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ADRIANI – Intervista su “LAMPADINA”

ADRIANI – Intervista su “LAMPADINA”

Martino Adriani definisce il suo genere “post-cantautorato”. Ha all’attivo due dischi. I migliori riscontri arrivano con “E’ in arrivo la tempesta” del 2019, che viene presentato con intervista e mini live a Rai Radio1. Segue un tour di oltre cinquanta live, in formazione trio, in giro per l’Italia. Apre concerti a Lo stato sociale, Bugo, Giorgio Canali, Diaframma, Giorgio Poi e instaura un legame, consacrato da collaborazioni in diversi ambiti e contesti, con Cristiano Godano, a cui fa da spalla, fra il 2014/2015, in occasione di numerosi showcase, e con Lorenzo Kruger, regista del videoclip del singolo ‘Bottiglie di Chianti’. “Lampadina” esce dopo “Rospo” -che ha anticipato la release del 2 dicembre dell’album “OCCHI”,

Ciao Martino, come ti sei avvicinato alla musica? Quali sono stati i tuoi primi ascolti?
Ricordo i primissimi approcci con la musica: all’età di 8-9 anni, davanti al televisore, mi ritrovai a guardare con gli occhi curiosi di un bambino l’esibizione dei Quintorigo a Sanremo col brano “Rospo”, e me ne innamorai follemente (forse per “riconoscenza”, più di venti anni dopo, ho voluto dare lo stesso titolo a una mia canzone); qualche tempo dopo recuperai in un vecchio scatolone in soffitta una musicassetta di mio padre: “Mio fratello è figlio unico” di Rino Gaetano, e la divorai per mesi e mesi; in età pre-adolescenziale, ricevetti come regalo dai miei la VHS del Magical Mistery Tour dei Beatles e da mio nonno una chitarra, con cui ho composto la mia prima canzone (che non dedicai alla mia fidanzatina -mi sono riscoperto romantico in tarda età- ma alla mia vicina di casa che non sopportavo). Rock, new wave, noise, garage, industrial sono invece i generi con cui son cresciuto e che tutt’ora prediligo; i Beatles e John Lennon mi hanno aperto un mondo; Nick Cave è l’artista di riferimento; gli Swans (scoperti tardi), i Beitur, Yo la tengo le band che riescono sempre a catturarmi l’anima. Del panorama italiano amo i mostri sacri del cantautorato (Paolo Conte, Giorgio Gaber, Fabrizio De Andrè, Lucio Dalla su tutti), e sono legato visceralmente a tutto ciò che è stato CCCP/CSI/PGR. 

Hai già avuto il piacere di avere varie collaborazioni.
Ho avuto la fortuna di avere a che fare, in ambiti e contesti differenti, con artisti di spicco del panorama italiano. Ho aperto una serie di show-case a Cristiano Godano, qualche anno fa, in giro per l’Italia. L’ho conosciuto nel 2013 al Giovivendo, Festival che organizzo in Cilento, e c’è stata subito una bella empatia fra di noi. Lo stesso è capitato con Giorgio Canali, con Lorenzo Kruger (quest’ultimo ha anche curato la regia del videoclip di Bottiglie di Chianti, brano tratto dal mio secondo disco “E’ in arrivo la tempesta”). Ho un gran bel ricordo anche delle aperture a Bugo e a Lo Stato Sociale. 

Sono usciti alcuni singoli che hanno anticipato l’album.
“L’amore che finisce” è il tema trattato nei due singoli che hanno anticipato “Occhi”, ovvero “Rospo” e “Tanqueray”. Anche “Lampadina”, ultimo singolo estratto, parla di turbolenze amorose. “Rospo” descrive la malinconia di una relazione perduta. L’assenza della “lei amata” si trasforma in tormento, in solitudine, in smarrimento. Il tentativo di recuperare il rapporto e le false speranze regalano angoscia. Non rimane che il rancore verso chi prometteva “l’America” ma poi si è presentata con un improvviso addio. “Tanqueray” racconta le varie fasi di una relazione senza lieto fine, da quella estasiante dell’innamoramento al gelo del distacco. “Lampadina”, invece, è canzone incazzata e beffarda, ed esprime un sentimento di rancore ma nello stesso tempo di rivalsa nei confronti di “lei che pareva essere la ragazza dei sogni ma poi si è rivelata un grande abbaglio.  

