PENTAGRAM + Mother’s Cake + Doomraiser – Live @ Init, Roma 3-10-2016
by tuttorock
23 Ottobre 2016
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Quello dei Pentagram, per il sottoscritto, non è stato un semplice concerto. La serata trascorsa all’Init di Roma in occasione della calata romana dei padrini del doom (anche loro non amano essere inquadrati nel genere) ha rappresentato per me un’esperienza indimenticabile, grottesca ed esaltante, frustrante e maestosa, che difficilmente potrei riassumere in poche righe, ma che vorrei tentare di condividere almeno in parte con voi lettori di Tuttorock.
Premesso che ho rinunciato a qualsiasi velleità giornalistica parecchi anni fa e che ultimamente mi accontento di scattare qualche foto dal vivo in occasione di serate selezionate, per la calata romana dei Pentagram si è presentata l’occasione di intervistare la band statunitense “face to face”, e nonostante i miei impegni lavorativi avrebbero sconsigliato di accettare, l’offerta era troppo allettante per rifiutare…
Fu così che mi ritrovai di fronte all’Init alle 18:30 del 3 ottobre 2016, con il numero di telefono del tour manager dei Pentagram appuntato su un pizzino in una mano e il telefono cellulare nell’altra. Provai a chiamare più volte, ma non ottenni risposta se non da una fredda segreteria telefonica tedesca. Non poteva esserci inizio più incoraggiante per un ex scribacchino musicale che non affrontava un’intervista da qualcosa come nove anni!
Dalla mia c’erano però l’amicizia con uno degli opening act della serata, i Doomraiser, e una certa esperienza maturata sul campo, che nonostante gli anni trascorsi lontano dall’ambiente non era andata completamente perduta. Sgattaiolai quindi nel back stage e fui subito accolto dai ragazzi dei Doomraiser, con i quali, chiaramente, si è scambiata qualche chiacchiera spensierata.
I Pentagram erano già all’interno del locale, e di li a poco il back stage – un cortiletto arrangiato a mo’ di salottino con un paio di divanetti “vintage” – fu invaso dalle note tonanti di un soundcheck vigoroso. Una sbirciatina all’interno ed ebbi subito modo di saggiare l’impatto scenico e la professionalità di una band seminale, di quelle che anche ad ascoltarle oggi spazzano via senza problemi la quasi totalità degli artisti venuti dopo, nonostante l’avanzare dell’età e una vita condotta in modo non certo “regolare”. Una prima istantanea di Liebling non stabilissimo sul fronte del palco non poteva preparami alle scene alle quali avrei assistito più avanti…
Iniziavo a provare una certa soddisfazione nell’essere tanto privilegiato da poter vivere quell’esperienza in modo così pieno, ma avevo una missione da compiere, intervistare Bobby Liebling, e per farlo dovevo trovare il mio contatto, il tour manager Klaus, che era però sparito dai radar degli addetti ai lavori e non aveva certo ricordato di fare gli onori di casa.
I minuti trascorrevano inesorabili e sebbene l’attesa nel back stage potesse risultare piacevole, iniziavo a essere pervaso da una certa “ansia da prestazione”, così abbandonato a me stesso e col timore di non riuscire ad adempiere al mio incarico.
Fu così che mi feci coraggio. Appena fuori dal locale sostava il tour bus della band. Vetri oscurati, luci spente e nessun segno di vita. Mi avvicinai al portellone, inspirai profondamente e bussai con vigore. Dopo qualche istante ebbi il mio primo incontro con il sig. Klaus: un uomo di statura modesta, ma di corporatura robusta; poco rassicurante per abbigliamento trasandato, tatuaggi e berretto, ma dallo sguardo cordiale, se non proprio gioviale. “Hey, sei il ragazzo dell’intervista, certamente! L’hai già fatta? No? Ehm, dov’è Bobby? Lo hai visto?”. Perplesso per il fatto che dovessi essere io a sapere dove fosse Bobby, gli risposi che era ancora impegnato con il soundcheck, e fui rassicurato che entro 10 minuti dalla fine delle prove, avrei avuto la mia intervista. Wow, le cose cominciavano a girare per il verso giusto…
Mi recai nuovamente nel back stage. Il tempo di sprofondare in pieno relax su uno dei divanetti “vintage”, tra il via vai costante di musicisti e tecnici, e le prove dei Pentagram ebbero fine. La porta dalla quale avevo in precedenza sbirciato la band all’opera tuonò. Non era possibile aprirla dall’interno. Qualcuno chiedeva gentilmente che fosse aperta dall’esterno. Fu uno dei presenti a prodigarsi in tal senso e Bobby Liebling in persona fece la sua comparsa tra di noi. Avevo una vaga di idea del personaggio, ma ciò che mi si parò di fronte agli occhi non poté non sorprendermi: una figura esile e smunta, in perenne lotta contro la forza di gravità per conquistare una posizione eretta e sufficientemente stabile; i lunghi capelli bianchi, disordinatamente ricci nonostante una grande spazzola viola facesse bella mostra di sé tra le mani del cantante; e lo sguardo… uno sguardo vacuo e allucinato, ironico e disincantato, nel quale era sì possibile intravedere un intelletto fine, forse fuori dal comune, ma anche il seme della follia, o comunque di una ragione offuscata e martoriata dagli abusi di droghe per i quali Liebling è tristemente noto.
