moment of our initial existential consciousness, that often emerges the first time we feel something that hurts, as if pain transcended the notion of mortality in our spirit somehow, while finding a love so true that it transforms us completely, which is what makes us free from death itself… That’s what I found as I immersed myself in my father’s life and the profound impact his passing had on me…
“Winter is coming”, “Snowflakes in July”, “Summertime Departures”, do you prefer winter or summer, and why?
It’s true that the seasons and their evolving essence had a large place in the album. The imagery is based on the moments surrounding my father’s passing in early July, on a night that was surprisingly cold for the time. I remember my mother saying “It feels like winter is coming in” while the wind was blowing tiny little pieces of lilac flowers in the air, reminiscence of the beautiful spectacle of the very first snowflakes usually appearing in late November in Montreal. I simply let those strong poetic images capture me in that very distressing and disorienting moment.
And to answer the question, I would say that I prefer early and late summer, for the light, the flowers, the perfume of new possibilities and all the dazzling colors glowing from people’s eyes after “surviving” another endless Canadian winter – which is also one of the reasons why I moved to Virginia, a 3-season state where snow is always a blessing when it slowly comes and almost immediately disappears…!
Even if I like the whole record, maybe “Shadows of Our Evening Tides” is my favorite track, how was it born?
The lyrics originated from an essay I wrote shortly after I arrived in Tangier. It’s about the ineluctable choice we have to either keep on pursuing a genuine and fulfilling form of unreachable higher happiness or to become the mirroring projection of a self-created elation. It was my reflection on the city in a way… How easy it is to pretend we are someone else while the invitation is simply about being yourself as you look for a place you may already have or didn’t quite understand the meaning of when you left. I was a little distant when I initially wrote it, as an observer, but it would become more and more personal and intimate as time passed. I saw my reflection in the strangers I was looking at. The lyrics evolved until I recorded the album in a tiny room of my home in Virginia. The music grew until that very last moment as well. Adding a part of the mesmerizing poem “Song” by Allen Ginsberg was a very last-minute decision, which I believe captured the nature of the emotions in place while channeling their fragile paradoxes.
I’m glad you like it. It’s a special song. I only play that song live when I feel there’s a singular moment being communed with the audience, which usually leads to a way longer version of the original song.
Tell me a little about the song “The Hunter (By the Seaside Window)”, present on the disc in the almost 15 minutes long version. How was the song born and who is “The Hunter”?
The song came to life in a rehearsal with my band. It was a 30-minute version at first, but I decided to edit the parts where I felt it was becoming too musically “organized” after the tremendous musicians supporting me became too self-conscious of the moment we were all in. It’s very important for me that everything stays organic and totally free of ambitions. That’s the nature of what I’m interested in artistically now; a moment, not a performance. The line is always very blurry, but if you are honest with yourself, you know when it’s no longer about the connection and the spirit of the song, but about your parts and their execution. For me, this is totally detrimental to the song, however good or brilliant we might think those parts are.
The lyrics are part of a series of texts that I wrote when I first moved to my home in Virginia. The symbolistic elements are numerous but are fundamentally the most honest I’ve been able to write regarding my lifelong struggles with depression and anxiety, with denial and acceptance, with letting go and holding on. That’s why, for me, the hunter is the prey – as much as the prey stands as the hunter – as both are followed by the shadows of their own desperation and disillusions, as both are trying to escape reality and capture mirages, as much as both are being exposed to the nature of life and death we all bear within ourselves.
I wanted to feel the fundamental conflict between denial and admission, both in the music and the lyrics, without pretending that I have all the answers or had figured everything out. That’s why it was essential for me that the song remains totally organic, so you can see the traces of life following some long daydreaming echoes, almost offset reflections of similar images juxtaposing affective desperation, and an unwillingness to dwell into their own deceptive creations.
The hunter is the light, the prey is the darkness falling in the hands of a new morning. You feel the same, but everything is different somehow. You stand up. You hear the sound of a gun that has been fired. Was it even a sound… The ghosts that kept on haunting you are waiting outside for your daily anguish to begin. It’s hard to breathe. The fight against yourself is one that is as bright as the dawn. You’re breathing in, you’re breathing out… and – just like that – everything starts once again. Until you decide otherwise…
Can I say that your music creates a virtual meeting between Nick Cave with Sonic Youth passing through Radiohead?
Wow, thank you so much, Marco. It’s really humbling for me, to be honest. What I like about those artists remains the freedom to be whatever they want to be, from a song to another, an album to another. The only laws seem to remain the ones we need to be emancipated from, those very same that refrain the reasons we keep on feeding our illusionary self-preservation. That’s always the real challenge to me, to let words and sounds be as untainted by my zealous pretensions as possible…
Now that the world of concerts is practically stopped, how are you organizing the tour? I know that in June you should have come to Italy too.
I’m a little bit in the dark, just like the rest of the world right now. My situation is undramatic compared to what people presently deal with and what they will have to face in the very near future, so I remain very thankful for being healthy and for my loved ones to be safe as well. I have so many friends who would love to have that blessing, especially in Italy…
So I think that when we’ll see each other, Marco, may it be by late 2020 or early 2021, we will know not only how lucky we are, but what is the price some of us had to pay for us to get together. And that communal moment will be forever singular, my dear friend. Especially that I was quite enthusiastically looking forward to what would have been my very first time in Italy. It’s only a matter of time and I promise to make it count. Until then, let’s keep feeding life and hope!
Thank you very much for your time, do you want to say something to the readers of this interview?
Again, I want to thank you, Marco and everyone at Tuttorock, for that wonderful invitation to share with you all. And as for telling something else to the readers, I guess the only thing that truly matters right now is to take care of yourself and to cherish those you love. It’s the only thing that truly means something at the end of the day, pandemic or not. And if you have lost someone, I would like to offer you my most sincere condolences. Every life is unique and significant, and I know there will be time for each and every one of us to honor the memories of those we have lost and already miss terribly. Let’s share that hope so we can feed the courage we most desperately need in times like these, my dear friends. I promise we’ll see each other really soon!
MARCO PRITONI
Sono nato ad Imola nel 1979, la musica ha iniziato a far parte della mia vita da subito, grazie ai miei genitori che ascoltavano veramente di tutto. Appassionato anche di sport (da spettatore, non da praticante), suono il piano, il basso e la chitarra, scrivo report e recensioni e faccio interviste ad artisti italiani ed internazionali per Tuttorock per cui ho iniziato a collaborare grazie ad un incontro fortuito con Maurizio Donini durante un concerto.