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ABORYM – Intervista al fondatore Fabban

ABORYM – Intervista al fondatore Fabban

In occasione dell’uscita del nuovo album “Hostile”, prevista per il prossimo 12 febbraio su etichetta Dead Seed Production, ho avuto il piacere di intervistare Fabrizio Giannese, alias Fabban, fondatore della band industrial metal italiana ABORYM, attiva dal 1992.

Ciao Fabrizio, benvenuto su Tuttorock, innanzitutto, come stai?

Non posso lamentarmi, sto bene… Stiamo tutti bene…

Parliamo di questo nuovo album degli Aborym, “Hostile” (che ho ascoltato più volte e apprezzato parecchio) che verrà pubblicato il prossimo 12 febbraio 2021 su etichetta Dead Seed Productions. L’album è stato prodotto da Keith Hillebrandt che ha lavorato con nomi come David Bowie e Nine Inch Nails, com’è nata questa vostra collaborazione?

Conosco Keith da un po’ di anni ormai. Keith ha remixato un brano di SHIFTING.negative, “For a better past”, che abbiamo pubblicato sul volume 1 di Something for Nobody, e noi abbiamo remixato uno suo pezzo, “Farwaysai”, anche questo pubblicato sullo stesso vinile… In seguito abbiamo iniziato una sorta di collaborazione e abbiamo realizzato insieme remix per altri artisti e gruppi, fino a fare da producer su una cover di Nelly Furtado rielaborata da Digitalis Purpurea… Il pezzo era “Maneater”. Siamo due nerd appassionati di sintesi sonora, sintetizzatori, entrambi modularisti e appassionati di musica e con il passare del tempo siamo diventati ottimi amici. Il nostro precedente produttore, Guido Elmi, che ha lavorato con noi su SHIFTING.negative, è venuto a mancare purtroppo e ho proposto a Keith di lavorare per noi su Hostile. Ci siamo incontrati a Bangkok nel 2018 (lui vive in Thailandia), siamo andati a cena in China Town e abbiamo discusso di tutto. Gli abbiamo inviato le prime demo e dopo un paio di giorni ci ha fatto sapere che avrebbe fatto da producer per Hostile. Da quel momento sono passati quasi due anni in cui ci ha seguiti dalle prime demo, passando per le pre-produzioni, recording, post-produzione. I risultati sono nel disco, non mi piace molto autocelebrare il nuovo album quindi ognuno potrà rendersi conto di che tipo di lavoro ha svolto Keith, come suona questo album e i progressi fatti in termini di sound e di tecnica. Keith ha definito quali brani registrare per il disco, ne avevamo circa una ventina all’inizio. Ha definito la tracklist, strumentazione, effetti, pedali, compressori… tutto. Purtroppo un paio di mesi prima di pianificare il mixaggio con Keith e il nostro sound engineer Andrea Corvo a Roma è scoppiata la pandemia e abbiamo mixato il disco da remoto. Internet e una buona adsl in certi casi aiutano.

Parlami un po’ della nascita dei brani e della loro composizione, siete partiti dai testi, da qualche melodia nata in studio o è dipeso dalle situazioni?

Il mio modo di lavorare non è cambiato molto durante la fase di song-writing di Hostile ma è cambiato  parecchio rispetto al disco precedente. Lavoro con questi ragazzi da un bel po’ di tempo ormai e per la prima volta in quasi 30 anni non mi sono occupato della scrittura da solo, ma abbiamo scritto i brani da band. Tommy e Rick sono stati fondamentali per la scrittura e tutti nella band abbiamo lavorato parecchio sugli arrangiamenti, sempre seguiti dal nostro fonico Andrea Corvo, che per noi è stato fondamentale. Così come fondamentale è stato Kata, per tutta la parte ritmica, per la batteria, i pad, i samples. Passo molte ore nel mio studio e cerco sempre di non forzare mai la mano. Quando arriva un’idea di solito la fisso, la elaboro e passo una demo agli altri che iniziano a metterci le mani sopra. Quando provo a scrivere in maniera forzata di solito vengono fuori solo cagate; le migliori idee sono quelle che arrivano quando devono arrivare. Così come è successo di prendere in lavorazione alcune idee di Tommy o di Rick. In alcuni casi i brani sono partiti da un semplice riff di chitarra, una sequenza midi, da una improvvisazione sui synth o su modulare, da un testo… Non abbiamo un iter prestabilito in questo senso. Rispetto al passato abbiamo potuto lavorare con una strumentazione molto più ampia, che ha fatto sì che potessimo sfruttare un ventaglio di soluzioni importante. Investiamo molti soldi in strumentazione. Più passano gli anni più strumenti abbiamo, più strumenti abbiamo più conoscenze acquisiamo. Alla base ci sono sempre le idee, ma nel nostro caso buone idee supportate da strumenti e conoscenza degli strumenti sono una combo essenziale per ottenere musica di qualità.