E con quello sguardo inquietante, Liebling iniziò a parlare, o meglio a sproloquiare con chiunque gli capitasse a tiro. Le tematiche predilette da Bobby: il sesso e la sua vita sregolata. Sesso, droga e rock’n’roll per farla breve, con una serie interminabile di voli pindarici che ridondavano sull’incontro fatto la sera precedente con una affascinante ragazza norvegese, che il buon Bobby avrebbe voluto “conoscere meglio”, e repentine derive sulla propria vita privata. Norvegese a parte, siamo venuti a conoscenza di quanto, nonostante una irrefrenabile passione per il sesso occasionale, Bobby ami la sua giovane moglie (lui sopra i sessanta, lei appena trentenne) e debba a lei la sua nuova vita lontano dalle droghe; abbiamo appreso della sua difficile relazione con i suoceri, che in realtà non hanno mai voluto neppure incontrarlo; ci siamo stupiti per i 35 milioni di dollari che Bobby avrebbe bruciato tra eroina e chissà quali altre sostanze stupefacenti; e ci siamo riempiti le orecchie con storie di sesso di ogni genere e proporzione… In un’oretta scarsa in sua compagnia, Bobby ci ha fatto divertire e riflettere, tra lampi di inaspettata profondità, scorci di profonda umanità e, d’altra parte, momenti realmente imbarazzanti, caratterizzati da ossessioni e loop cerebrali difficili da immagazzinare.
In tutto ciò, lo confesso, non ebbi il coraggio di interrompere il monologo per invitare Bobby a rispondere alle mie domande e iniziavo anzi a temere il peggio sia per la mia umile intervista sia per lo stesso spettacolo dei Pentagram. Come avrebbe fatto un Liebling in quello stato psicofisico a sostenere intellettualmente un’intervista o a reggere fisicamente lo sforzo di un intero show heavy rock? Con questo interrogativo riecheggiante nella mente, il singer si congedò per cena e per me ebbe inizio un calvario fatto di attesa: una lunghissima attesa appostato nella piazza antistante il locale, in prossimità del tour bus dei Pentagram, nella speranza di parlare nuovamente con il tour manager Klaus affinché mi “riconsegnasse” un Bobby psicologicamente pronto per l’intervista, magari prima dell’inizio dello show. Ebbene la speranza di assistere allo spettacolo di Doomraiser e Mother’s Cake si rivelò vana. Quando rincontrai finalmente Klaus, i Doomraiser avevano già iniziato il proprio show. “Hey Klaus,” dissi con un tono tra il lamentevole e il sarcastico: “Credi che riusciremo ad arrangiare quest’intervista?”. E il tour manager: “Come dici? Credevo l’avessi già fatta! Bobby mi ha assicurato di aver tenuto ben tre interviste nel pomeriggio ed ero convinto che una di queste fosse la tua!”… “E dove sarebbero questi altri tre fantomatici giornalisti, caro Klaus? Io non ho visto proprio nessuno…”, pensai tra me e me, sempre più sconsolato e allibito per la situazione paradossale.