Veniamo all’album, come è nato “Occhi”?
Diverse canzoni del disco son state scritte fra il 2018 e il 2019, periodo in cui ero di casa a Roma. Il resto è nato dalle ceneri del Covid, nei due anni successivi (ad eccezione dell’ultimo singolo, “Lampadina”, che ho scritto ed inciso in tempi recentissimi), in Cilento. In questo album mi son lasciato ispirare dalla potenza e dall’elettricità di certi sguardi…magnetici, intriganti, teneri, dolci, cupi, bugiardi. Ci sono gli occhi di tante persone nelle undici tracce: occhi che mi hanno commosso, che mi hanno fatto innamorare, che mi hanno ferito, che mi hanno dato quiete. L’album è stato registrato allo storico Natural Quarthead di Ferarra; la produzione artistica è firmata Manuele Fusaroli (negli anni producer di The Zen Circus, Bugo, Nada, Luca Carboni, Nobraino, Tre Allegri ragazzi morti, Mezzosangue) e Michele Guberti. Ho sempre avuto grande ammirazione per Manuele Fusaroli, guru della musica indipendente degli anni 2000, e speravo di arrivare prima o poi a lui. Grazie a una conoscenza in comune ci siamo sentiti telefonicamente, gli ho girato i provini voce e chitarra dei miei brani, gli son piaciuti e…dopo un paio di mesi ero a Ferrara a registrare l’album! Lì ho conosciuto anche Michele Guberti, pilastro dello studio, anche lui produttore super e persona stupenda. E’ stata una grande esperienza! Non so quanto e se mi abbiano influenzato, ma il periodo in cui l’album è stato registrato i miei ascolti quotidiani erano Deerhunter, Yo la tengo, Devendra Banhart, Grinderman, Swans, Jhon Cage, Paolo Conte, Andrea Laszlo De Simone. 

Come è nato questo disco? A cosa ti sei ispirato?
Mi sono accorto, solo dopo aver ultimato il disco, che gli occhi fossero un elemento ricorrente e, spesso, predominante. In ogni canzone c’è un’ispirazione generata dalla potenza di sguardi che trasmettono sensazioni e stati d’animo differenti e contrapposti: sono teneri o cupi, dolci o bugiardi, arrabbiati o incompresi. Ci sono occhi pieni di bombe di un amico incompreso, occhi che si incontrano, si innamorano e poi si allontanano. Occhi sinceri di una madre, occhi che sorridono ma nascondono affanni. Occhi di un viaggio che passa per Mumbai e per l’Inghilterra, che attraversa l’Italia, da Napoli a Venezia, ma non scorda i paesi di provincia, quelli delle radici. Un viaggio che si conclude nello sguardo della persona amata, la Venere che riesce a regalarci quiete. 

Curiosa la copertina, con un carattere cinese.
L’idea di usare un ideogramma nasce dalla necessità di sottolineare il valore grafico più che fonetico della parola “occhi”. L’ideogramma stilizzato non è altro che un modo per arrivare visivamente e simbolicamente al succo stesso del titolo del disco che diventa così afferrabile e identificabile immediatamente, nella nostra memoria fotografica. Il suono “Occhi” diventa un simbolo, dunque diventa informazione solida che l’occhio stesso percepisce con maggiore immediatezza, maggiore automatismo.

Ci sono ascolti interessanti che ti prendono ultimamente?
Attualmente sto ascoltando davvero poca musica italiana. Posso dirti però gli album di cantautori nostrani che ho più apprezzato e ascoltato, negli ultimi anni: “Uomo donna” di Andrea Laszlo De Simone, “Cosa faremo da grandi” di Lucio Corsi, “La violenza della luce” di Gianluca De Rubertis, “Poesia e civiltà” di Giovanni Truppi.

Progetti futuri?
Ora tocca pensare ai Live! Lo showcase di presentazione si terrà a Parma, città in cui vivo, al Borgo Santa Brigida. A seguire: 8/2 Secret Showcase – BOLZANO; 17/2 Draft – VALLO DELLA LUCANIA (SA); 18/2 35 Live – CAVA DE’ TIRRENI ; 19/2 Papel – MONTEROTONDO (RM). Per questo primo blocco di date proporrò un set acustico: ad accompagnarmi ci saranno le mie chitarre e il violino di Giulia Chiapponi. La primavera, poi, potrebbe riservare qualche sorpresa.

Band:
Martino Adriani aka Adriani

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