Quando è avvenuto il processo di registrazione dei brani e come siete riusciti a farlo visto il periodo di restrizioni e limitazione negli spostamenti?

Keith Hillebrandt e Andrea Corvo hanno definito che questo album dovesse essere registrato non in un unico studio, ma in studi diversi, in modo da poter sfruttare al meglio il potenziale di ognuno ottimizzandolo sulle varie fasi di recording. Ho gestito le pre-produzioni nel mio studio, Aborymlab, che per Aborym è una sorta di headquarter e una volta definiti i brani da incidere ci siamo spostati per quasi due mesi negli NMG studios, seguiti sia da Andrea Corvo che da Alessandro di Nunzio. Lì abbiamo inciso le batterie, con due kit differenti, le chitarre ritmiche, arrangiamenti di chitarra, percussioni e arrangiamenti vari. Il basso è stato inciso a Milano. Terminate le sessioni ci siamo presi circa un mese di stop, in modo da staccare la spina e resettare i cervelli, per poi riprendere le session nei Synthesis Recording Studio di Andrea. Liì abbiamo inciso tabla, voci, backing vocals, synth, diversi arrangiamenti e Andrea ha iniziato a tirare fuori i pre-mix che sono serviti a Keith per ottimizzare i brani e proiettarli verso il mixaggio finale. Tutto questo accadeva credo ad Aprile e lì il virus ha iniziato a venir giù pesante. Siamo stati costretti a rintanarci in casa. Ricordo che mancavano le voci su tre pezzi, che sono riuscito ad ultimare nel momento in cui ci sono stati alcuni giorni in cui ci fu un ammorbidimento delle restrizioni. Ultimate le voci abbiamo iniziato a mixare il disco da remoto: noi da Roma, Keith da Bangkok.

Avete voluto dar spazio alla tragedia di Chernobyl, con il brano “Radiophobia”, che è anche il secondo singolo dell’album, come mai avete scelto di parlare di quell’evento?

Di solito parlo sempre e solo di cose che mi fanno paura nei miei testi e il disastro di Chernobyl mi ha sempre affascinato da questo punto di vista. Mi sono sempre documentato molto su ciò che accadde a Prypiat quel 26 Aprile dell’86 e, anche se avevo solo 9 anni, ricordo ancora le notizie che arrivavano nei TG. Non capivo cosa stesse succedendo ma da ciò che dicevano i miei genitori non doveva essere nulla di bello. Non mi ha turbato nello specifico l’errore umano che ha causato l’esplosione del reattore, mi ha inquietato il perchè si è arrivati a quella esplosione e sopra ogni altra cosa mi ha turbato il comportamento “umano” del governo sovietico nel rifiutare qualsiasi responsabilità prima e nell’assenza di comunicazioni, di notizie, dettagli e possibili imminenti risvolti a livello di radiazioni profuse dopo. Chernobyl rappresenta una delle più epiche sconfitte del genere umano in tal senso e non ne faccio una questione di schieramenti o parti politiche. Il prestigio e la serietà dell’Unione Sovietica ai tempi è stato messo in primo piano a discapito delle vite di tantissime persone, che sono morte nell’immediato e che sono continuate a morire negli anni a seguire. Ho vissuto a Taranto per molti anni, credo tu abbia sentito parlare dell’Ilva… L’Ilva non è un’industria a trattamento nucleare ma la storia che la lega a Chernobyl non è poi così distante. Anche a Taranto e sempre a causa dell’EGOismo umano si è deciso che in trent’anni molte persone dovessero essere sacrificabili. Tutt’oggi nascono bambini con deformazioni e tumori, in molti casi non raggiungono un anno di vita. Eppure gli altiforni continuano a spuntare fuori diossina. Radiophobia è una canzone-metafora su ciò che l’essere umano è diventato.

Riascoltando “Hostile”, c’è un brano che pensi sia riuscito meglio degli altri o che comunque ti emoziona in maniera particolare risentendolo? Le mie preferite, anche se adoro tutto l’album, sono “Horizon Ignited”, ovvero il primo singolo, e “Wake Up Rehab”.