Dei Doomraiser e dei Mother’s Cake, secondo support act della serata, posso quindi riportare solo i commenti più che positivi del pubblico, che nonostante le eventuali riserve in merito ai generi proposti, hanno speso parole più che positive sulle prestazioni delle band. Per esperienza diretta posso invece snocciolare qualche altra chicca da Via della Stazione Tuscolana: Bobby Liebling che esce dal tour bus vestito con sfarzosi abiti di scena ed enormi occhialoni da donna con montatura colorata (era forse viola?); ancora Bobby, che dopo essere rientrato nel tour bus, si ripresenta in piazza mezzo nudo e si concede ai propri fan per delle foto; la vicinanza dei ragazzi dei Doomraiser, che avendo preso a cuore la situazione mi chiedevano continuamente informazioni sull’esito dell’intervista; Klaus, che indaffarato nei preparativi per lo show imminente mi sfrecciava accanto lanciandomi sguardi sempre più sconsolati; Bobby che squarciava la quiete del piazzale inveendo contro chissà cosa e per chissà quale motivo; i Pentagram al completo che facevano cerchio attorno a Bobby, seduto sulle scalette del bus, per accertarsi delle sue condizioni; e infine, nuovamente, Klaus, che poco prima dello sho, metteva una pietra tombale sull’intervista, in considerazione delle condizioni non certo ottimali di Bobby…
A quel punto, mestamente, non mi rimaneva che entrare nel locale per godermi almeno il concerto, se concerto sarebbe stato…
E il concerto incredibilmente ebbe luogo. Anzi, nonostante i timori dovuti alle precarie condizioni del singer, i Pentaram non hanno semplicemente fatto il proprio dovere, ma hanno dimostrato per l’ennesima volta che la vecchia guardia è semplicemente di un altro pianeta, non tanto e non solo per la profondità di brani che hanno fatto la storia di un genere musicale, ma per la classe e il carisma che una band di tale spessore sa sprigionare sul palco, irretendo chiunque, dai fan di vecchia data ai semplici curiosi accorsi per il richiamo di un nome storico.
Le prime note di “Death Row” sono bastate per riversare sul copioso pubblico romano tutto il potenziale della band, con un possente Victor Griffin sugli scudi e un Bobby Liebling completamente rinvigorito dalla scarica di adrenalina che il palcoscenico è in grado di offrire: qualche passo malfermo di tanto in tanto, ma anche una serie di pose plastiche che nessuno tra coloro che avevano avuto modo di incontrare Bobby prima dello show avrebbero ritenuto possibili. Per non parlare della prestazione vocale del singer, quasi impeccabile dal punto di vista esecutivo e letteralmente da brividi in quanto a interpretazione: veramente sbalorditivo!
Da “All Your Sins” a “Relentless”, i classici dei Pentagram hanno guadagnato dal vivo una notevole potenza e davvero non sembrava di ascoltare brani radicati negli anni settanta. Grazie a un sound tanto attuale i numerosi estratti dall’ultimo ottimo album “Curious Volume” non hanno suonato affatto fuori luogo e un merito particolare per tale risultato va attribuito senz’altro alla giovane sezione ritmica composta da Greg Turley (basso) e la new entry Pete Campbell (batteria), entrambi musicisti preparati e con la personalità necessaria per farsi carico del fardello dei Pentagram nonostante il gap anagrafico con i membri storici della band.
Il concerto, breve ma intensissimo, ha dunque regalato momenti di grande musica, suggellati dagli assolo di Griffin e dalle struggenti interpretazioni di un Liebling talmente innamorato e fiero della propria creatura da risultare commovente.
Con la storica “20 Buck Spin” si è suggellato su note meno plumbee e ossessive un concerto che resterà nella memoria dei presenti come uno dei live heavy rock più veri e intensi degli ultimi anni, con la speranza che la leggenda dei Pentagram abbia ancora lunga vita e che i nostri facciano presto ritorno nella nostra penisola.
Vi chiederete se sia finita qui. In realtà no.
Uscendo soddisfatto e rinfrancato dalla strepitosa esibizione dal vivo mi sentii chiamare. Era Klaus, pronto a farmi incontrare nuovamente Liebling per la tanto sospirata intervista. Ce l’avrò fatta oppure no? Lo scoprirete a breve sulle pagine virtuali di Tuttorock!
