AFRICA UNITE – Bunna presenta il nuovo album “Non è fortuna”
In occasione dell’uscita di “Non è Fortuna” (distribuzione Believe), nuovo album di inediti, ho avuto il piacere di intervistare Bunna, voce degli Africa Unite, storica band Dub Rocksteady Reggae che celebra i 40+1 anni di attività.
Ciao Bunna, bentornato su Tuttorock, parliamo subito di questo nuovo album degli Africa Unite, “Non è fortuna”, uscito l’11 maggio, un disco che doveva uscire nel 2021, per i vostri 40 anni di carriera, appunto, che coincidono con i 40 anni dalla scomparsa di Bob Marley.
Ciao Marco, grazie! In questo periodo brutto per tutti abbiamo avuto comunque più tempo per ascoltare le cose, correggere gli errori che, certe volte, a causa della fretta nel dover registrare un album restano. Abbiamo fatto tutto in maniera più rilassata e oculata, siamo stati più attenti ai dettagli e siamo contenti del risultato, anche i feedback che ci arrivano sono ottimi.
Dopo la contaminazione sonora con gli Architorti siete ritornati al reggae che ha contraddistinto tutta la vostra carriera, anzi, se devo dirla tutta, considero questo il disco più reggae che abbiate mai fatto.
Sono d’accordo con te, è un disco che potrebbe essere un sequel di Vibra o Rootz, però anch’io lo percepisco come un disco molto più reggae degli altri, come ben sai gli Africa sono andati molto lontani dall’ispirazione originaria del reggae e la volta che ci siamo allontanati di più è stata proprio quella con gli Architorti. Il fatto di sconfinare per prenderci libertà che magari i canoni del genere non ti permettono fa parte della mentalità degli Africa Unite, adesso ci sembrava giusto uscire con un disco celebrativo di questi 40 anni di carriera tornando alla sonorità che il nostro pubblico apprezza di più. Non è stata una forzatura, è una roba arrivata in modo naturale e contiene tutti gli elementi che sono stati presenti nel repertorio degli Africa, come ad esempio un suono molto curato nei dettagli. Inoltre ci è sempre sembrato importante usare la musica per spunti di riflessione. È un disco sgorgato in modo spontaneo, l’abbiamo fatto più velocemente degli altri, ci è venuto di getto e forse anche quello ha aiutato le percezioni positive da parte degli ascoltatori.
Non è fortuna si riferisce ai vostri 40 anni di carriera suonando un genere considerato di nicchia, è merito dell’unione tra tenacia e talento a far sì che accadano storie come la vostra?
Sì, il concetto è quello, anche nella copertina, come vedi, c’è un funambolo su una corda, ci sembrava una corrispondenza molto adatta. Il funambolo non cade non perché è fortunato ma perché sa fare quello che fa. Gli Africa sono ancora qui perché, con un passo alla volta, hanno acquisito credibilità, un proprio pubblico e, se non c’è un lavoro dietro, un impegno, la costanza, la fortuna serve a poco. Essendo un gruppo nato all’inizio degli anni 80 non avevamo tanti strumenti per promuoverci e l’unico modo che avevamo era suonare dal vivo, abbiamo suonato ovunque, abbiamo fatto quella che una volta si chiamava gavetta, oggi tutti vogliono sfondare subito e diventare ricchi e il percorso è un altro, quello ad esempio dei talent che ti danno popolarità ma allo stesso tempo un risultato provvisorio. Qualche mese dopo il tuo progetto diventa vecchio, il nostro percorso è stato diverso e i risultati ottenuti sono più solidi nel tempo.
C’è spazio anche per quella bellissima “Shame Down Babylon” uscita su Youtube nel 2013.
Sì, non l’avevamo mai pubblicato, ci sembrava un bel pezzo e abbiamo pensato di metterlo su questo disco. Ha una serie di citazione di Bob Marley che uno può cogliere ed era un peccato non inserirlo in un disco, l’abbiamo sistemato e siamo contenti.
“Forty-One Bullets” collega la New York del 1999 con la Macerata del 2018, 20 anni in cui le cose non sono cambiate purtroppo.
Esatto, quel pezzo è uscito l’anno scorso e tratta di razzismo. Solitamente, con gli Africa, quando troviamo qualche argomento che ci sta a cuore, cerchiamo di dargli visibilità attraverso una canzone. Il nostro primo disco, “Mjekrari”, conteneva un brano, “Apartheid (No More)”, che parlava di Nelson Mandela, è pazzesco come 40 anni dopo siamo ancora qua a parlare di un problema che a volte è molto vicino a noi. La storia purtroppo non insegna e non siamo capaci di trovare delle soluzioni a problemi inammissibili ai giorni nostri. Abbiamo preso spunto dalla storia di questo ragazzo liberiano disarmato e ucciso dai poliziotti nel 1999 a New York, gli hanno scaricato addosso una raffica di colpi. George Floyd poi è stato la punta dell’iceberg e ci sembrava giusto dire la nostra.
Avete presentato il disco così: “Questa volta nel comunicato non trovate la consueta descrizione track by track perché ci piacerebbe molto che i brani venissero ascoltati e descritti da voi”.
Sì, voleva essere un po’ una frase provocatoria. Solitamente, quando spieghi tutti i brani, spesso il giornalista fa copia e incolla e non ascolta i brani, è invece giusto sentire le opinioni sincere di tutti, se una cosa non ti piace è giusto che tu mi dica che non ti piace, abbiamo voluto spingere quindi la gente ad ascoltare il nostro disco e a farsi una propria idea.