Contento ti siano piaciuti ma mi stai chiedendo tra le righe se voglio più bene a mia moglie o al mio bassotto… Ad ogni modo il brano che preferisco purtroppo non è presente nel disco, Keith non lo ha inserito tra quelli da registrare e spero di poterlo pubblicare sul prossimo album, tra qualche anno.

A proposito di Horizon Ignited, vuoi dirmi qualcosa del video? Chi ha avuto l’idea e da chi è stato girato?

L’ho ideato, girato e montato io durante il primo lockdown. E dopo una lunga maratona di film di Lynch, a cui mi sono spudoratamente ispirato. Quel brano parla di come le persone percepiscono Dio. Di come reagiscono al rifiuto di aiuto, della paura che li spinge a chiedere aiuto a Dio e della sensazione che spesso si prova quando alle preghiere e alle richieste di aiuto seguono il niente e il silenzio. Durante il primo lockdown ho avuto modo di toccare con mano tutto questo: ho visto la paura negli occhi della gente, il terrore… e ho analizzato dall’esterno le differenti reazioni. Alcune persone vedono Dio ovunque anche quando Dio decide un bel giorno di regalare loro una bella pandemia e di questa entità e li invita a fiondarcisi dentro. Alcune persone hanno smesso di dare fiducia a Dio proprio per aver ricevuto questa merda… Un po’ come si fa in politica nel parlamento. Così ho pensato a questo videoclip e ho cercato di raccontare tutto questo attraverso musica e immagini.

La vostra storia è quasi trentennale, siete attivi dal 1992, avresti mai pensato allora che, nel 2021, la tua band sarebbe stata una delle più influenti nel panorama musicale industrial/black metal italiano?

Correggo la tua domanda in industrial-metal, non suoniamo black metal da diversi anni ed è ora che la gente lo capisca. Eh, per rispondere alla tua domanda… non credo sia cambiato molto dal 1992 ad oggi. Negli anni 90 ero un tossico con il cervello in merda che diceva e faceva tante cazzate e che faceva (o tentava) di fare musica perchè gli faceva bene farlo. Oggi sono un quasi 44enne con il cervello (probabilmente) in merda che però non dice o fa troppe cazzate che continua a fare musica perchè gli fa bene farlo. Per me fare musica è l’unico modo che ho per sentirmi vivo e stare bene. Un vaccino, visto che ora va di moda.

Dopo numerosi cambi di line-up, oggi vi sentite stabili come formazione?

Assolutamente. Il nucleo di questa band è calcificato. Per me questi ragazzi sono la mia famiglia ormai. Lavorare con me non è facile. Se continuano a distanza di anni a fare musica con me in questa band significa che si è creato un legame. Non solo a carattere musicale.

C’è qualche artista di oggi che apprezzi particolarmente?

Sono un grande fan dei Puscifer. Credo siano una delle band più geniali degli ultimi tempi. Adoro Caterina Barbieri. Ho apprezzato tantissimo l’ultimo disco dei Tool, band come Putan Club, Mr.Bison…

Veniamo ad un punto dolente, la musica live. Avete in previsione qualche concerto in streaming per promuovere l’album o preferite attendere tempi migliori?

La musica per me ha due dimensioni. Una dimensione studio e una dimensione live. Non credo possano esisterne altre così come non credo che questi live in streaming abbiano molto senso. Capisco il periodo nero, capisco tutto ma per me un live è fatto da una band che suona e da un pubblico sotto il palco. Un concerto è fatto da questo binomio… metà di un concerto è la band, l’altra metà è il pubblico. Trovo questi live streaming che infestano la rete ridicoli e senza alcun senso e mi auguro di non doverne mai fare con Aborym. Preferirei aspettare tempi migliori e ritrovarmi con la band di fronte ad un pubblico adatto di gente in carne ed ossa, con le luci, il fumo e la puzza di sudore…

Grazie mille per il tuo tempo, vuoi aggiungere qualcosa e salutare i fan degli Aborym?

Mah… li saluto tutti uno ad uno e li ringrazio per esserci sempre, e ringrazio te per questa chiacchierata Marco.

MARCO PRITONI

Band:

Voce, programmazione, pianoforte, sintetizzatori, sintetizzatori modulari: Fabban (Fabrizio Giannese)

Basso, chitarre, programmazione: Riccardo Greco

Batteria, pad, elettronica: Gianluca Catalani

Chitarre: Tomas Aurizzi

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