E il concerto ci fu, e che concerto ragazzi…, quindi poco o nulla posso raccontarvi delle esibizioni delle band di supporto se non riportare i commenti del pubblico, entusiastici alleggerita dalla compagnia di amici e conoscenti, dalla costante presenza del simpatico omone della security (di notte, magazziniere di giorno) ed episodi più o meno degni di nota
Report & photoset by RICCARDO ARENA
Membri:
Bobby Liebling (vox)
Victor Griffin (gtr)
Greg Turley (bass)
Pete Campbell(Drums)
http://www.pentagramofficial.com
https://www.facebook.com/pentagramusa
https://www.facebook.com/motherscake
https://www.facebook.com/doomraiser
Premesso che ho rinunciato a qualsiasi velleità giornalistica parecchi anni fa e che ultimamente mi accontento di scattare qualche foto dal vivo in occasione di serate selezionate, per la calata romana dei Pentagram si è presentata l’occasione di intervistare la band statunitense “face to face”, e nonostante i miei impegni lavorativi avrebbero sconsigliato di accettare, l’offerta era troppo allettante per rifiutare…
Fu così che mi ritrovai di fronte all’Init alle 18:30 del 3 ottobre 2016, con il numero di telefono del tour manager dei Pentagram appuntato su un pizzino in una mano e il telefono cellulare nell’altra. Provai a chiamare più volte, ma non ottenni risposta se non da una fredda segreteria telefonica tedesca. Non poteva esserci inizio più incoraggiante per un ex scribacchino musicale che non affrontava un’intervista da qualcosa come nove anni!
Dalla mia c’erano però l’amicizia con uno degli opening act della serata, i Doomraiser, e una certa esperienza maturata sul campo, che nonostante gli anni trascorsi lontano dall’ambiente non era andata completamente perduta. Sgattaiolai quindi nel back stage e fui subito accolto dai ragazzi dei Doomraiser, con i quali, chiaramente, si è scambiata qualche chiacchiera spensierata.
I Pentagram erano già all’interno del locale, e di li a poco il back stage – un cortiletto arrangiato a mo’ di salottino con un paio di divanetti “vintage” – fu invaso dalle note tonanti di un soundcheck vigoroso. Una sbirciatina all’interno ed ebbi subito modo di saggiare l’impatto scenico e la professionalità di una band seminale, di quelle che anche ad ascoltarle oggi spazzano via senza problemi la quasi totalità degli artisti venuti dopo, nonostante l’avanzare dell’età e una vita condotta in modo non certo “regolare”. Una prima istantanea di Liebling non stabilissimo sul fronte del palco non poteva preparami alle scene alle quali avrei assistito più avanti…
Iniziavo a provare una certa soddisfazione nell’essere tanto privilegiato da poter vivere quell’esperienza in modo così pieno, ma avevo una missione da compiere, intervistare Bobby Liebling, e per farlo dovevo trovare il mio contatto, il tour manager Klaus, che era però sparito dai radar degli addetti ai lavori e non aveva certo ricordato di fare gli onori di casa.
I minuti trascorrevano inesorabili e sebbene l’attesa nel back stage potesse risultare piacevole, iniziavo a essere pervaso da una certa “ansia da prestazione”, così abbandonato a me stesso e col timore di non riuscire ad adempiere al mio incarico.
Fu così che mi feci coraggio. Appena fuori dal locale sostava il tour bus della band. Vetri oscurati, luci spente e nessun segno di vita. Mi avvicinai al portellone, inspirai profondamente e bussai con vigore. Dopo qualche istante ebbi il mio primo incontro con il sig. Klaus: un uomo di statura modesta, ma di corporatura robusta; poco rassicurante per abbigliamento trasandato, tatuaggi e berretto, ma dallo sguardo cordiale, se non proprio gioviale. “Hey, sei il ragazzo dell’intervista, certamente! L’hai già fatta? No? Ehm, dov’è Bobby? Lo hai visto?”. Perplesso per il fatto che dovessi essere io a sapere dove fosse Bobby, gli risposi che era ancora impegnato con il soundcheck, e fui rassicurato che entro 10 minuti dalla fine delle prove, avrei avuto la mia intervista. Wow, le cose cominciavano a girare per il verso giusto…
Mi recai nuovamente nel back stage. Il tempo di sprofondare in pieno relax su uno dei divanetti “vintage”, tra il via vai costante di musicisti e tecnici, e le prove dei Pentagram ebbero fine. La porta dalla quale avevo in precedenza sbirciato la band all’opera tuonò. Non era possibile aprirla dall’interno. Qualcuno chiedeva gentilmente che fosse aperta dall’esterno. Fu uno dei presenti a prodigarsi in tal senso e Bobby Liebling in persona fece la sua comparsa tra di noi. Avevo una vaga di idea del personaggio, ma ciò che mi si parò di fronte agli occhi non poté non sorprendermi: una figura esile e smunta, in perenne lotta contro la forza di gravità per conquistare una posizione eretta e sufficientemente stabile; i lunghi capelli bianchi, disordinatamente ricci nonostante una grande spazzola viola facesse bella mostra di sé tra le mani del cantante; e lo sguardo… uno sguardo vacuo e allucinato, ironico e disincantato, nel quale era sì possibile intravedere un intelletto fine, forse fuori dal comune, ma anche il seme della follia, o comunque di una ragione offuscata e martoriata dagli abusi di droghe per i quali Liebling è tristemente noto.