“La grande truffa del millennio”, ne usciremo migliori si diceva, invece non sembra proprio così.
Negli anni 90, quando si parlava molto di messaggi sociali, chi dava opinioni e parlava di argomenti anche politici, era qualcuno che ne sapeva, c’era una cultura dietro. Con l’avvento di questa, tra virgolette, democrazia del web, ognuno sembra avere la verità su qualsiasi cosa. Poi si innescano meccanismi per cui alcuni danno opinioni solo per aver letto un post e diventa difficile giostrarsi tra le notizie. Io ho sempre avuto una visione di un certo tipo e mi viene difficile, oggi, prendere una posizione, la grande truffa è che la verità potrebbe nascondersi ovunque ma non la sapremo mai. Una volta anche chi faceva politica, nonostante lo schieramento, aveva una cultura, non ho mai capito la dinamica di questi ultimi anni in cui sono tutti fotografi, modelle, musicisti, politici, sembra che tutto sia alla portata di tutti e questo porta ad una gran confusione.
David Hinds e Brinsley Forde, due ospiti che sono due icone del reggae e ovviamente due personaggi che hanno avuto molta influenza sulla vostra carriera.
Sia Steel Pulse che Aswad sono stati due gruppi molto influenti, sì, dopo la folgorazione per Bob Marley ci siamo addentrati nel mondo reggae britannico che abbiamo preso come modello. Ci siamo detti che sarebbe stato bello ospitarli e quale occasione migliore se non quella del disco celebrativo? Siamo riusciti a contattare David Hinds grazie ad un nostro amico produttore italiano che abita a Londra, Gaudi, che tra l’altro ha fatto la versione dub di “Non è fortuna”. Avendo fatto una versione dub anche dell’ultimo disco degli Steel Pulse siamo riusciti ad avere questo contributo. Poi abbiamo chiamato anche Brinsley Forde. Ci sarebbe stato un altro che purtroppo ha detto che non vuole più continuare, si è ritirato, lui sarebbe stato l’ospite che avrebbe chiuso il cerchio, Linton Kwesi Johnson, quel gran poeta che abbiamo sempre apprezzato tantissimo. Riusciva a fare canzoni anche senza musica ed è stato un altro grande personaggio che ha influenzato gli Africa Unite.
Tonino Carotone e Tito Sherpa invece come mai li avete chiamati a collaborare con voi?
Tito Sherpa è un ragazzo molto giovane che bazzica dalle nostre parti, lo ha scoperto Madaski e pensiamo sia molto talentuoso. Ci piace, quando possiamo, mettere in luce qualche talento sconosciuto che, messo dentro ad un nostro disco, possa arrivare ad un pubblico più grande.
Per Tonino Carotone, invece, Madaski ha avuto l’idea di fare questa versione di “Tuyo”, colonna sonora della serie “Narcos” di Netflix e, una volta finita la base, inizialmente eravamo in dubbio se farla uscire come pezzo strumentale poi, ascoltandola, ci è venuto in mente che la voce di Tonino Carotone sarebbe stata perfetta. Lui lo conosciamo da tempo, l’abbiamo chiamato ed è stato molto contento di partecipare.
Avete già pianificato un tour?
Abbiamo suonato il primo maggio a Sassari, prima dell’uscita del disco, infatti abbiamo presentato solo due brani nuovi. Stiamo lavorando al nuovo tour con l’agenzia BPM e stiamo cercando di completare il calendario estivo, ci auguriamo che sia un’estate piena di concerti. Per ora abbiamo programmato queste date:
il 21 maggio a Bergamo, il 3 giugno a Pordenone, il 24 a Parabiago (Milano), poi il 16 luglio a Pesaro, il 22 luglio a Fermo, il 20 agosto ad Ariano Irpino (Avellino) e il 22 agosto a Benicàssim in Spagna.
Sicuramente se ne aggiungeranno altre.
Grazie mille per il tuo tempo, alla prossima!
Ciao Marco, grazie a te!
MARCO PRITONI
Band:
Bunna: voce, basso
Madaski: programming, pianoforte, voce
Papa Nico: percussioni
Marco “Benz” Gentile: chitarre, violino
Marco “PaKKo” Catania: basso
Matteo “Mammolo” Mammoliti: batteria
Paolo “De Angelo” Parpaglione: sassofono
Luigi “Mr. T-Bone” De Gaspari – trombone
Gabriele “Pera” Peradotto: sassofono
Luigi “Giotto” Napolitano: tromba
Patrick “Kikke” Benifei: cori
www.africaunite.com
www.facebook.com/africauniteofficial
www.instagram.com/africauniteofficial/
www.youtube.com/channel/UCS2tahd9LgtlvwO2_EIbwSQ
Sono nato ad Imola nel 1979, la musica ha iniziato a far parte della mia vita da subito, grazie ai miei genitori che ascoltavano veramente di tutto. Appassionato anche di sport (da spettatore, non da praticante), suono il piano, il basso e la chitarra, scrivo report e recensioni e faccio interviste ad artisti italiani ed internazionali per Tuttorock per cui ho iniziato a collaborare grazie ad un incontro fortuito con Maurizio Donini durante un concerto.