E con quello sguardo inquietante, Liebling iniziò a parlare, o meglio a sproloquiare con chiunque gli capitasse a tiro. Le tematiche predilette da Bobby: il sesso e la sua vita sregolata. Sesso, droga e rock’n’roll per farla breve, con una serie interminabile di voli pindarici che ridondavano sull’incontro fatto la sera precedente con una affascinante ragazza norvegese, che il buon Bobby avrebbe voluto “conoscere meglio”, e repentine derive sulla propria vita privata. Norvegese a parte, siamo venuti a conoscenza di quanto, nonostante una irrefrenabile passione per il sesso occasionale, Bobby ami la sua giovane moglie (lui sopra i sessanta, lei appena trentenne) e debba a lei la sua nuova vita lontano dalle droghe; abbiamo appreso della sua difficile relazione con i suoceri, che in realtà non hanno mai voluto neppure incontrarlo; ci siamo stupiti per i 35 milioni di dollari che Bobby avrebbe bruciato tra eroina e chissà quali altre sostanze stupefacenti; e ci siamo riempiti le orecchie con storie di sesso di ogni genere e proporzione… In un’oretta scarsa in sua compagnia, Bobby ci ha fatto divertire e riflettere, tra lampi di inaspettata profondità, scorci di profonda umanità e, d’altra parte, momenti realmente imbarazzanti, caratterizzati da ossessioni e loop cerebrali difficili da immagazzinare.
In tutto ciò, lo confesso, non ebbi il coraggio di interrompere il monologo per invitare Bobby a rispondere alle mie domande e iniziavo anzi a temere il peggio sia per la mia umile intervista sia per lo stesso spettacolo dei Pentagram. Come avrebbe fatto un Liebling in quello stato psicofisico a sostenere intellettualmente un’intervista o a reggere fisicamente lo sforzo di un intero show heavy rock? Con questo interrogativo riecheggiante nella mente, il singer si congedò per cena e per me ebbe inizio un calvario fatto di attesa: una lunghissima attesa appostato nella piazza antistante il locale, in prossimità del tour bus dei Pentagram, nella speranza di parlare nuovamente con il tour manager Klaus affinché mi “riconsegnasse” un Bobby psicologicamente pronto per l’intervista, magari prima dell’inizio dello show. Ebbene la speranza di assistere allo spettacolo di Doomraiser e Mother’s Cake si rivelò vana. Quando rincontrai finalmente Klaus, i Doomraiser avevano già iniziato il proprio show. “Hey Klaus,” dissi con un tono tra il lamentevole e il sarcastico: “Credi che riusciremo ad arrangiare quest’intervista?”. E il tour manager: “Come dici? Credevo l’avessi già fatta! Bobby mi ha assicurato di aver tenuto ben tre interviste nel pomeriggio ed ero convinto che una di queste fosse la tua!”… “E dove sarebbero questi altri tre fantomatici giornalisti, caro Klaus? Io non ho visto proprio nessuno…”, pensai tra me e me, sempre più sconsolato e allibito per la situazione paradossale.
Dei Doomraiser e dei Mother’s Cake, secondo support act della serata, posso quindi riportare solo i commenti più che positivi del pubblico, che nonostante le eventuali riserve in merito ai generi proposti, hanno speso parole più che positive sulle prestazioni delle band. Per esperienza diretta posso invece snocciolare qualche altra chicca da Via della Stazione Tuscolana: Bobby Liebling che esce dal tour bus vestito con sfarzosi abiti di scena ed enormi occhialoni da donna con montatura colorata (era forse viola?); ancora Bobby, che dopo essere rientrato nel tour bus, si ripresenta in piazza mezzo nudo e si concede ai propri fan per delle foto; la vicinanza dei ragazzi dei Doomraiser, che avendo preso a cuore la situazione mi chiedevano continuamente informazioni sull’esito dell’intervista; Klaus, che indaffarato nei preparativi per lo show imminente mi sfrecciava accanto lanciandomi sguardi sempre più sconsolati; Bobby che squarciava la quiete del piazzale inveendo contro chissà cosa e per chissà quale motivo; i Pentagram al completo che facevano cerchio attorno a Bobby, seduto sulle scalette del bus, per accertarsi delle sue condizioni; e infine, nuovamente, Klaus, che poco prima dello sho, metteva una pietra tombale sull’intervista, in considerazione delle condizioni non certo ottimali di Bobby…
A quel punto, mestamente, non mi rimaneva che entrare nel locale per godermi almeno il concerto, se concerto sarebbe stato…
E il concerto incredibilmente ebbe luogo. Anzi, nonostante i timori dovuti alle precarie condizioni del singer, i Pentaram non hanno semplicemente fatto il proprio dovere, ma hanno dimostrato per l’ennesima volta che la vecchia guardia è semplicemente di un altro pianeta, non tanto e non solo per la profondità di brani che hanno fatto la storia di un genere musicale, ma per la classe e il carisma che una band di tale spessore sa sprigionare sul palco, irretendo chiunque, dai fan di vecchia data ai semplici curiosi accorsi per il richiamo di un nome storico.
Le prime note di “Death Row” sono bastate per riversare sul copioso pubblico romano tutto il potenziale della band, con un possente Victor Griffin sugli scudi e un Bobby Liebling completamente rinvigorito dalla scarica di adrenalina che il palcoscenico è in grado di offrire: qualche passo malfermo di tanto in tanto, ma anche una serie di pose plastiche che nessuno tra coloro che avevano avuto modo di incontrare Bobby prima dello show avrebbero ritenuto possibili. Per non parlare della prestazione vocale del singer, quasi impeccabile dal punto di vista esecutivo e letteralmente da brividi in quanto a interpretazione: veramente sbalorditivo!
Da “All Your Sins” a “Relentless”, i classici dei Pentagram hanno guadagnato dal vivo una notevole potenza e davvero non sembrava di ascoltare brani radicati negli anni settanta. Grazie a un sound tanto attuale i numerosi estratti dall’ultimo ottimo album “Curious Volume” non hanno suonato affatto fuori luogo e un merito particolare per tale risultato va attribuito senz’altro alla giovane sezione ritmica composta da Greg Turley (basso) e la new entry Pete Campbell (batteria), entrambi musicisti preparati e con la personalità necessaria per farsi carico del fardello dei Pentagram nonostante il gap anagrafico con i membri storici della band.
Il concerto, breve ma intensissimo, ha dunque regalato momenti di grande musica, suggellati dagli assolo di Griffin e dalle struggenti interpretazioni di un Liebling talmente innamorato e fiero della propria creatura da risultare commovente.
Con la storica “20 Buck Spin” si è suggellato su note meno plumbee e ossessive un concerto che resterà nella memoria dei presenti come uno dei live heavy rock più veri e intensi degli ultimi anni, con la speranza che la leggenda dei Pentagram abbia ancora lunga vita e che i nostri facciano presto ritorno nella nostra penisola.
Vi chiederete se sia finita qui. In realtà no.
Uscendo soddisfatto e rinfrancato dalla strepitosa esibizione dal vivo mi sentii chiamare. Era Klaus, pronto a farmi incontrare nuovamente Liebling per la tanto sospirata intervista. Ce l’avrò fatta oppure no? Lo scoprirete a breve sulle pagine virtuali di Tuttorock!
E il concerto ci fu, e che concerto ragazzi…, quindi poco o nulla posso raccontarvi delle esibizioni delle band di supporto se non riportare i commenti del pubblico, entusiastici alleggerita dalla compagnia di amici e conoscenti, dalla costante presenza del simpatico omone della security (di notte, magazziniere di giorno) ed episodi più o meno degni di nota
Report & photoset by RICCARDO ARENA
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Greg Turley (bass)
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